Su Gesù – Il Logos – Giuda
Nelle varie epoche storiche si sono succeduti grandi profeti, spiriti elevatissimi, che hanno aiutato l’umanità indicandole la corretta via da percorrere. L’uomo non è stato mai abbandonato a se stesso, ma sempre è stato seguito ed assistito dall’Alto ed in modo tale che la sua libertà – grande dono di Dio – rimanesse intatta. Da tempo immemorabile grandi uomini iniziati sono stati interpreti dell’Amore del Logos verso l’umanità; Spiriti illuminati che si erano preparati attraverso la dura disciplina e lo studio di scienze occulte impartite da segrete scuole di iniziazione ai Misteri cui si rendeva necessario il voto del silenzio: Krishna, Mosè, Pitagora, Platone, Buddha e, naturalmente, Gesù, il più grande di tutti, il quale ruppe clamorosamente la tradizione del segreto e rivelò il sapere nascosto affinché a tutti coloro che avessero voluto, fosse concesso di comprendere la Parola, penetrare il Mistero, prenderne coscienza e seguire il cammino della salvezza per se stessi e per i fratelli meno pronti.[31]
Lo conobbero come il “Falegname di Nazareth”, l’“Unto del Signore”, il “Gesù Cristo”, il “Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo”; ed agli ultimi tra gli ultimi, vinti ed oppressi, schiavi e prostitute che sostavano un poco ad ascoltarlo lungo le colline delle terre di Galilea, Egli diceva: “Io sono la Via, la Verità, la Vita: chi crede in Me anche se muore vivrà; e chi vive e crede in Me non morirà in eterno”. Questo messaggio di speranza e di vita eterna Egli mandava ai cuori di coloro che non ritrovavano più in sé la luce per rischiarare il proprio dramma del vivere; schiacciati, in quel tempo, dal tallone di Roma, e vessati, in quei luoghi, da una religione che rispettava più la “Legge dei Padri” che la persona umana.
“Beati gli afflitti – diceva – perché saranno consolati”: così il Cristo offriva conforto alla disperazione ed alla solitudine di tutti gli uomini che, per ogni dove e per ogni età, nella disperazione e nella solitudine si dibattono senza riuscire a liberarsene.
I due più inaccettabili ed insopportabili misteri per la natura umana, la “Morte” ed il “Dolore”, venivano in tal modo riportati dal Salvatore nelle dimensioni dell’accettazione e della sopportabilità grazie alla promessa della “Vita Eterna” per chi in Lui crede e vive, e mediante il conforto della consolazione per chi annega nella sofferenza.
Ma… Chi era; o… Cos’era, dunque, Quest’Uomo chiamato “Gesù” e detto “il Cristo”, ossia l’unto del Signore? E… Quale “Forza” era in Lui tale da lasciare, nei secoli, il più forte e rassicurante messaggio di vita e serenità che l’umanità abbia mai conosciuto?
Si disse: Figlio di Dio.
Egli era nel “Logos”, ed il “Logos” era in Lui; anzi, Egli Stesso era il Logos.
Entriamo dunque nel Mistero che tutt’oggi avvolge come nebbia Colui che volle porsi alla testa di quello sconfinato esercito formato da cenciosi e randagi e dimenticati e afflitti della terra e nella cui persona Iddio Stesso volle fare albergo ‘sì che comunione si ebbe tra Logos e Spirito di lui, talché l’Altissimo carne si fece in quell’uomo e l’uomo Dio divenne.
Come comprendere e sfiorare con la ragione l’evento che tuttora d’energia divina fa vibrare la storia dell’uomo? Se miracolo fu, lo fu per certo perché da Amore spinto, ma qui d’Amor parliamo che ignoto all’uom rimane, e solo d’alte note Colà risuona in unisono accento.
E musica armoniosa d’Amore generò l’incontro tra l’Amor del Logos e l’Amor del Fante Suo: quell’Amore che risuona a lente note nella serenità dell’armonica armonia delle Superne Sfere.
In quell’eccelso Loco fu dal Cristo raccolto l’impegno a cotanta impresa che petita mai gli fu dall’Alto, perché l’Amore, nella Dimensione Somma, è dono solerte a prevenir l’istanza.
Ordunque, per cercare di squarciar velami che ci impediscono di cogliere l’idea sul Logos e sul Figlio Suo – che pur sempre diafana rimane alla mente umana -, dovremo qui affrontare le fatiche dello scioglier nodi che serran la ragione ed il pensiero.
Quale la Sua missione? Riattivare i canali di comunicazione ed interscambio tra il “Sé” di ciascun uomo, allontanatosi (sia pur apparentemente) dalla Fonte ed ormai isolato, e gli altri suoi Corpi sottili: in uno il “sé”.
E cronologicamente ripercorriamo in breve le tappe che hanno segnato l’evoluzione dell’uomo.
Da una comunicazione di L.A.S. risalente al 23/03/1986
Dall’era lemuro-atlantidea alla greco-romana lo spirito si fece tutt’uno con l’entità materiale toccando il fondo di ciò che ne sarebbe stata la massima impregnazione nell’era in cui fu umano Lucio Seneca. Toccato l’apice del fondale in cui si immerse vivificando la materia, lo spirito aveva, di provenienza iperuranica, a risalir le stelle. Ma incatenato nel regno che fu di questo mondo e tiene ed è, lo spirito ebbe difficoltà a risalir per firmamento. Così salvo fatto per esigue iniziatiche sette. Esse serbavano la metodologia per giungere alla epiphaneia. Ecco il Salvatore che spezza la spirale: se era necessario immergersi per volontà di cui diremo, era impellente ablarsi dalla materia. Ciò l’imponente compito che solamente chi purissimo spirito poteva compiere: calare sé in carcere per rursus evincersi da esso. Sic Christus. Vi ricordo che vi trovate solo allo stadio di paraskene a lottare ancora col mio aiuto disatteso contro il guardiano della soglia.
Dunque, in un tempo lontano l’io cosciente di sé era incapsulato, durante la vita terrena, nei tre involucri: il corpo fisico (ovvero “ordinario”), il corpo eterico (o “Sottile”) ed il corpo astrale (o “Causale”). Nell’era del vecchio testamento l’uomo si era a tal punto immerso nella materialità che l’io cosciente non aveva possibilità di emersione attraverso i tre corpi. La Legge veniva introdotta ab externo nel corpo astrale (che era il più elevato dei tre) e faticosamente recepita dall’uomo quale guida alla sua condotta. In tale condizione l’evoluzione spirituale necessaria per l’emersione dell’io cosciente (attraverso la conoscenza del sé) avrebbe richiesto per l’umanità tempi lunghissimi ed un percorso estremamente doloroso.
In quel tempo giunse il Cristo. Ossia la Misericordia Dei operò in soccorso dell’umanità nel modo più diretto: entrando Essa Stessa, per il tramite del Maestro, direttamente nella storia; non perché Dio entra nella storia, ma perché l’uomo entra nella storia. E Gesù fu l’uomo che, entrando nella storia, fu portatore dell’Amore divino che si diffuse per il mondo e fu lievito di Misericordia per l’intera umanità.
Sulla figura esoterica di Gesù e sulla Sua missione è necessario soffermarsi un po’ più per meglio comprendere la portata dell’impresa salvifica.
Non ci si addentrerà in disquisizioni ed analisi volte a dimostrare la esistenza storica di un profeta di nome Jhoshua (Gesù) ben Giuseppe Pediah della stirpe di Davide dandola per scontata come testimoniano talune fonti storiche (esigue purtroppo) e concordanti riferimenti probatori[32]. Gesù di Nazareth – sulla cui natura umana non v’è da dubitarsi essendo Egli nato da donna – solo intorno ai 35 anni inizia la Sua vita pubblica.
Dell’infanzia di Gesù sappiamo poco ed ancor meno della vita che Egli trascorse dai 12 ai 35 anni circa. Taluno sostiene che li passò presso una comunità, quella dei Nazorei, cioè degli Esseni, che, insediata sulle rive del mar Morto, conduceva una condotta di vita etica e fraterna. Della comunità inoltre facevano parte i Maestri di conoscenza e di verità che impartivano ai giovani, particolarmente versati e dotati, insegnamenti occulti secondo un’antica quanto misteriosa regola. Taluno ritiene che a tali pratiche Gesù fosse stato “iniziato”, divenendo Egli stesso Maestro e depositario di tale Scienza e delle sue discipline, che permettevano il controllo ed il dominio di misteriose energie e delle forze della natura ignote agli uomini comuni. Della lunga permanenza in tale comunità sarebbe rimasta traccia nella sua caratteristica tunica: una veste dalla tessitura particolare e priva di cuciture che, come è descritto nei vangeli, i soldati ai piedi della croce si disputarono a sorte.
In Gesù si concentrarono poteri magici, medianici e taumaturgici e, ad un tempo, sentimenti di bontà, di compassione, di altruismo e di sacrificio. Questo l’uomo che, per poteri, conoscenza, cultura, doti morali, giganteggiava (anche fisicamente) tra i suoi simili del tempo, e che, proprio per tali eccezionali capacità, era votato ad altrettanto eccezionale destino.
