CAP VII

Fratello amato nulla ti chiedo e richiedo! Solo un grano del tuo tempo ad udire la voce d’un pezzente che chiama te pure dall’agonia del Suo legno.

Se tale flebile sussurro divenisse alle tue orecchie grido d’amore e sentissi com’è a te personalmente rivolto, allora chiama Egli, il Cristo che rischiara i giorni dell’uomo.

– L.A. SENECA –

L’interesse per le esperienze di tabellone non accennava certo a diminuire, ma ciò di cui andavamo lentamente rendendoci conto era l’impercettibile mutamento che gli insegnamenti stavano operando nel profondo dei nostri cuori. E col succedersi delle esperienze si accresceva anche la nostra conoscenza.

Giunse così il momento in cui furono trattati argomenti di estrema delicatezza.

Quanto segue costituisce l’insieme dei vari passi delle comunicazioni di Seneca sul Cristo Gesù. Il mistero che avvolge la Sua figura, sia sotto il profilo religioso che storico o iniziatico, è di estremo fascino. Quale che sia l’angolo di visuale, fideistico o razionale, la traccia lasciata dall’uomo di Galilea accende massimo interesse. Basti per tutti pensare agli appassionati studi ed alle ricerche effettuate da scienziati e studiosi di tutto il modo sulla Sacra Sindone che porta con sé inquietanti interrogativi: abilissima e inspiegabile contraffazione o miracolosa ed incomprensibile autentica immagine di Gesù? Taluno ha perfino dubbi sulla effettiva esistenza storica di Gesù di Nazareth. Studi, commenti, analisi sono stati effettuati sui vangeli sia tradizionali che gnostici.

Eravamo prossimi al natale quando ricevemmo la seguente comunicazione:

 