Egli, alle moltitudini accorse, poiché desiderose di ascoltare la Parola, accarezzava le corde del cuore con la Sua voce che, come musica, scendeva giù nelle profondità dell’anima stravolgendo la mente e mutando la vita di chi lo udiva assistendo ai Suoi ammaestramenti, alle Sue guarigioni miracolose. Insegnava servendosi talvolta di parabole per essere più comprensibile e rendere più facilmente assimilabile l’essenza della Parola indirizzata alle moltitudini: il Pane di Vita; e le folle si aprivano alla speranza poiché si sentivano comprese, accolte, consolate, guarite.
Ai suoi discepoli, in segreto, spiegava e dipanava i nodi delle questioni più complesse da comprendere e che sconfinavano nel sapere occulto. Ma perfino tra costoro solo pochi erano in grado di seguire gli insegnamenti più elevati: Giovanni, Giacomo e Pietro.
È necessario tener ben distinte la figura di Gesù di Nazareth (altresì definito l’Agnello o Unto del Signore) dal Logos Solare Universale e rammentare come Quest’ultimo sia penetrato nelle componenti sottili e fisica di Gesù divenendo un tutt’uno con Lui. Questo ci permette inoltre una migliore comprensione di passi evangelici che ci rimarrebbero altrimenti oscuri dal momento che in genere il lettore non fa distinzione fra le due figure. Va premesso che tutta l’attività iniziatica e di disciplina condotta da Gesù costituì la preparazione del proprio essere all’accoglimento della Divinità: Egli, infatti, aveva raggiunto un tale grado di perfezione da essere idoneo a tale compenetrazione.
V’è da chiedersi in quale specifico momento si sia verificata la accoglienza del “Sé” nel “sé” di Gesù, direi meglio la fusione tra Essi.
L’evento, che ha portata fondamentale e grandiosa ad un tempo, si svolge sul fiume Giordano e viene registrato e riportato dall’Evangelo di Matteo con il racconto del battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista. È da precisare che il battesimo in generale, anche quello dei nostri giorni – sebbene non compreso dai più nel suo significato profondo –, va inteso come “passo di iniziazione”. Del resto negli Evangeli sono evidenziati (per chi vi sappia leggere) molteplici tappe iniziatiche. Ma in definitiva che cosa è il battesimo? Esso è rito, e come tale esplicante un forte potere evocatorio di energie cosmiche; esso sancisce in chi vi si sottopone la ferma promessa di un cambiamento di vita (dunque una conversione), l’abbandono di quella dissoluta ed egoistica per intraprenderne altra nuova, retta nei pensieri e nelle opere: la metànoia (mutamento della mente). Il rito permette altresì al battezzando di aprirsi all’inondo della Divinità col manifestare la libera volontà di accoglierla. Nel discepolo battezzato, dunque, si opera un cambiamento, una rinascita poiché il battesimo dovrebbe essere inteso come cerimonia di accoglimento della Divinità, ovvero accoglimento del Logos/Sé nel “sé”. Non a caso esso avveniva – e lo dovrebbe ancora – mediante immersione completa dell’individuo nell’acqua e, così come si nasce biologicamente dalle “acque” del liquido amniotico, parimenti si “rinasce”, emergendo rinnovati dalle acque del fonte battesimale: si ritualizza in tal modo il momento sacro in cui l’uomo che cerca Dio, per averlo liberamente e consapevolmente scelto, tende la sua mano verso l’Alto acché l’Alto lo incontri, lo abbracci, lo inondi.
Anche Gesù si sottopose pubblicamente al rito che in quel caso palesò un evento grandioso e sconvolgente: nel Logos si perfezionò il coniugio tra l’uomo Gesù e Dio. Come fa notare Epifanio nel vangelo del proto-Matteo: “(…) E salito che fu dall’acqua, si aprirono i cieli ed Egli vide lo Spirito Santo, in forma di colomba, che scese ed entrò in Lui[33] . Ed una voce disse dal Cielo: “Tu sei il mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto (εύδοκέω = il compiacersi)”. Ed ancora: “Oggi ti ho generato. (…)”.
Bene, come detto in precedenza, da quel momento in poi, fino a quando Gesù pronunzierà sulla croce la frase “Eli, Eli lama sabactani?” (Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?), vi sarà una perfetta aderenza e fusione tra la Divinità (il Sé/Logos) ed il “sé” di Gesù di Nazareth, tale che nel lettore dei vangeli canonici non possa distinguersi quasi l’Uno dall’Altro. Nel Vangelo stesso Gesù proclama apertamente ciò nell’affermare: “Io e il Padre siamo Uno” (Giov. 10-30); “Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che Gli sono gradite”. (Giov. 8-29).
È grazie alle doti medianiche di Gesù che il Logos parla attraverso Lui, anzi attraverso l’apparato fonetico di Gesù che chiama “il figlio dell’uomo”.
Ciò è ravvisabile in molteplici passi evangelici che, solo se intesi in tal modo, appaiono nella loro piena chiarezza:
- “Ecco: noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’Uomo sarà dato in mano ai prìncipi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno in mano ai gentili; lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma egli dopo tre giorni risorgerà” (Mc. 10/33-34).
- “ed aggiunse: “È necessario che il Figlio dell’’Uomo soffra molto, sia condannato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, sia messo a morte e risorga il terzo giorno” (Lc. 9/22).
- “Mentre si aggiravano per la Galilea, Gesù disse loro (ma in realtà è la divinità che parla di Gesù n.d.a.): “Il Figlio dell’Uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo metteranno a morte; ma il terzo giorno risorgerà”. (Mt. 17/22).
- Gesù rivolto ai discepoli chiede: “Voi chi dite che io sia?”; Simon Pietro risponde: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; e Gesù: “Beato sei tu o Simone figlio di Giona, poiché né la carne, né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli.” (…) poi comandò ai discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo”. (Mt.16/13 – 20).
- In occasione delle 3 tentazioni nel deserto cui il Cristo risponde: “Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio; non tenterai il Signore Dio tuo; adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto”.
- Gli dice Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta”. Gli dice Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e non mi hai conosciuto Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire “mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre ed il Padre in me? Le parole che io dico non le dico da me stesso; il Padre che dimora in me fa le Sue opere. Credetemi: io sono nel Padre ed il Padre è in me. Almeno credete a causa delle opere stesse. In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch’egli farà le opere che io faccio e ne farà anche di più grandi. (…) (Gv. 14/6-13).
Il Logos permea di Sé ogni creatura umana. Il risultato di tale “Impregnazione Divina” è dato dal “Sé” (maiuscolo). Questi presenta un duplice e misterioso aspetto nella propria Divina Natura: se da un canto, infatti, è inscindibilmente correlato ai tre “Corpi” umani (Ordinario, Sottile, Causale) nel corso della vita terrena d’ogni uomo, acquisendo da essi, nel tempo, “Esperienza di Conoscenza” e “Coscienza di Conoscenza”, dall’altro canto Si riflette ed esiste in eterno nell’“Universalità Eterna dell’Uno”, sopravvivendo alla morte fisica di colui che Gli appartiene, ed anzi possedendo facoltà di ritornare nella carne umana per un nuovo ciclo di Esperienza di Conoscenza e Coscienza. E tale Esperienza prende scaturigine dalle libere scelte dell’individuo, vale a dire dal suo cosiddetto “Libero Arbitrio”; quel Dono dell’Amore Divino, cioè, che dà facoltà e capacità di scegliere se indirizzarsi verso le tenebre della materialità (il soddisfacimento egoico, quindi, delle pulsioni terrene), oppure verso la ricerca della Conoscenza e della Coscienza di Conoscenza che approssima alla Luce della Divinità (l’ascolto, quindi, della cosiddetta “Coscienza Morale”, ch’è “Grazia” Divina). Grazie al Libero Arbitrio, l’Uomo, dopo la discesa nella materialità con il corrispettivo carico di dolore, solitudine e peccato, indispensabili per l’acquisizione dell’esperienza, potrà, volendolo, abbandonare il transeunte e misero “regno delle tenebre” per fare ritorno al grande ed eterno “Regno della Luce”.
Torniamo ora ad immergerci nel Mistero Cristico del Logos (vero Dio) Che Si è fatto uomo (vero uomo).
Gesù, compassionevole ed amorevole verso quell’esercito di diseredati e miseri, chiede al Logos di perdonare, di guarire, di sanare, di riportare in vita ed il Logos, padrone e Signore dell’universo, perdona, sana, guarisce ridona vita, nulla nega il Logos a Gesù che chiede per costoro.