Seneca Toto orbe in romana pace composito, Christus nunc: (Trad.: “tutto il mondo era composto nella pace romana quando giunse il Cristo”.), Sud lentamente a voce alta legga Giovanni da 1 a 14.
Noi (diamo lettura del passo evangelico indicatoci).“In principio era il Verbo ed il verbo era presso Dio e Dio era il verbo. Questi era in principio presso Dio. Tutto per mezzo di Lui fu fatto e senza di Lui non fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto. In Lui era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini; e la Luce nelle tenebre brilla e le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio; il suo nome era Giovanni. Questi venne come testimone per rendere testimonianza alla Luce affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la Luce ma per rendere testimonianza alla Luce. Era la Luce vera che illumina ogni uomo quella che veniva nel mondo. Era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui ed il mondo non lo riconobbe. Venne nella Sua proprietà e i Suoi non l’accolsero. A quanti però l’accolsero diede il potere di divenire figli di Dio, a coloro che credono nel Suo Nome, i quali non da sangue né volontà di carne né volontà di uomo ma da Dio furono generati. Ed il Verbo si fece carne e dimorò fra noi e abbiamo visto la Sua Gloria, Gloria come da unigenito del Padre pieno di Grazia e verità”.
Seneca Io voglio che comprendiate come siete accomunati a coloro che NON L’ACCOLSERO. Così Cristo venne in Efrata, già Behetlahamu, in una stalla, poiché essa dimora fu a simbolo di povertà, come Luca ricorda quando scrisse che l’albergo, in effetti un caravanserraglio, non era per loro. E ciò per due ordini di fattori. Povertà di Giuseppe per l’affitto di una cameretta in esso, e purezza di Mirjam che desiderava appartarsi per l’evento divino. Ecco che la stalla fu dovuta a purezza e povertà: giusta reggia a chi avrebbe “spregiato li argomenti umani”. E così nello scorcio dell’anno 748 dell’era romana, 6 a.C., giunse Luce alle tenebre. Non continuate dunque l’errore di Dionisio il Piccolo, monaco sciita, che nel VI° secolo fissò la data 754 di Roma. Così era pace romana, ma, per quanto un tempo potesse dolermi l’ammettere, solo romana; infatti guardata solo da venticinque legioni umane che già diedero certificazione di umana misera forza a mantenere la “pax” nel 9 d.C., quando Quintilio Varo fu sconfitto da Dalmati, Germani e Pannoni a Teutoburgo. Ben diversa la novella pax cristiana! Euanghellizomai, disse l’angelo agli uomini della terra colì viventi. E serafico coro rispose: “Gloria nell’altissimo e pace in terra agli uomini di beneplacito”.
Noi “Beneplacito” significa “buona Volontà”?
Seneca Non proprio; eudochia è la significazione del ben compiacersi di Dio nell’uomo. Così intesero felici i grossi uomini della terra, così i magi che seguirono la stella, non di Halley, poiché miracoloso astro che seguiva e sostava secondo l’andare dei Re magi contro ogni legge astronomica. Ma chi i magi?
Est Erano iniziati.
Seneca Bene dixisti! (…) Magu in persiano antico viene da “maga”: dono; ove “magu” è il partecipe del dono! Altrimenti l’iniziato del culto di Zoroastro. Così, nella religione vera ove ogni verità ritorna all’unica, essi credono dirimere il conflitto tra Auramazda, Signore del Bene, ed Arimane da parte del SAUSHYANT = Il Soccoritore.
Est Chi è Arimane?
Seneca E’ la bestia. Essi cercavano dalle lontane pianure del Fars l’atteso Soccorritore. E ‘sì lontani udirono, non voi vicini! Ed era il bimbo del dolore! Egli per Sua scelta nasce e vi chiama ancora per vostre colpe, Sua scelta si chiava ancora al Legno! Così come oggi ancora fra tre dì vi chiamerà: ancora non udrete! E i partecipi del dono sapevano che nascita del SAUSHYANT era DONO: non voi. Il più alto dono dell’Altissimo, cosicché vostro dubbio divenisse face d’amore. Voi avete reso l’agape che avrebbe voluto in conviviale baccanale festivo. Così novo Lo chiavate al Legno; ed egli mansueto fassi novo chiavare. (…) Ora nel dì della presentazione al tempio il saggio Simone disse dell’infante che aveva desiderato vedere prima di morire: costui è nel segno contraddetto: il Suo segno verrà contraddetto dai più! Infatti tutto il Suo operato fu un : contraddicere! Latino. Contra dicere! Contro ricchezza; contro vanagloria, contro facil giudizio; contro apparente carità; contro amore interessato! Quanto così continua contra vos dicere? (…) Cristo rivoluzionò qualcosa di intoccabile e giusto all’umano seme: il sapere di iniziato era tutto per l’interno, nulla per l’esterno! Ma solo Egli volendo, come volle, cambiò dicendo: “Tutto per l’esterno né nulla per l’interno”!((1. Lc.23-44,46: “Era quasi l’ora VI°, quando si fece buio su tutta la terra fino all’ora IX°, essendosi eclissato il sole. Il velo del tempio si squarciò a metà”. Nel passo evangelico è appunto simbolicamente evidenziato ciò: le segrete conoscenze dei sacerdoti del tempio, fino a quel momento appannaggio esclusivo della loro casta che se ne avvaleva per esercitare il potere politico, vengono rivelate da Cristo all’esterno e il velo del tempio che fino a quel momento aveva celato alla vista del popolo il “Sancta Sanctorum”, si squarcia. -)) Così parlò della verità: l’udirono i semplici. (…) Ma come Cristo amò gli uomini? Quando conosceste rabbrividireste al pensiero che Egli vi disse: “Amatevi come Io vi ho amato”! (…) Ora io dico che so della vostra pochezza che fu mia anco; così vi dico: date un po’ un Natale di gioia a chi non lo ha! Sapendo così cos’è un dono non vi chiedo, o sordi, un dono. Sia il vostro almeno uno sforzarvi di donare. (…)
………………
Seneca Cristo fu ed è ucciso milioni di volte, e lo sarà ancora. I regni dei potenti sono polvere ed abbandonate vestigia; i grandi furono amati ed odiati, ma per il loro tempo, Cristo è stato ucciso e soffocato da Stati, idolatrie e dottrine politiche ma ancora risorge, Cristo fu amato ed odiato nel Suo tempo ma ancora per Lui sono disposti al martirio o ancora lo bestemmia l’uomo del duemila che non bestemmierebbe Cesare o Alessandro, contro di Lui ancora si erigono mura mentre spenta è ormai l’acrimonia verso qualunque anche grandissimo della storia. Eppure era un cencioso carpentiere di Nazareth che nulla ebbe d’onori se non il legno infamante che Roma riservava ai rinnegati; eppure era re della sconfinata serqua di uomini che si dibattevano nel dubbio, né mai esercito ebbe file più numerose; eppure offuscò la gloria degli imperi spandendo il suo amorevole potere nei cuori degli uomini. Così ancora dopo duemila anni è l’unica voce che parla da presso ad ogni creatura umile o potente: l’unica voce che nel dolore del mondo sussurra accenti dolci ma fermi di sicura ed invitta speranza. Costui fu solo uomo? Può non certificare di una realtà che non muore? (…)

 

Giungiamo quindi al punto in cui è necessario mettere a fuoco la missione di Cristo.