Con il dono di fòtismos (miracoli ed altro) Cristo forzò dolcemente in taluni l’azione di penetrazione dell’Io sui tre corpi minori; in altri vi fu spontanea accoglienza della Parola/Logos, poiché Egli riusciva a sussurrare ai loro cuori, incantandoli; pochi altri ancora chiesero fiduciosi (come la donna sirofenicia) la Parola che Egli donò dissetandola con acqua di Vita; e con Acqua di Vita ancora oggi continua a dissetare. Dico ancora oggi poiché il dono del Cristo non si esaurì in quell’evento storico lontano di molti anni, ma persiste e continua a produrre i Suoi benèfici effetti sull’umanità, specie in coloro che riescono a credere senza avere visto e che Lo accolgono anche se tardivamente. Quell’evento – circoscritto ad una minuscola cerchia di persone di una piccola comunità di una lontana provincia romana, fortemente radicata ad una tradizione religiosa talvolta fuorviante e densa di ipocrisie – salvò il mondo.
Al compimento della missione il “Sé-Logos” chiude ogni comunicazione con Gesù, ossia con il Suo piccolo “sé” poiché è necessario che il Messia da solo, alla stregua di qualunque altro umano mortale, affronti la sofferenza della tortura, del patibolo e della morte; ed infatti in quel momento estremo, l’abbandono del Padre (come Egli chiamava il Logos) provoca in Gesù umanissima ed infinita solitudine. Ma allorché recita la nota frase: “Eli, Eli lama sabactani?” (“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”) la sua fede titanica ha già vinto. Pur immerso nel più profondo senso di abbandono, non è questo il grido di disperazione che Gesù morente rivolge al Padre (come taluno ha voluto intenderlo fuorviandone il senso), bensì la citazione in ebraico antico del versetto del Targum che preannunziava la venuta del Cristo. Con quelle parole Gesù certifica fino all’ultimo di essere proprio Lui il Messia preconizzato dalle scritture e tanto atteso. Gli astanti (di lingua aramaica) non comprendono infatti il suo dire e credono che stia invocando Elia, come riporta fedelmente il Vangelo di Matteo (Vs. Mt.27/45-49).
La seconda grande rivoluzione fu quella di rendere i Misteri accessibili a tutti e non esclusivamente a pochi adepti: di qui il simbolo del velo del Tempio che si squarcia, rendendo così tutti potenziali partecipi del Dono.
Fino ad allora infatti, il rito dei Misteri veniva celebrato dai soli sacerdoti all’interno di un’area del Tempio celata alla vista del popolo da una grande tenda, una cortina che nel rito Cristiano Ortodosso è oggi sostituita dall’iconòstasi, inesistente nel rito Cattolico.
Che cosa ci ha lasciato il Cristo-Gesù? Il Suo sacrificio ha permesso di dare a noi in dono la Chiave… la chiave che può consentirci di aprire il battente del Cielo[34].
In Gesù abbiamo la prima manifestazione di ciò che potenzialmente ciascun uomo possiede, fino a giungere alla Resurrezione che costituisce sublimazione della materia che dal “sé” (male perché egoica rappresentazione della separatezza dal tutto) si “trasferisce” nel “Sé” (Bene), aprendo in tal modo un nuovo ciclo.
Il piano salvifico perdura nel tempo umano poiché, come ci racconta Giovanni nell’Apocalisse, nell’accettare il libro suggellato sette volte, Egli si impegnò ad accompagnare le sue pecore finché anche l’ultima non fosse messa in salvo. Egli considera gli uomini propri fratelli e, da Fratello Maggiore, interpretando, ma soprattutto facendo Suo, non tanto il volere quanto l’amore del Padre, è disceso in soccorso per ricondurli a Lui : … e si offrì, si offre e si offrirà in DONO!!!
L’avvento sulla terra di Gesù è da intendersi dunque come DONO all’Umanità che il Grande “Sé” di Gesù elargisce avendo dapprima incarcerato nella carne e calato nell’umano dolore Se Stesso, ed essendoSi impegnato poi a non lasciare da sola l’umanità dolente, ma a mantenere il legame con essa fino alla fine dei tempi.
La fusione col Logos, così come avvenne con Gesù di Nazareth, è potenzialmente realizzabile in ogni uomo.[35]
Poiché però ogni creatura umana è lasciata libera, occorre che vi sia una primigenia volontà autonoma da parte dell’uomo di ricevere il Logos; in secondo luogo, che egli si renda accogliente all’inondo della Luce. Se vi saranno le premesse e le condizioni necessarie, il piano vibratorio umano cambierà e si trasformerà.
Ecco perché Giovanni nell’incipit del suo Vangelo ci dice della vibrazione alta, rappresentata dalla Vita, ossia dalla Luce che il Logos infondeva.
Morire alla carne – ma presumibilmente anche alle altre componenti animiche di cui siamo composti – rappresenta, come si è detto, l’omega di un ciclo che però è anche, al tempo stesso, l’alfa di un ciclo nuovo che appartiene ad un piano vibrazionale più elevato: la resurrezione dell’uomo vivificato dal Logos. Dunque, Gesù è il primo uomo risorto, ma è anche nunzio di resurrezione per l’umanità intera quando i tempi saranno giunti a maturazione.
L’Amore che è nel “sé” (che è poi Misericordia del Logos verso il “sé”, ovvero della Luce verso la sua parte di ombra) come prima scintilla è l’Alfa, il principio.
Nessun uomo ne è privo; anche il peggiore, il più crudele, non rimane insensibile all’amore e, pur in minima parte, ama. Perfino Hitler amò. Di quanta tenerezza sono intrise le immagini cinematografiche che lo ritraggono con il suo cane lupo Blondie! Anch’egli percepiva dentro di “sé” la Voce d’Amore del Logos. Egli, sia pure a suo modo, amò la Germania, ma, ahimè, la volle grande, potente e dominante anziché evoluta e generosa.
È in definitiva l’amore che spinge e muove l’uomo il quale, per tappe successive, “crescerà” in conoscenza, in amore ed in coscienza, percorrendo ciascun gradino via via più elevato, attraverso le fasi “Beta” e “Gamma” e “Delta” etc., fino a giungere a quella plenitudine di Amore di cui solo Gesù crediamo capace di riempirSi e quindi spandere e che trova apparente conclusione (l’Omega) nell’estremo sacrificio del dolore e della morte sulla croce. “Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo”[36].
Nell’Apocalisse Giovanni ci dice che in Cielo non si trovava alcuno capace e degno di condurre a termine la missione salvifica dell’umanità; per tale motivo egli prese a piangere… chi mai avrebbe potuto esserlo? Chi mai avrebbe accettato tale missione? L’evangelista allora, confortato dalla voce dell’Angelo, ci racconta:
“Non piangere. Ecco ha vinto il leone della tribù di Giuda, il rampollo di Davide affinché apra il libro ed i suoi sette sigilli”. “In mezzo al trono ed ai 4 Viventi ed in mezzo agli Anziani vidi un agnello eretto, come sgozzato. Egli aveva sette corna e sette occhi che sono i sette Spiriti di Dio inviati per tutta la terra. Allora venne e ricevette il libro dalla destra di Colui che siede sul trono.
E quando ebbe ricevuto il libro, i 4 Viventi ed i 24 Anziani si prostrarono davanti all’Agnello (…) e cantavano un cantico nuovo, dicendo:
Tu sei degno di ricevere il libro e di aprire i suoi sigilli. Poiché sei stato sgozzato ed hai riscattato a Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù e lingua, e di ogni popolo e nazione e ne hai fatto per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sulla terra”. (Apoc. 5/5-10)
Quello Spirito Altissimo era Gesù, l’unico che avrebbe potuto attuare il piano universale di salvezza sulla terra: possedendo i 7 Spiriti di Dio poteva infatti identificarsi in Lui e rappresentarLo trasformando noi tutti in “sacerdoti”, ossia donandoci l’opportunità di divinizzarci.
Abbiamo così Dio Stesso (il Logos) che viene nel mondo (ossia partecipa direttamente della vicenda umana) facendoSi carne attraverso Gesù (l’Agnello immolato): il Cristo.[37]
Dunque, l’Unto del Signore, ovverosia, colui che è stato consacrato dal Signore poiché da Dio Stesso ha ricevuto riconoscimento di altissimo, nobilissimo rango.
L’evento sconvolgente era atteso dagli ebrei poiché era stato annunciato nelle scritture da profezie: “Ecco invio il mio messaggero; egli preparerà la via davanti a Me. Subito entrerà nel suo santuario il Signore che voi cercate; l’angelo dell’alleanza che voi desiderate eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sosterrà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore, è come la soda dei lavandai. Egli siederà a mondare e purificare. Purificherà i figli di Levi”. (Ml. 3/1-3).
“Ecco, io vi invio Elia il profeta, prima che venga il giorno del Signore, grande e spaventoso! Egli ricondurrà il cuore dei padri ai figli e il cuore dei figli ai padri, affinché io non venga a colpire il paese d’interdetto!”. (Ml. 3/23).
Sono passi delle profezie di Malachia, il quale preannuncia l’arrivo di un messaggero (Gesù) che aprirà la via che duce a Dio. Gesù, messaggero del Signore, ha effettivamente infranto le catene dell’umano genere e indicato la strada da percorrere all’indirizzo del Padre. Il Signore (ossia il Logos) – afferma ancora il profeta – entrerà subito nel corpo (anche nei vangeli il corpo fisico è chiamato da Gesù santuario o tempio) del messaggero che è un angelo (in senso greco anghelos significa nunzio, messaggero) il quale intraprenderà un’azione purificatrice. Prima della venuta del Messia ritornerà Elia per predisporre per tempo coloro che sono i destinatari del messaggio acché questo non li trovi impreparati.
Come sappiamo Gesù, rispondendo ai discepoli che gli dicevano che, stando alle scritture, sarebbe dovuto tornare Elia, fece capire ai suoi che le profezie si erano avverate e che Elia era già arrivato, ma che nessuno lo aveva riconosciuto essendosi reincarnato in Giovanni il battista, il santo predicatore e battezzatore e convertitore delle genti[38]. Quest’ultimo è descritto da Matteo evangelista come persona coperta da una veste di peli di cammello stretta ai fianchi con una cintura di pelle e che si nutriva di miele selvatico e locuste così come faceva Elia (v.si 2° Libro dei re 1/8. “(…) Gli risposero: “È un uomo vestito di pelo con una cintura di cuoio stretta ai fianchi”. Quegli esclamò: ”È Elia il Tisbita!”).
Il Mistero dell’impresa salvifica si imperniava e si impernia ancor oggi su tre condizioni: la Libertà dell’uomo, intangibile per l’Alto volere del Padre; la Legge divina che impone le condizioni per il riequilibrio dell’armonia turbata, ossia la legge del Karma; l’Amore quale forza creatrice e quale insopprimibile sentimento del Logos per le proprie creature. Come conciliare l’una senza violare o disattendere l’altra?
Dio avrebbe potuto, se avesse voluto, mutar d’un balzo l’oscura parte libera in pars luminosa, ma avrebbe così imposto il Suo volere soffocando quella libertà da Lui Stesso sancita per le sue creature, ed avrebbe al contempo infranto la Sua Legge ed i meccanismi in essa insiti per il riequilibrio dell’armonia. E allora?
L’Amore mosse Colui che già vibrava in altissime note all’unisono col Padre Celeste: il Sé luminosissimo del Cristo. Egli si fece interprete dell’Amore del Padre, ossia del Logos per il Suo creato e dunque per le Sue creature, ed entrò nella storia facendosi uomo e incarnandosi in Gesù per indicare la strada del ritorno ai fratelli dispersi e soffocati dalla materia, abbreviando così i tempi del loro ritorno alla Luce ed alleviando altresì il carico immane di dolore dell’umanità il cui peso ora, come allora, poggia in grandissima parte sulle spalle Sue, quel dolore generato dal male del mondo, generato dal peccato dell’umanità intera: il Peccato Originale[39].
L’Amore, una forza che attrae, ma senza imporre alcunché se non scelto; l’Amore che per lasciare inviolata la Legge accetta il sacrificio più alto acché il prezzo della sanzione sia pagato! Dunque, nessuna costrizione, dunque nessuna violazione della Legge.
Gesù incarnato ha vibrato in perfetta sintonia col suo Sé (Maiuscolo) già sincrono in Amore col Logos. Dal che, si può proclamare a gran voce che Gesù Cristo fu – sì – vero uomo, ma fu anche – sì – vero Dio: Unus Deus Unus Homo in Christo.
L’altissimo “Sé” (grande) di Gesù, dunque, ha interpretato appieno la parte del figlio carcerandosi nel “sé” (piccolo) umano, ma anche quella del Figlio (seconda Persona della Trinità) aderendo in pieno al Logos di Cui ha colto totale Consapevolezza lasciandosi completamente permeare ed anzi divenendo Egli Stesso Logos Solare Universale in perfetta adesione ed armonia con Esso.
Ecco la ragione per la quale sopraggiunge la “resurrezione”; in questo caso ravvisabile nell’esplosione del “Sé” che si libera della spoglia e che trasforma il cadavere di Gesù in fotoni di luce (Sindone?); ovvero resurrezione della carne – come vuole intenderla la Chiesa cattolica -, ma che è in realtà la rappresentazione manifesta sul piano fisico del passaggio dalla realtà tenebrosa del non-essere a quella luminosa dell’Essere.
Il “sé” (piccolo) morendo dona vita cosmica al “Sé” (grande) di Gesù che diviene per noi Vero Dio e vero uomo. Così operando, Egli legò karmicamente il suo “Sé” (ormai dilatatosi in termini di coscienza tali da essere da noi equiparabile al Logos e dunque a Dio) al destino dell’uomo, di ciascun uomo.
In conclusione, Egli può affermare “sono l’Alfa”, il principio, perché il Logos nella Misericordia divina si fa carne; può altresì affermare “sono l’Omega”, la fine, poiché il Logos per Misericordia Divina giunge alla croce ed attraversa la morte così come la attraversano tutti gli uomini incarnati. Con la morte fisica chiude il ciclo, ma per aprirne uno nuovo che si palesa all’uomo attraverso la Sua resurrezione.
Gesù dunque risorge, ma non per tornare ad essere quel Gesù come fisicamente lo conobbero i discepoli.
Gesù risorto ha perduto le fattezze somatiche umane; Egli ha assunto una figura/immagine umanizzata prodotta dal Suo Sé/Logos Solare; non viene infatti riconosciuto da Maria di Magdala che lo scambia per l’ortolano del campo in cui si trovava la tomba ormai vuota; Gesù ha vinto la morte, è risorto.
Questo il messaggio finale che rimane all’umana progenie che si dibatte nel dubbio della ragione: “Tu uomo puoi vincere la morte come Io feci”; questo il simbolo che Lo rappresenta: Una tomba vuota!
Accogliere il Logos, ecco l’esortazione che, forse mal compresa, volle ribadire Giovanni nell’incipit del suo evangelo: poiché significa accoglierLo nella Sua proprietà nonostante ci sia stata data in dono la libertà di respingerLo, di rifiutarLo.
Così come noi siamo lasciati sempre liberi di accogliere la Parola, e con Essa il Cristo/Logos, parimenti fu libero il Grande “Sé” di Gesù (in veste di Agnello come rappresentato nell’Apocalisse), di accettare il libro sigillato che Gli veniva porto e, così facendo, di accogliere l’impegno con Dio acché l’opera salvifica in favore dell’uomo avesse realizzazione. Dunque, scelta libera del “Sé” di Gesù quale parte di Dio o partizione dell’Unico Spirito di Cui interpretò (o forse diremmo meglio “rappresentò”) una porzione enorme: quella dell’intera Umanità, cui si legò karmicamente, fino alla fine dei tempi. Ed invero, come si è già ricordato, la Sua missione prosegue con l’accompagnamento umano, ma anche vocazionale del Dio-Fratello che ben conosce quanto in solitudine viva l’uomo in terra.
Ecco che in Gesù abbiamo la piena Misericordia che ci accompagna ben oltre la Sua vita terrena, oltre la morte. Gesù, infatti, seppe esprimere in toto l’Amore del Logos poiché in toto seppe accoglierLo e, nell’accoglierLo, spandere la Misericordia divina del “Sé” verso il “sé”, profondendo Amore fino all’estremo sacrificio e non solo sul piano umano; Egli, unico uomo degno di accogliere pienamente l’Amore del Logos, accetta di pagare un prezzo terribile ossia quello di caricarsi dell’aspetto speculare dell’Amore: il Dolore! Tutto il dolore generato dal male del mondo in ogni tempo, tutto il peccato dell’umanità intera: “In mezzo al trono ed ai 4 Viventi ed in mezzo agli Anziani vidi un agnello eretto, come sgozzato”, recita l’Apocalisse di Giovanni. “Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi” si ripete ancor oggi nel rito cattolico della Messa: “ecco l’Agnello di Dio che porta su di Sé i peccati del mondo”.[40]
Non abbiamo dunque Dio che per necessità si incarna entrando nella storia, quasi che debba correggere la erronea rotta intrapresa dall’uomo che volle libero, ma abbiamo l’uomo Gesù che giunge ad impersonare e a farsi Dio, riuscendo a divenire recipiente all’inondo d’Amore e Misericordia che il Logos riversa nel Cosmo cuncto et universo (e perciò senza escludere l’“atomo opaco del male”, come il poeta ebbe a definire la terra).
La tappa finale, per quel che ci è dato di intuire, è la trasmigrazione di tutti i “sé” nei rispettivi “Sé” che formano la c.d. “Comunione dei Sé”. Nell’Apocalisse Giovanni parla di “Gerusalemme Celeste”, la Chiesa Cattolica parla di “Corpo Mistico di Cristo”, ma la definizione più o meno suggestiva non deve però offuscare il senso intrinseco che la tappa finale possiede: la dilatazione della coscienza individuale in una super-coscienza; ciascun uomo potrà – travalicata la propria soggettività – sentirsi parte e nel contempo avvertire di essere Tutto in fratellanza cosmica con gli altri “Sé”. In altre parole, potrà avere consapevolezza di essere non solo la cellula piccola, eppur essenziale, di quel Corpo, ma anche il Corpo Stesso nella sua totalità.[41]
Gesù di Nazareth ed il Logos: Due Entità o Una Sola ?