Quanto segue potrà gettare un raggio di luce in più di quanto finora compreso su quell’evento essenziale per l’intera umanità, che fu appunto la venuta di Cristo sulla terra e la conseguente realizzazione del piano salvifico.

 

Seneca Matteo 12-34, 36.
Noi (diamo lettura del passo evangelico).“Razza di vipere! Come potere dire cose buone voi che siete cattivi? Dalla pienezza del cuore parla la bocca. L’uomo buono da uno scrigno buono trae fuori cose buone, e così l’uomo cattivo da uno scrigno cattivo trae fuori cose cattive”.
Seneca In questo brano Matteo definì la missione del Cristo, che è il Figlio di Dio! In una sola frase la spiegazione del significato più profondo della Sua missione (…) che l’evangelista volle segnare a memoria e monito. EX ABUNDANTIA CORDIS OS LOQUITUR (Trad.: dalla pienezza del cuore la bocca parla). Ma quella traduzione travisa e falsa poiché non si tratta di pienezza ma di sovrabbondanza. Locuplete, trabocchevole sovrabbondanza. (…) Nell’era del vecchio testamento l’Io cosciente di sé era in condizione di covertura da parte dei tre involucri: il corpo fisico, l’eterico e l’astrale. Cosicché non aveva possibilità d’evento d’emersione. In tale condizione la legge veniva ad essere per così dire introdotta quasi a forza nel corpo astrale, la più elevata allora della parti. Accadeva dunque che la conoscenza della legge attraverso il corpo astrale facea sì che l’io seguisse giustezza di intendimenti al vivere. L’evoluzione spirituale acchè l’Io cosciente di sé emergesse comportava necessariamente due ordini di fattori: la conoscenza e perfezionamento di sé dell’Io stesso e tempi lunghissimi. Ma affidata alla bontà divina era la sorte dell’umana gente. Così venne colì (leggi: sulla terra) il puro spirito del Buddha. Egli rimosse la ruota della legge e, attraverso l’ottuplice sentiero, insegnò all’Io emergente l’Amore e la Compassione. L’Io cosciente di sé emergeva riempiendosi di coscienza di conoscenza. Ma se non fosse giunto il Figlio di Dio ad inondare del Suo programma ampio e vasto, come a voi, i rai solari, l’Io cosciente di sé avrebbe perfezionato in tempi lunghissimi se stesso della conoscenza e della capacità d’intendere la via del vivere. A questo punto, quel giorno di tanto a voi tempo addietro, un evento sconvolse rivoluzionando l’Io cosciente, mirabilmente contraendo i tempi di evoluzione((1. Quanto tempo infatti sarebbe occorso all’umanità per superare con le sue forze il proprio stato ed emergere dalla condizione di oscurità spirituale? Quanti errori, quanti peccati, e di conseguenza quanto maggior dolore sarebbe stato prodotto dall’uomo nel suo cammino evolutivo se non vi fosse stato il provvidenziale intervento del Cristo che, sacrificando Se Stesso, ha profuso Luce al mondo, dando avvio alla risalita delle creature umane e risparmiando loro, in tal modo, un cammino penoso molto più lungo? Egli si è fatto carico dei peccati del mondo, altrimenti non evitabili; Egli ha fatto Suo il fardello di dolore di cui l’umanità, altrimenti, si sarebbe gravata per chissà quanti millenni a venire.)) : la venuta del Cristo! Egli venne a penetrare l’Io cosciente di sé, ad inondarlo di Sé e del divino amore sì da far traboccare il recipiente. E ciò perché già Egli trabocchevole recipiente riempiva l’Io a sua volta traboccante in risonanza d’amore, sì ad altri spandere quella forza viva ed eterna che appellammo forza d’amore. Da ciò l’evidenza dell’entusiasmo che il Rabbi proponeva e contagiava e la conseguenza della fede che esigeva.Tale che fede è da definirsi. “L’io cosciente di sé che, accettando l’inondo d’amore del Cristo, trabocca forte, sì da spandere ai fratelli gigantesca poderosa forza d’amore: la virtù che prorompe spontanea”. (…)

La fede dunque non chiede in dono ciò che potremmo avere reso, chè sarebbe rimettere in cuore recipiente capace; ma il dono di ciò che sappiamo perduto già al donarlo, chè il cuore non sarebbe capace a riprendere, sempre in spumoso trabocco d’amore: L’io cosciente è debitore al Buddha della conoscenza dell’amore; è debitore al Cristo della capacità di colmarsi e traboccare di viva vita. In ciò la missione del Rabbi: così il cuore, che va inteso come l’io spirituale, quando trabocca, allora la bocca parla, vale a dire traduce in verbi che certo troveranno paragone nella vita. Ecco il senso di quel dire incompreso. (…)

 

Ed ancora in occasione di altra comunicazione Seneca ebbe a precisare:

 

Seneca Le ere postatlantidee, di cui parleremo un tempo, sono segnate dalle miliari III, IV e V. Così la terza dall’inizio dell’ottavo secolo a. C. ; la quarta, la greco-romana, fino al XIV/XV d. C.; l’attuale, la quinta, questa. Tre colonne a reggere il tempo dell’uomo. Ciò importa alla conoscenza di un cammino che, conosciuto, agevola il pellegrino di esso. Nella terza l’uomo brancolava nel buio. L’io era come goccia che di limpido liquor rifletteva la luce che, eterna, la circonfondeva.  E ciò vorrei capiste rapportato il paragone al Logos. Il mistero del Golgota fa sì che la gutta divenga fiamma ardente dall’interno ; che l’io cosciente pervaso s’incendia a brillare di propria luce donata. Attenzione: propria luce DONATA! (…) Cercherò di illustrare quanto più m’è dato fare. Voi appartenete a quel complesso insieme che conoscete già caratterizzato, nella condizione attuale, dal prevalere dell’azione del corpo fisico. In epoca a voi contemporanea, tale azione è stata ed è preminente e non più permeata dalla e permeante le altre dell’eterico e dell’astrale. Come vi ebbi a dire in altro tempo, e come ulteriormente ho da precisare, l’azione dell’io agiva in epoca remota sui tre corpi integrando la possibilità di interscambio di conoscenza su di essi e tra di essi. Ciò fu, …  e solo lo studio delle varie prospettive teosofiche può darvene conferma man mano nei secoli fino a giungere all’epoca greco-latina nella quale ancora permaneva un residuo di azione del corpo astrale sul fisico. In quell’estremo tempo giunse il Cristo. Egli penetrò le tre componenti già dette facendo sì che la propria Luce inondasse di Sé il cuore degli uomini. Chè ad alcuni diceva in termini alcuni, ad altri in termini altri: e ciò poiché poteva Egli solo dire alla bisogna ora al fisico, ora all’eterico, ora all’astrale. A questo punto v’è da aggiungere che il Maestro non avrebbe potuto giungere dopo, vale a dire in quel tempo che seguente avrebbe distaccato completamente il fisico dall’eterico. Ma si potrà obiettare: Egli avrebbe potuto giungere allorché avesse voluto, in ogni epoca: falso! Egli non poteva a meno di sintetizzare con la Sua discesa il diniego da parte di Dio della libertà umana. Questo poiché: prima avrebbe ancora potuto attendere una possibilità di salvezza creata dalla ancora fluida intersecante attività dei tre corpi; poi non avrebbe potuto più parlare di certe Cose a certo aspetto reale dell’essenza umana poiché l’assorbimento totale dell’io nel fisico avrebbe lasciato le Parole Sacre parole morte. Nel mistero della venuta di Lui abbiamo dunque l’esatto momento di libertà commista ad estremo salvataggio. Come però Egli poteva dire agli uomini-umanità; come aveva potere di far capire di certe cose: semplicemente distinguendo il grado di penetrazione dell’eterico sul fisico degli interlocutori. (…)

 

In altre più semplici parole l’uomo ad un certo punto della propria evoluzione, per una serie di “libere scelte” implicanti non il libero arbitrio dell’individuo singolarmente preso bensì la globalità di intere etnie, si è trovato immerso nella materialità sì da essere compresso fortemente e giungere al quasi completo ottundimento delle sue componenti animico-spirituali: il corpo eterico, il corpo astrale, l’io. La condizione raggiunta era tale da comportare la quasi impossibilità (pena tempi lunghissimi) di rigenerare “autonomamente” quelle parti che, in tal guisa, sarebbero rimaste soffocate.