Dall’incipit del Vangelo di Giovanni apostolo:
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di Lui
e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In Lui era la Vita
e la Vita era la Luce degli uomini;
la Luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
[ . . . ]
Veniva nel mondo la Luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui;
eppure il mondo non Lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non Lo hanno accolto.
A quanti però Lo hanno accolto
ha dato potere di diventare Figli di Dio:
a quelli che credono nel Suo Nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo Si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la Sua Gloria,
Gloria come del Figlio Unigenito
che viene dal Padre,
pieno di Grazia e di Verità.
[ . . . ]
Dalla Sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
Grazia su Grazia.
Poiché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la Grazia e la Verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno Lo ha mai visto:
il Figlio Unigenito, Che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è Lui che Lo ha rivelato.
Il “Logos” è l’aspetto della Divinità che agli uomini si manifesta; l’unico ad essi intellegibile, ’ché il “Padre”, ovverosia l’“Idea” di Dio, non è – né mai sarà – conoscibile all’intelletto umano.
Il “Creato” è opera del Logos, il Quale, rappresentazione del “Dio Immanente” come “Figlio”, nel Creato è immerso e tutto lo permea; ‘ché nulla, infatti, è al di fuori di Dio.
Ma Dio è anche “Coscienza” di Sé; e tale aspetto della Divinità è quello teologicamente inteso come “Spirito Santo”.
L’“Inno al Logos” apre l’Evangelo di Giovanni, che possiede un profondo contenuto iniziatico e teosofico che lo differenzia notevolmente dagli altri tre “Evangeli Canonici”.
L’incipit di tale Evangelo esprime, in forma semplice, la pur ermetica definizione che Giovanni tenta di esprimere sul Dio Immanente; ‘ché – vale ripeterlo – del “Dio Trascendente” nulla può essere manifesto all’uomo.
“In Principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.
Il Verbo è identificabile nella Figura del “Figlio”, il Quale – rispetto al “Padre”, “Idea” Unica e Tutta ed Eterna, nonché allo Spirito Santo, “Coscienza” Unica e Tutta ed Eterna – rappresenta l’“Atto” Unico e Tutto ed Eterno.
Ne deriva, con riferimento al Logos ed al giovanneo “Inno al Verbo”, che “tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”; che “In Lui era la Vita e la Vita era Luce degli uomini”; che “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.
È il “Ciclo Sacro dell’Alfa e l’Omega”, la cui compiutezza è realizzata dalla “Trinità” attraverso il Pensiero Divino del Padre, l’Actio Divina del Figlio, il Sapio et Scio dello Spirito Santo.
In altre parole, affinché si possa tentare di capire l’enormità misterica di questo scritto, valga evidenziare che, nell’eterna Opera Divina (da sempre In Fieri, In Atto, eppure tutta Già Attuata), il Padre è Pensiero Creativo Divino, Luce che squarcia la tenebra; il Figlio è Realtà Divino-Umano-Divina che Giustifica per Amore il caos imperfetto e, caricandosi della Croce, S’immerge nella tenebra per portarvi la Luce; lo Spirito Santo, che è la Percezione Immediata della Coscienza della Conoscenza e della Conoscenza Cosciente, conchiude il Ciclo Sacro dell’Alfa ed Omega ponendo fine al caos malum ed imperfetto, ch’è tenebra, nella raggiunta Sapiente Coscienza Perfetta e Luminosa dell’Universo.
Il “Tutto” mirabilmente riportato in versi dal sommo Poeta Dante Alighieri nella nota terzina del “Canto XXXIII” del “Paradiso” de “La Divina Commedia”:
“O Luce Etterna che sola in Te sidi,
sola T’intendi, e da Te intelletta
e intendente Te ami e arridi!”
“In Principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.
Ora, poiché l’“Eternità” è, in re ipsa, eterna e senza principio né fine, non è pensabile un Dio “Immobile” per un’infinita eternità prima della “Creazione” e nuovamente immobile per l’eternità dopo la Creazione. Dunque, con l’espressione “In Principio”, riferita ad un tempo in cui non esisteva il “Tempo” e che può apparire – ictu oculi – un paradosso, l’Evangelista voleva intendere non tanto l’atto generativo del tempo cronologicamente inteso, quanto invece il principio della “Coscienza dell’Universo”.
Non agevolmente esplorabile, il concetto di “Principio della Coscienza dell’Universo” è consequenziale a quello di Coscienza riferita alla singola Persona umana. E, per ciascun uomo, prima la Coscienza di “sé” (minuscolo) e poi la Coscienza del proprio “Sé” (maiuscolo) rappresentano l’unico vero traguardo cui la vita terrena è indirizzata; laddove per sé (minuscolo) sia da intendersi l’autocoscienza del singolo individuo, sinonimo di quel “Cogito, ergo sum”, di cartesiana memoria; e laddove con Sé (maiuscolo) s’intenda la scintilla divina, quell’“Essenza” spirituale, universale ed eterna che fa di ogni Soggetto una creatura concepita ad immagine e somiglianza del Creatore.
Il “Logos”, altrimenti denominato “Verbo” (ma il sostantivo greco possiede una maggiore pregnanza semantica che induce a conferirgli il più autentico significato di “Pensiero-Idea” del Creato Che, esprimendoSi con la “Parola”, produce “Vibrazione d’Amore”), è la Vibrazione, dalla più alta e risonante, alla media, alla più bassa e sussurrata, che dà origine ad ogni creatura e cosa, e tutte di Sé le permea integralmente.
Ebbene, Cristo e Logos Si comprendono ed integrano, confondendosi quasi in un “Insieme” di “Mistero” e “Luce”, di “Dolore” e di “Salvezza”, che ha segnato per sempre, e profondamente, la Storia del mondo. Ma, al contempo, Dio e Logos sono l’Uno nell’Altro e Questi nel Primo, ed Entrambi nello Spirito Santo, il Quale è Coscienza del Padre e del Figlio; ed i Tre “Divini Aspetti” sono “Uno”, dall’Eternità e per l’Eternità, in un Continuum di Idea ed Atto e Coscienza ‘sì da imprimere sigillum divino in tutto ciò ch’è nella Realtà del Creato.
Continua, poi, così l’Inno al Verbo di Giovanni:
“Veniva nel mondo la Luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui; eppure, il mondo non Lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non Lo hanno accolto. A quanti però Lo hanno accolto ha dato potere di diventare Figli di Dio: a quelli che credono nel Suo Nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo Si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la Sua Gloria, Gloria come del Figlio Unigenito che viene dal Padre, pieno di Grazia e di Verità”.
Superno ed universale messaggio si cela in questi versi, apparentemente impenetrabili alla ragione umana. Da essi vien dato di sapere, infatti, che il mondo è stato creato dal Logos, pur non avendolo poi il mondo riconosciuto; che il Logos è in ogni uomo, pur se l’Uomo non L’ha accolto, e che ha dato potere di divenire “Figli di Dio” a coloro che credono nel Suo Nome, intendendo per questi ultimi i loro Sé (maiuscolo), Che non da carne e sangue umani ma da Dio sono stati generati; che il Logos si fece uomo e scese, e visse, tra gli uomini, sfolgorante nella Propria mirabile Gloria di Figlio Unigenito del Padre e ricolmo di Grazia e Verità.
Che cosa vogliamo intendere con ciò?
L’Uomo, “Partizione” di Dio incarnata nella materia, e dunque vera e propria “Immagine” di Dio, è il risultato dell’inestricabile fusione tra la componente fisica ed istintüale della sua materialità (il cosiddetto “Corpo Ordinario”) e quella emozional-animica (il cosiddetto “Corpo Sottile”), entrambe governate dalla componente cosciente e volitiva (l’“io sono”; il “Cogito, ergo sum”, cioè, ch’è rappresentazione diretta del cosiddetto “Corpo Causale”, depositario del libero arbitrio); tutte e tre le suindicate componenti permanendo, nella vita terrena, inscindibilmente unite a costituire il “sé” (minuscolo) che appartiene a ciascuna creatura umana contraddistinguendola irrepetibilmente da ciascun’altra.
Partendo dal dato per cui, nell’incipit del proprio Evangelo, Giovanni parla di “Luce”, volendo intendere con ciò una sorta di “Vibrazione Divina”, “alta e sìncrona” per quanto inerisce alle “Cose Celesti” e “bassa ed asìncrona” per quanto attiene al mondo materiale della tenebra, potremmo anche affermare che il Logos è – in un certo qual senso – la “Voce” di Dio nella Sua espressione vibratoria che produce effetti creativi per ogni dove e per ogni quando nell’Universo. Ciascuna cosa creata, infatti, possiede una propria vibrazione; ed è, così, come se Dio avesse conferito un nome ad ogni cosa e creatura, e, nel proferirne il nome (cioè: proferirne il Verbo), l’avesse tratta “al di fuori” di Sé per dare forma e concretezza ad essa. Così agirebbe il Logos; Ch’è Dio.