L’intervento di Cristo giunge come estremo salvataggio, cioè prima che la materia abbia sopravvento; ma non solo.

Tale intervento doveva poter conciliare la libertà dell’uomo, e quindi delle sue scelte, con la necessità del suo salvataggio. Ma perché potesse attuarsi l’intervento dovevano osservarsi due condizioni: la tempestività e l’influenza su una delimitata area; dunque due fattori: quello temporale e quello spaziale.

Cristo infatti non poteva intervenire prima poiché ancora non verificatesi le condizioni estreme, né dopo poiché sarebbe giunto tardivamente: in quest’ultima ipotesi, infatti, il Cristo avrebbe dovuto impiegare “la dolce violenza di FOTISMOS”, avrebbe dovuto cioè imporre una sorta di illuminazione”, a tutta l’umanità ridotta ormai alla totale sordità alla Parola; ma ciò avrebbe determinato il “contravvenire” al principio del libero arbitrio e di autodeterminazione donati all’uomo per alto Volere. Dunque il piano salvifico costituisce una “eventuale necessità”: è infatti una necessità allorché si verificano tutte le condizioni implicanti la impossibilità di salvezza autonoma, eventuale per l’incertezza del verificarsi di dette condizioni.

Il secondo fattore, quello spaziale, esigeva che l’azione di soccorso fosse circoscritta ad una etnia ben determinata: “le pecore smarrite della Casa d’Israele”; ciò appunto per limitare sul minor numero possibile la forza di penetrazione del Logos, lasciando agli altri il totale dono di accoglierLo liberamente, facendo sì che fosse l’io, lambìto dal Logos, a chiedere per sua scelta la Parola e non a “subirla”.

Che l’intervento dovesse avere una ambito ben definito è chiaramente espresso dall’evangelista Matteo: Mt.10-5,7 “L’invio alla Casa di Israele”: “Questi sono i dodici che Gesù inviò, dopo aver dato loro i seguenti avvertimenti: “non andate in una via di Gentili, né entrate in una città di Samaritani. Rivolgetevi piuttosto alle pecore disperse della Casa d’Israele”. (…)”  ed ancora riferisce lo stesso evangelista che mentre Gesù si trova nella regione di Tiro e Sidone, una donna cananea gli chiese di guarire la propria figlia. Mt.15-24,28: “Egli rispose: “Non sono stato mandato se non alle pecore disperse della Casa d’Israele”. Ma essa venne a prostrarsi davanti a Lui e disse: “Signore soccorrimi!” Ed Egli: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma ella disse: “Sì, Signore; ma anche i cagnolini si nutrono delle briciole che cadono  dalla mensa dei loro padroni”. Allora Gesù rispose: “O donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come tu vuoi”. Da quel momento la figlia fu guarita”.

Nella ricerca di questo pane incorruttibile fu salvezza al mondo poiché l’io cominciava, nel chieder la Parola, a riaprire le brecce per l’interscambio con il corpo astrale, eterico e fisico. Così vi furono due ordini di uomini: i ricolmati del “fotismos” ed i lambìti dal Logos che vollero liberamente accoglierLo.

 

Se con la vittoria sulle tentazioni Gesù aveva vinto Se Stesso ed il mondo al quale aveva rinunciato per dedicarsi alla predicazione della Parole ed alle opere, volte a ritrovare e salvare le disperse pecore della Casa d’Israele, tuttavia non aveva ancora portato a compimento il piano di salvezza. Questo esigeva un’ulteriore scelta consapevole da parte di Gesù. Il Suo libero arbitrio, così come per qualunque altra creatura umana, Gli dava la possibilità di scegliere se accettare o meno la passione, l’infamia e la croce. Imboccare la porta stretta o la larga? Gesù non si autoinganna, sa bene cosa lo aspetta … e la Sua scelta è di una drammaticità infinita! Così si ritira a pregare come Sua consuetudine nell’orto del Getsemani e ad un certo momento “la Sua anima è triste fino alla morte”. E chiede al Padre, che teneramente chiama “Abbà”, di risparmiarGli la prova estrema, il sacrificio totale di Se Stesso. Ma aggiunge poi: “Tuttavia non ciò che io voglio, ma quello che Tu vuoi”. Ecco, la scelta libera a questo punto è compiuta. Gesù liberamente sceglie di conformarsi alla volontà di Dio Padre. In quel momento, oltre a prodursi invisibili effetti sui piani superiori della realtà, sul piano fisico si verifica un fenomeno veramente singolare: il corpo di Gesù trasuda sangue. Tale evento va interpretato come la espulsione di residue tracce di “egoismo” dall’organismo, un retaggio dell’ “influsso luciferico” che appartiene a ciascun uomo e dunque anche a Gesù.

Se sul piano fisico è percepibile il trasudato ematico, sul piano animico-spirituale è percepibile l’abbandono da quell’essere, già nobilissimo, delle residue tracce di egoismo.

 

Gesù dunque accetta, su un piano umano, di annullare Se Stesso; di più accetta il tradimento del fratello, la tortura fisica della flagellazione, la tortura morale del dileggio, l’abbandono (anche Pietro lo rinnega), infine l’agonia interminabile della croce, la massima condanna inflitta da Roma ai rinnegati. Che con il Getsemani si apra una nuova fase della missione di Cristo si può meglio comprendere se si pone attenzione al momento conclusivo d’essa: il “consumatum est”, (tutto è compiuto), pronunciato da Gesù sulla croce prima di spirare.

Ma se questo è il momento conclusivo di una delle fasi salienti della missione, è da dire che esso coincide con l’inizio dell’ultimo atto che ne costituisce il termine: la resurrezione e l’ascensione … la vittoria della Vita sulla morte.

 

Seneca Chi era dunque Cristo? E non dico Chi è poiché entreremmo là ove entreremo appresso. Chi Lo volle mago, chi patriota, chi taumaturgo, chi profeta. Nulla fu di ciò. Egli fu incantatore. Egli incantò il cuore degli uomini perché parlò loro nell’ora del dolore promettendo consolazione. Fu l’uomo della suprema aspettativa. La storia passa ma le Sue parole non passeranno. L’uomo che creò una religione; anzi La Religione che senza intermediari né senza pratiche che fossero appena piccole, parlava non a tutti gli uomini ma ad ognuno di essi non il solo programma di conformarsi alla Parola di Dio chiamando fratelli i più miseri e spregiati fra i dimenticati. Egli fu l’uomo della morte che veniva sconfitta dalla vita; Egli fu Colui che promise sul Suo Sangue che le porte d’inferi non sarebbero giunte a prevalere. (…)

 

Ma la figura dell’uomo di Galilea, di Colui che divise la storia in “prima” e “dopo”, è offuscata da un inquietante interrogativo: Non dubitò forse anch’Egli sulla croce?

Cito il passo di Matteo che, secondo fonti storiche, avrebbe scritto il testo originale del vangelo in aramaico, cioè nella lingua parlata al tempo di Gesù in Palestina:

Mt.27-45,50 –La Morte-: “… Dall’ora sesta fino all’ora nona si fece buio su tutta la terra; verso l’ora nona Gesù a gran voce gridò: “Eli, Eli lamà sabachtani?” Cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? “Alcuni dei presenti, uditolo, dicevano: “Egli chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la imbevve d’aceto e l’avvolse attorno ad una canna per dargli da bere. Ma gli altri dicevano: “Aspetta, vediamo se viene Elia a salvarlo”. Ma Gesù emise di nuovo un forte grido ed esalò lo spirito …”

 