Ma il Logos è ancòr’altro: Egli è – si potrebbe azzardare, in paragone comprensibile per l’umana specie – anche “Sentimento”; ed è anche Sentimento perché percepisce ed avverte tutto il Creato, come “Filiazione” Propria, e pertanto “avverte” di amarlo. Anzi, di più: perché il Logos è l’“Amore” Che da Dio procede, permeando e sostenendo ogni cosa ch’è ritmata nel susseguirsi d’un’infinita serie di hic et nunc; in un continuum che, senza tempo, include in Sé anche il tempo cronologico noto agli umani incarnati. Dunque, ogni uomo sarebbe la risultante di un’Idea che giunge da Dio e della realizzazione di Essa per mezzo del Logos; di talché, tutta l’Umanità sarebbe “Figlia” del Logos, e, pertanto, ciascun uomo sarebbe, nel proprio Sé (maiuscolo) e grazie al Logos, vera “Partizione” dell’Unico e Grande “Sé” (il Padre) Che, ancorché partitoSi nella “Comunità” dei Sé (maiuscolo), permane Unico pur sempre e per sempre.
Il Logos, che tuttavia Gesù chiama “Padre” perché ogni cosa per mezzo del Logos ebbe origine, è dunque Amore; è, cioè, l’incommensurabile ed inconcepibile Amore per il “Sé” Proprio e per i “Sé” (maiuscolo) da Lui partiti per mezzo di Lui. E, poiché “Tutto” fu fatto per mezzo di Lui, Tutto è irradiato dal Suo Amore (e Dante si riferisce proprio al Logos quando canta dell’“Amor che move ‘l sole e l’altre stelle”).
Ora, l’Uomo, ch’è connubio inscindibile di Sé (maiuscolo) e di sé (minuscolo), è cioè “Immagine” di Dio quale armonica integrazione, pur apparentemente antitetica, fra “Spirito” e materia, fra Bene e male, possiede invero Amore in Sé (maiuscolo) ed in sé (minuscolo). E ciascuno Spirito incarnato come uomo, eppure creato ad immagine e somiglianza di Dio, ha ricevuto il dono dell’“Autocoscienza”; il dono, cioè, del cosiddetto “io sono”, che, se da un lato appartiene al Sé (maiuscolo), dall’altro è anche sé (minuscolo) che si appalesa sul versante materiale attraverso l’iter delle incarnazioni.
Immerso nella realtà terrena – ch’è regno della tenebra definito anche come del “non sé” – l’Uomo ignora però la propria origine divina e dunque non riconosce il proprio Sé (maiuscolo), il quale, originato dalla Pars Luminosa di Dio, lo accompagna comunque silenzioso in attesa di essere scoperto, rinvenuto, accolto, invocato. Quel Sé (maiuscolo), ch’è “frammento” della Divinità e “riflesso” luminosissimo di Essa, giunge dal Logos, ed è Logos; quel Logos Che, nonostante Si ripartisca in infiniti Sé (maiuscolo), in Verità mai si fraziona perché è Dio, permanente Uno nella Propria Trina Unità di Padre, Figlio (o Logos), Spirito Santo.
Ecco, allora, il conflitto dilacerante che si presenta ad ogni creatura incarnata: avvertire, da un lato, pulsioni e richieste della propria materialità egoica che vorrebbe assecondare, e dall’altro possedere nel profondo, il Sé (maiuscolo), ovverosia il Logos, ma non averne Coscienza; non avere, cioè, la consapevolezza della possibilità di comunicare con Esso, né tampoco la capacità di accoglierLo.
Eppure, è questo il vero punctum dolens nel quale si addensano le nebbie che avvolgono il mistero della scelta umana fra Bene e male, fra Cielo e terra, fra Dio ed “Isola dei Morti”[42]; ma, per contro, è questo il momento dal quale possono diradarsi tali nebbie, perché proprio da tale conflitto emerge la sintesi che concilia, nella Persona umana, il suo Libero Arbitrio, l’“Accoglienza” del suo Logos, la “Grazia” e la “Misericordia” di Dio che su ciascuno dei mortali intervengono suasive eppure mai cogenti.
L’uomo incarnato è, per “Dono” Divino, libero di scegliere se proiettarsi verso la Pars Luminosa di Dio o verso la regione della tenebra. La via verso la Luce è quella dell’Accoglienza[43]. L’uomo potrà compiere tale percorso soltanto se porrà in essere la volontà di accogliere i “Fratelli”, e dunque di “Operare in Amore”; perché chi accoglie il Fratello accoglie Cristo (Ch’è il Logos), e chi accoglie Cristo accoglie il Padre Celeste. E l’accogliere i Fratelli come tali, dimenticando sé stessi (minuscolo) come porzione separata dal Tutto (non cadendo, cioè, nell’inganno dell’egoità e dei sensi materiali), consentirà al Logos di penetrare nel sé (piccolo); cosicché, quest’ultimo, facendosi accogliente verso il Sé (grande), potrà operare in armonia ed in comunicazione con il Logos.
Il lungo e doloroso percorso dell’Uomo, che dall’oscurità della tenebra della materia risale liberamente verso la Luce, continua anche attraverso molteplici incarnazioni che aiutano il Sé (maiuscolo) ad affinarsi sempre più; ciò, fino a quando l’umano sé (minuscolo) riuscirà ad identificarsi completamente nel suo luminoso Sé (maiuscolo), accogliendolo in toto così da confondersi in Esso, e con Esso. Da ultimo, il Sé (maiuscolo) sboccerà ad un nuovo inizio di “Vita”, in cui coscienza individuale e “Coscienza Cosmica” coesisteranno. E sarà allora che un “Nome Nuovo” verrà conferito al Sé (maiuscolo), perché il vecchio nome del sé (minuscolo) sarà ormai dissolto, mentre il Sé (maiuscolo), immerso in plenitudine nel seno del Grande Sé (il Logos, e cioè il Figlio), avrà preso Coscienza di essere “Figlio della Casa”; sarà entrato così nella “Comunità dei Sé”: il “Regno”; il Regno che rappresenta il felice ed estremo approdo per chi abbia liberamente scelto di dirigersi verso la Pars Luminosa della Divinità. E chi giungerà al Regno avrà realizzato quella che nell’“Apocalisse” di Giovanni è definita come la “Prima Resurrezione”.
All’incontrario, il sé (minuscolo) che permanga con pervicacia, per propria libera scelta, nella Pars Tenebrarum (denominata anche come la “regione del non sé”) andrà via via perdendo gradualmente, nel tempo, la propria capacità di percepire il Logos e di poterlo ascoltare e seguire. In tal guisa, il sé (minuscolo) andrà perdendo, del pari, la Coscienza stessa del Sé (maiuscolo); e tale perdita potrebbe condurre, infine, alla cosiddetta “Mors Secunda”; una “Morte” che – si badi – determinerebbe la scomparsa della Coscienza del Sé (maiuscolo) correlato all’individuo, e non già la scomparsa del Sé (maiuscolo). Questo, (il Sé – maiuscolo), infatti, rimane in Dio cui appartiene e dunque in quell’ Uno-Tutto che nessuna perdita o diminuzione può mai subire.
Vale evidenziare come non vi sia differenza tra il Sé (maiuscolo) di Gesù e quello che vive in ciascun altro uomo: Quello e Questo sono la identica Cosa (essendo entrambi pur sempre Logos), lo stesso identico “riflesso” dell’Unica Unitaria Divinità, con la differenza che Quello di Gesù era già pervenuto ad altissimo livello di Coscienza di Conoscenza (alla consapevolezza, cioè, di essere la Divinità; e, non a caso, nella simbologia apocalittica, Giovanni descrive il Sé di Gesù come un agnello con sette occhi, laddove e completa totalità l’occhio è il simbolo della Coscienza ed il numero sette quello della pienezza). In ciò sta anche la ragione per la quale, a colui che avrà raggiunto un alto grado di aderenza al Logos, sarà possibile compiere miracoli; così come Gesù Cristo fece, posto che non era Gesù di Nazareth a compierli ma il Cristo con il Logos Ch’era in Lui. Invero, la fusione con il Logos, così come avvenne in Gesù, è potenzialmente realizzabile in ciascuno di noi. Lo Spirito Santo (cioè, Dio inteso come Coscienza di Conoscenza) aveva conferito al Sé (maiuscolo) di Gesù la massima plenitudine di Coscienza di Conoscenza (simboleggiata dall’ultima lettera dell’alfabeto greco: l’“Omega”), mentre il Sé (maiuscolo) della gran parte degli altri uomini Ne possiede una piccola parte iniziale (simboleggiata dalla prima lettera dell’alfabeto greco: l’“Alfa”); per questo il Cristo poteva affermare: “Io Sono l’Alfa e l’Omega”; e cioè inizio e compimento della Coscienza di Conoscenza.