Seneca “Eli, Eli lema shebaqtanij” è il primo verso del Targum presente nel Salmo “22” ove si annunzia del patire del Cristo: “Hanno contato tutte …”. Non solo: ma ripetendolo nessuna debolezza, anzi fino all’estremo il proclamare: “Io sono il Messia”. (…) Cristo patì come UOMO! E tale, soverchiato dall’iniquo pondo, ebbe ciò che è infisso nell’umana natura: il timore e l’abbandono. Ma nell’imperscrutabile mistero di tale irripetuta miscellanea Egli temette, subito soccorso dalla fede che dimostrò, titanica, poter essere posseduta da ogni uomo. Fu dunque seguito uno strano e misterioso connubio. Attenzione! Se nella paura umana Egli dubitò, con la fede Egli certificò. In altre parole, la natura e la debolezza fu preconizzata dalle Scritture e si diede rilievo ad esse con la nota implorazione; a significare della Sua debolezza Cristo ebbe effettivamente paura, ma nel momento in cui ripeteva il versetto, allora nessuna debolezza, solo certificazione della Sua realtà confermata dal Suo temere.

 

E’ da far presente che la maggior parte dei canti contenuti nei “Salmi” è di epoca compresa tra il X ed il III secolo a.C. Gli autori dei “Salmi” appartenevano a ceti o classi particolari: essi infatti erano teologi, leviti, maestri, profeti. Il Salmo “22”, in particolare, fu ed è considerato dai più “profetico” e più precisamente preconizzatore dei patimenti e della crocifissione del Messia già sin da allora atteso.

Ma volgiamo per un attimo lo sguardo su alcuni punti salienti del Salmo “22” di cui si discute:

 

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato,tenendo lontano il mio grido d’aiuto,………….…………………………………………………Ma io sono un verme e non un uomo,ludibrio della gente e scherno della plebe.Tutti a vedermi mi irridono ………………………………………………………………………Come acqua mi sono disciolto,

sono disgiunte tutte le mie ossa, ………………

…………………………………………………

Riarsa è la mia gola a simiglianza d’un coccio,

attaccata al palato è la mia lingua

…………………………………………………

Sì un branco di cani mi sta accerchiando, un’accolita di malvagi mi sta d’intorno.

Hanno forato le mie mani ed i miei piedi,

posso contare tutte le mie ossa.

Essi protendono lo sguardo,

si mostrano felici della mia sventura;

le mie vesti si dividono tra loro,

sui miei abiti gettano la sorte.”

 

 

 

Dunque, parafrasando quanto già esposto da Seneca, potremmo dire che Cristo sulla croce ad un certo punto avverte, umano, il senso della paura misto a quello dell’abbandono; quell’attimo di scoramento è superato dalla Sua fede che dimostra, titanica, poter essere di ciascun uomo, e quindi pronunzia la frase del Targum che, se pur detta a certificare la Sua realtà di Messia, è tuttavia, in certo senso, ammissione a gran voce di ciò che poco prima aveva provato realmente, sì che le Scritture si adempissero.

Se non fosse stato pronunziato quel grido, nessuno avrebbe potuto sapere che ciò che era stato predetto per il Messia si era verificato realmente, poiché Egli ERA il Messia.

Nel momento del grido, dunque nessuna paura, solo certificazione di una realtà. Riprova ne è che nel Vangelo di Matteo, scritto in originale in aramaico, la invocazione del Cristo viene tradotta dallo stesso evangelista, dato che la frase è stata pronunziata in ebraico antico, lingua originaria delle Scritture. Essa, perciò, non può essere che una citazione. Ulteriore riprova è il fatto che gli astanti ebrei (e non romani, attenzione) credono di capire che Egli stia invocando il profeta Elia.

Ma facciamo un’ultima elementare considerazione in proposito: se Gesù, in quanto uomo, avvertì il dolore fisico dei chiodi infissi nelle Sue carni, perché meravigliarsi se, allo stesso modo, provò la sofferenza della paura ed il senso dell’abbandono? Egli fu uomo e come tale patì tutti i dolori che quella esperienza comportò. Ecco un altro elemento che può aiutarci a capire come Gesù sia stato l’Uomo della “comprensione”; chi più, e meglio di Lui avrebbe potuto comprendere l’umanità dolente?

 

Seneca (…) Cristo infonde pace nei cuori; Cristo asciuga i pianti; Cristo rasserena gli animi che vagano nella notte; Cristo ti percorre la schiena d’un brivido d’amore; e la tempesta del dubbio si placa, e un vento di pace effonde nel cuore: Hic Christus! Extra nihil! (Trad.: “Questo è Cristo! Tutto il resto è nulla!”).

 

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