In forma d’uomo, Gesù di Nazareth ebbe il proprio sé (minuscolo), con le sue stille di sangue di “ego”, ed il proprio Sé (maiuscolo), con la sua Luce di Logos che Lo permeava. Fu, dunque, vero uomo che, accogliendo pienamente il Logos nel corso della propria esistenza terrena, prese consapevolezza piena del proprio Sé (maiuscolo), il Quale S’identificò, pertanto, ed in toto, nel Logos. Così, Egli Si conformò totalmente al Logos (Ch’è il Figlio), talché la sua volontà (di uomo; del sé – minuscolo) non ebbe più forza, mentre, decisa ed ormai unica, quella del Logos (Figlio) risuonò in Lui: “Padre, la Tua Volontà sia fatta, non la mia”.
In quel momento del tempo della Storia, nella profonda sofferenza dell’orto del Getsemani, le stille di sangue dell’egoità del sé (minuscolo) di Gesù colarono lente, come narrano gli Evangeli, lungo la sua fronte già madida di sudore, e lì Egli scelse di abbracciare la Croce non tanto e non solo per confarsi in toto alla Volontà del Padre, quanto perché Egli riteneva “giusto” operare in Amore fino all’estremo sacrificio, ossia operare non secondo la Legge, ma secondo l’Amore, ovvero secondo il Logos !!
Il Figlio sceglieva allora di morire caricando su di sé (e su di Sé) tutta la tenebra, tutto il dolore, tutto il peccato del mondo.
Invero, per risarcire (nel senso letterale di “ricucire”) lo strappo che ciascun uomo produce (produsse e produrrà) nella “Comunione dei Sé” (maiuscolo) con il proprio peccato v’è un prezzo da pagare, prezzo necessario per ricostituire l’equilibrio turbato[44]. Al tempo di Gesù l’umanità era sprofondata a tal punto nella tenebra e nell’egoità, che, il percorso di risalita sarebbe stato lunghissimo e doloroso. Ecco, in quel tempo a noi lontano, giungere il Figlio, che porta sulle Sue spalle la Croce di Dolore dei Peccati del Mondo. Impossibile sarebbe tutt’oggi la salvezza per il singolo peccatore con le sue sole forze; se abbandonato dal Salvatore, egli sprofonderebbe, schiacciato dal peso insopportabile dell’incolmabile debito, perdendosi nel gorgo abissale della mors secunda e dissolvendosi, con il proprio Sé (maiuscolo), nell’oblio della “non-Coscienza” del Sé (maiuscolo), che equivarrebbe al “non essere” mai più. Il Redentore (Gesù, Logos), però, non dimentica né abbandona alcuno, e scende agli “inferi” (simbolicamente rappresentata, come si disse, nel dipinto l’“Isola dei Morti”), anch’essi parte (quella “tenebrosa”) del Tutto-Uno, e nelle latebre dell’oscurità cerca e ritrova la Sua pecora smarrita, donandole, attraverso la Grazia, nuova Coscienza e quindi nuova Vita.
Giuda Iscariota: Uomo Della Perdizione?
Gv. 17/12 “… io ho guardati coloro che Tu mi hai dato, e nessuno di loro è perito se non il figliuol della perdizione, acciocché la scrittura fosse adempiuta”.
Appare opportuno ben interpretare a chi si riferisce Gesù e a che cosa.
In questo passo la interpretazione tradizionale vuole ravvisare Giuda quale “figlio della perdizione”.
Interpretazione però assai opinabile e discutibile: sulla sua sorte post mortale, infatti, nulla sappiamo né potremmo sapere, poiché non sappiamo, né potremmo sapere, quale giudizio Giuda l’Iscariota volle darsi.
Ma davvero dobbiamo credere che Gesù, il Cristo fatto uomo (cioè, la Divinità che si identifica con l’uomo), sia venuto sulla terra per salvare tutti all’infuori di Giuda, solo lui, affinché le scritture si adempissero? Ma a quali scritture si riferisce il passo? Quelle che preconizzavano l’arrivo di un Messia salvatore? E se fosse pur vero, è da ritenersi che le scritture vadano così interpretate e cioè in definitiva che esse superino il valore della salvezza stessa di Giuda? Qualcosa non torna anche su un piano eminentemente razionale.
Per certo Gesù/Cristo nessuno lascerebbe indietro, foss’anche un solo uomo. Foss’anche per lui soltanto, si adopererebbe per salvarlo. Non ha forse Egli predicato che il buon pastore lascia le 99 pecore per andare a ritrovare quell’unica che si è smarrita? E non si è Egli forse definito il Buon Pastore di noi tutti?
Il dare credito alla interpretazione tradizionale non costituisce forse un peccato di fede? Assenza di fiducia in Dio. Si può forse ritenere che Dio abbandoni qualcuno per quanto colpevole?
Ma, si potrà obbiettare, egli peccò contro Dio, Lo tradì e Lo portò a morte sulla croce! Se anche così fosse, vi sarebbe da chiedersi quanti di noi peccatori hanno in ogni giorno del proprio incedere sulla terra dei viventi tradito il Cristo col proprio agire. Eppure, essi sono già salvi! Perché Giuda no?
Non dobbiamo dimenticare il principio intangibile di Dio: la Libertà dell’uomo (Dio si arresta volontariamente dinanzi alla scelta dell’uomo che Egli Stesso volle libero); né va dimenticato il principio dell’autogiudizio.
Giuda era un discepolo amato, amato più degli altri, amato sopra tutti da Gesù poiché, tra l’altro, era chiamato al compito più odioso: il Suo tradimento. Due erano i prediletti (se così possiamo definirli) Giovanni e Giuda. Entrambi iniziati ai Misteri. Il Primo dotato di carattere contemplativo, docile e sognante, il secondo più determinato, combattivo e incline all’azione.
Forse il passo evangelico va inteso nel modo seguente:
“Tutti, Padre, ho custodito ed a tutti ho indicato la Via della salvezza; solo il figlio della perdizione (solo colui che ha liberamente scelto di perdersi nel nulla della coscienza) non è stato ancora possibile salvare”. Che Giuda sia già perdonato da Dio è implicito, potremmo darlo per scontato; non occorrono disquisizioni in merito, ma il perdòno sappiamo essere anche di ciascuno di noi verso noi stessi.
Se Giuda avesse liberamente scelto di non perdonarsi ritenendo troppo grave ed imperdonabile il suo peccato? Ecco che l’ottica si sposta non più al Cristo bensì all’individuo ed al suo autogiudizio che “liberamente” si infligge.
Giuda si sentì tradito e ingannato da Gesù? Forse. Forse quando, deluso, si rese conto che la speranza della rivoluzione attesa e preconizzata per il popolo ebraico si spegneva miseramente con la morte di Gesù e che su di sé e sul suo nome calava implacabile l’ignominia del tradimento. Avrebbe voluto tornare indietro, cancellare tutto… ma ormai era troppo tardi. Disperato, perduta la fede nelle parole di Gesù, coperto di vergogna, pensò di uccidersi. Andò così? Forse. Oggi quel discepolo, ancòra incapace di perdonarsi, è magari fermo in una sorta di eterno presente nel quale però continua a tormentarsi ritendo il suo un crimine imperdonabile? Forse. Noi conosciamo il racconto dei Vangeli e sappiamo che la storia a venire avrebbe guardato a Giuda come la figura più odiosa del cristianesimo, sappiamo che sarebbe divenuto l’esempio di ciò che di più abietto si possa commettere: il tradimento dell’innocente, di più: il tradimento dell’Uomo/Dio.
Due le figure che si pongono all’origine della storia del cristianesimo: quella di Gesù, circonfuso della gloria del Suo martirio sulla croce e la figura di Giuda, il traditore per eccellenza il cui nome da secoli evoca il ribrezzo e il disprezzo dell’umanità intera.[45]
Ma guardiamo più in profondità la tragedia che vive Giuda l’Iscariota, lo zelota discepolo che consegnò Gesù, suo maestro, ai carnefici.
Giuda ritiene di aver tradito due volte Gesù: la prima a tutti storicamente nota e la seconda nel ritenere imperdonabile il suo peccato (nonostante egli sia consapevole che Gesù lo abbia perdonato) ragione per la quale continua ad autogiudicarsi e ad autocondannarsi in tal modo sentendo di tradire ancora Gesù che lo chiama a Sé. Ecco l’immane dilacerante tragedia di Giuda, colui che, nello storico psicodramma della croce ebbe a rappresentare il ruolo più odioso.[46]
Giuda va compreso e quindi rispettato. Rispettato nel suo autentico disperato dolore, rispettata la sua scelta di autocondanna condivisibile o meno, giustificabile o meno, per la quale non abbiamo alcun diritto e motivo di giudicare, ma solo da percepire nel profondo di noi stessi.
Dunque, non esprimiamo dileggio per questa figura che la storia disprezza, e non preghiamo per il suo perdòno che già ha ottenuto da Dio, preghiamo invece acché egli abbia la capacità e la forza di perdonare se stesso.
Così come si chiude l’illuminante libro su Giuda di Giuseppe Berto, vorrei concludere questa pagina che sempre suscita profonda pena ed emozione…:
“De profundis ad Te clamavi Domine… Signore, non ascoltare la mia voce!”
Note
- 31 : Tutta l’attività pubblica di Gesù di Nazareth è volta a tal fine, anzi di più: vi sono tappe che, come descritte nei Vangeli, vengono rappresentate realmente e palesemente (salvo alcune destinate a pochi specialissimi): così abbiamo il battesimo sul fiume Giordano (che avveniva attraverso l’immersione nell’acqua, simbolo della metanoia, ma anche e soprattutto di nascita a nuova vita); il discorso della montagna (da intendersi come paraskenè, o preparazione), in cui si fa ampiamente riferimento alla Legge – per coloro che ancora sono cefa, cioè pietra – e conseguentemente sono sottoposti alla legge del Karma (la legge della causalità = dare-dato avere-avuto), già ampiamente esposta in altre epoche ed altre latitudini dal Buddha, i cui insegnamenti erano volti innanzitutto a sottrarre l’uomo al ciclo delle rinascite; la purificazione o teleiosis, rappresentata dai miracoli (le guarigioni in realtà avvenivano poiché il Cristo, purificando l’anima dal peccato che si manifestava esteriormente nel corpo fisico attraverso la malattia, curava conseguentemente anche quest’ultima). Segue la visione dall’alto, o Epiphaneia, ravvisabile nella Transcirconfondensazione luminosa di Gesù a colloquio con Elia e Mosè, visione cui assistono solo coloro in grado di poterlo fare, gli specialissimi Pietro, Giovanni e Giacomo. Seguono la crocefissione, la morte, la resurrezione ed infine l’ascensione. Ma, come solo a pochi è noto, questi ultimi costituiscono i restanti e più gravi passaggi della Iniziazione Cristica come ebbero ad attraversarli San Francesco d’Assisi ed altri santi anche in tempi recenti.
- 32 : L’evangelista Matteo, come noto, si attarda all’inizio del suo scritto, nel raccontarci la genealogia di Gesù di Nazareth. Lo stesso San Paolo, ormai concordemente definito il creatore e fondatore della religione cristiana, ne attesta la esistenza storica mai proponendo Gesù Cristo come mito o figura simbolica o della tradizione.
- 33 : E non come recita il Vangelo di Matteo, verosimilmente modificato ad hoc da S. Paolo: “…scese su di Lui”.
- 34 : L’immagine sotto il profilo simbolico non è nuova; basti rammentare il mito di Prometeo che si sacrifica per “rubare” il fuoco agli Dei e farne dono all’uomo. Il gesto gli costerà il supplizio senza tempo… : incatenato alla montagna subirà i tormenti di un aquila che gli divorerà il fegato, organo che, ricrescendogli di continuo, lo costringerà a subire un perenne tormento.”.
- 35 : La questione tormentò non poco i padri della ancor giovane chiesa cristiana dei primi secoli. Il principio di fondo si incentrava sulla essenza del Cristo: natura umana o divina? Creato al pari degli altri uomini (come sosteneva Origene e seguaci) o generato da Dio per filiazione? Nel 325 d.C., il Concilio di Nicea, voluto dall’imperatore Costantino, risolse sul piano formale il contrasto optando per la natura divina e perfetta di Gesù, contrariamente a quella umana che, incline al male perché gravata già alla nascita dal peccato originale, necessita dell’intermediazione della Chiesa che volga l’uomo al bene – e dunque verso Dio – affinché ottenga la salvezza eterna. Una scelta teologica che – non ammettendo il dissenso pena l’accusa di eresia – offriva ovviamente un immenso potere temporale alle gerarchie ecclesiastiche oltre che il dominio delle coscienze. (Tema dottamente e mirabilmente trattato da Elizabeth Clare Prophet nel suo libro “Reincarnazione – L’anello mancante del cristianesimo” – Armenia editore). ”.
- 36 :
L’Alfa e l’Omega sono, rispettivamente, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, che ci suggeriscono il concetto di “inizio e fine”, ma di che cosa? Potremmo affermare della Coscienza, ma soprattutto dell’Amore che, in colui che ha preso consapevolezza, prorompe e si traduce in misericordia divina Sua e sua.
Se alle lettere greche sostituiamo quelle ebraiche (più attinenti sia al luogo che all’epoca in cui Gesù avrebbe pronunciato la citata affermazione) , avremo l’ “alef” e la “tav”. In questo caso il simbolo si arricchisce di ulteriore significato:
La lettera “alef” trae graficamente origine dal simbolo del toro “˅” (l’Animale che indica forza primordiale, vita iniziale) che, capovolto, diventa “˄” e poi “A”. Anche l’alfa greca, ha analoga provenienza: dal simbolo “Ȣ” (il toro) che, se coricato verso destra oltre a ricordarci il segno del “pesce” (simbolo cristiano), dà origine all’alfa “α” la prima lettera dell’alfabeto greco: l’ Origine o il Principio.
L’ultima lettera dell’alfabeto greco è l’omega, “ω”. A quest’ultima si giunge passando per i primitivi segni “ɯ” (simbolo delle acque, o del mare) e “τ” (simbolo della croce). Essendo l’omega l’ultima lettera dell’alfabeto greco, rappresenterebbe la conclusione del percorso, ma da questa giungiamo all’infinito, “∞” graficamente rappresentato da un’omega chiusa.
Se però torniamo ancora all’alfabeto ebraico dovremo iniziare con la prima lettera, l’ “Alef” per terminare con l’ultima lettera che è la “Tav”; quest’ultima ci suggerisce, ictu oculi, il simbolo della croce: dunque l’inizio il “toro”, la conclusione la “croce”. Ma se la croce è simbolo della fine, lo è perché chiude un ciclo per aprirne uno nuovo.
Ecco che allora prende corpo altro simbolo, quello della “spirale”: il cerchio che, nel momento stesso in cui si conclude trova nel punto di chiusura identico punto di partenza, ma su un piano superiore.
- 37 : Cristo (dal greco Χριστός, Christòs) è la traduzione greca del termine ebraico מָשִׁיחַ (mašíaḥ, cioè, “unto”), e dall’aramaico məšīaḥ (מְׁשִיחָא), dal quale proviene il termine “messia”. Il significato di questo titolo onorifico deriva dal fatto che nell’antico Medio Oriente i re, i sacerdoti e i profeti venivano solitamente scelti e consacrati tramite l’unzione con profumi ottenuti da essenze aromatiche oleose.
- 38 : Allora i discepoli gli domandarono: “Perché, dunque, gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” Ed egli rispose: “Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro”. Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni Battista. (Mt. 17/10-14)
- 39 : Beninteso non già quello tradizionalmente inteso e che appartiene al mito di Adamo ed Eva. Sul Peccato Originale v.si Appendice “B”.
- 40 : Dunque, non “Colui che toglie i peccati dal mondo”, come in modo improprio viene recitato nel rito della Messa, bensì “Colui che si è caricato i peccati del mondo”
- 41 : Per avere una pallida idea, sarà come per il soldato che sente di essere tale, ma sente altresì di essere l’esercito di cui è parte, o il violinista che sente di essere anche l’orchestra di cui è un componente.
- 42 : Titolo del dipinto di A. Böcklin – più volte citato – che rappresenta l’isola infernale ove trovano sepoltura eterna le anime di coloro che sono stati preda della seconda morte: quella dello spirito.
- 43 : Sull’Accoglienza si è ampiamente trattato in precedenza”.
- 44 : A ripristinare l’armonia turbata del Cosmo v’è la Legge meglio nota come “Karma”.
- 45 : Dante colloca Giuda nel punto estremo del Cocito (ove espiano nel ghiaccio coloro che tradirono i benefattori dell’umanità) denominato “Giudecca” proprio dal nome di Giuda. È l’ultima delle quattro zone concentriche, dove si trova Lucifero, immerso nel ghiaccio fino alla cintola. Le altre tre parti del Cocito sono la Caina, dove vengono puniti coloro che tradirono i propri parenti (nome derivato dal primo fratricida della storia: Caino); l’Antenora, dove vengono puniti coloro che tradirono la propria patria, (nome derivato da Antenore personaggio dell’Iliade) ed infine la Tolomea, dove vengono puniti coloro che tradirono i propri ospiti (nome derivato dal personaggio biblico Tolomeo di Gerico).
- 46 : Nel corso dell’ultima cena Gesù spiega la necessità che qualcuno vada a tradirlo indicando dove lo avrebbero trovato e potuto arrestare. Chi dovrà andare? Chiede Giovanni: “Forse io?” No, risponde Gesù, sarà colui che in questo momento intinge il pane nel piatto; poi aggiunge: “Giuda, quel che devi fare fallo sùbito”. Giuda, come se seguisse un copione già predisposto, esce per attuare quanto precedentemente concordato.