Il Sentiero del Padre

Il sentiero che porta ai mondi superiori

Capitolo X

Su Grazie e Misericordia

Quanto segue completa – per quanto ci è stato dato di poter fare – il tema assai vasto ed impegnativo del c.d. “libero arbitrio” dell’uomo e ci introduce ad altro di natura più marcatamente teologico/filosofico: quello della grazia e misericordia divine.

Come si avrà modo di constatare l’esposizione è difforme da quella che precede poiché ci fa accedere ad un nuovo ed ulteriore piano di Conoscenza che, di complessità crescente, ci immerge nell’atmosfera dell’insegnamento iniziatico e ci consente di ottenere una visuale più alta e più ampia.

De hominis libero arbitrio,
Cum gratia et misericordia Dei
Tutto, Padre Altissimo, ha inizio dalla Tua Misericordia e
tutto ha termine nella Tua Misericordia;
Ogni Grazia ha origine dalla Tua Misericordia
e l’ultima ora è sempre, per ciascun uomo,
ricolma della Tua Misericordia

“ O Luce Etterna che sola in Te sidi ,
sola T’intendi , e da Te intelletta
e intendente Te ami e arridi ! ”

Dante Alighieri
( “La Divina Commedia” – Canto XXXIII )

Misericordia e Grazia fanno ‘sì che ogni spirito possa,
in piena Libertà, procedere rivolto verso il Cielo

Fratello che per le vie del mondo ti aggiri e ti affanni, donami un grano del tuo tempo ad ascoltare non il mio pur accorato appello, ma quello del Cristo che a te Si volge:

“Amato, ed amato oltre i confini del tempo, oltre i confini della vita, porta misericordia al tuo fratello, giustifica il suo errore, dimentica il torto che ne ricevesti. Sarai così simile al Padre Celeste Che Misericordia a piene mani a tutti dona e potrai affermare, con orgoglio santo, d’essere figlio Suo poiché, al pari di Lui, misericordioso fosti coi fratelli, che figli Suoi son pure”

Dio è “Idea d’Amore”, Egli è l’ “Amor che move ‘l sole e l’altre stelle”, un concetto inconcepibile per la mente umana. Da tale Idea prende realtà l’eterno creare di Dio: parto armonioso ed armonico dell’“Essere-Tutto”, Unico ed Eterno, eppure immerso in ciascuna delle Proprie creature umane, le quali di Esso sono partizioni imperfette che completano la “Perfetta Perfezione” Divina proprio rappresentandoNe l’imperfezione.

Dio, infatti, è il Tutto; ma, se Tale è, Egli ha in Sé anche il Proprio “Opposto” o, per meglio dire, “Reciproco”. [17]

L’Uno, Unico ed Eterno, contempla in Sé l’inscindibile unione tra la “Luce” (quale Idea dell’Amore di Dio) e la “Tenebra” (quale Idea del Male intesa come negazione dell’Amor Dei). Luce e Tenebra, Bene e Male, e Non Sé sono i due “Reciproci Divini” che eternamente costituiscono l’Uno, Unico e Tutto, in una sublime ed indivisibile unità senza cui non sarebbe in Dio la Perfetta Perfezione.

Ne discende, dunque, che anche il Creato porta in Sé i segni della Natura del Creatore; con la propria parte di Bene, riflesso della Luce, e con la propria parte di Male, riflesso della Tenebra (da cui il Peccato Originale).

L’Amore di Dio è Misericordia

Tutto ha inizio nella Misericordia del Padre. Tutto in essa ha termine.

Con la creazione, atto d’Amore (di Misericordia), ha inizio il Tempo (che è poi da intendersi quale tempo della coscienza): “In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio”. Ecco perché il Cristo (Logos) dice di Sé: “Io sono l’Alfa e l’Omega”. Tutto da Lui ha inizio. Tutto in Lui si conclude. Come ci ricorda l’incipit del Vangelo di Giovanni, il Verbo, fattosi carne, discese nelle tenebre. E le tenebre non Lo riconobbero. Il nostro mondo è tenebra.

Iddio, Che Amore è quale inconoscibile “Potenza” che in Sé “Lega” e “Congiunge”[18], Si compenetra pietosamente nella “Miseria” della Propria Tenebra, “Comprendendone il Dolore” fino ad esserne partecipe attraverso la “Compassione” del Logos sulla Croce; ed è, questa, la “Misericordia Dei”, che non s’identifica nell’umana commozione del cuore o moto dell’anima, la quale, comunque, della Misericordia Dei rimane pur sempre riflesso.

Tutto il Creato, quindi, e tutto ciò che in esso vive, prende inizio dalla Misericordia del Padre; e, poiché l’essere pensante denominato “Uomo” è, tra le creature di Dio, la più alta e simile a Lui, anche e soprattutto per l’Uomo il cammino nella Storia ha inizio dalla Misericordia del Padre.

Sì, l’Uomo! Creato ad immagine e somiglianza di Dio, egli ha ricevuto dal Padre il “Dono” della “Coscienza”, che gli permette di affermare l’“Io Penso, e dunque Sono”, nonché il Dono della “Libertà”, inscindibile dall’Idea d’Amore (perché l’Amore non sarebbe tale se sottoposto a condizionamenti o costrizioni di sorta), che gli permette di esercitare il Libero Arbitrio.

I due grandi Doni: la Coscienza, per poter avere “conoscenza” e “consapevolezza” del Bene e del Male; la Libertà, per potere scegliere di percorrere la via della Luce o quella della Tenebra. Così, ogni “Spirito” che liberamente decide di incarnarsi e quindi di calarsi nella “Materia” e nella Tenebra del Non Sé di Dio, è, per propria natura, cosciente e libero di ripercorrere all’incontrario – compiuta l’esperienza materiale – il cammino che lo riconduce alla “Casa del Padre”, Regno Luminoso del Sé di Dio; ma è, ohimè, altresì libero di permanere nella Tenebra. Tale scelta lo porterà lentamente ed inesorabilmente verso l’annullamento della coscienza di sé, verso cioè la perdita dell’inestimabile dono dell’ “io sono”, verso la terribile “Morte Secunda”, ossia l’annichilimento dello spirito.

Ma perché lo spirito, anziché permanere nella Luce dell’Essere, sceglie di farsi uomo, di rivestirsi di materia, volgendosi in tal guisa verso la tenebra?

Per conoscersi e conoscere – così come Dio conosce – il Bene ed il Male. Peraltro, l’uomo non potrà apprezzare appieno la “Parte Luminosa” dell’Essere (non ne avrebbe, cioè, piena coscienza) senza il confronto col Suo contrario: solo quando, attraversate le tenebre, avrà percepito lo smarrimento per l’assenza della Luce ed avvertito il freddo per la lontananza dalla Fonte, potrà davvero, con piena consapevolezza, stimare il valore di Quella Realtà da Cui si allontanò un tempo.

Il peccato originale, insito nell’uomo, scaturisce per l’appunto proprio da ciò: dalla sua libertà; dalla facoltà, cioè, di realizzarsi staccandosi dalla Luce – sua origine e patria – per immergersi nella tenebra.

Tutti noi siamo peccatori per aver liberamente scelto di conoscere il lato oscuro dell’Essere, ponendo il nostro piccolo sé come centro autonomo ed individuale.

Noi non portiamo, dunque, innocenti, il carico della colpa di Adamo. Ciascuno di noi, scegliendo di incarnarsi, ha scelto liberamente, come racconta il mito biblico, di assaggiare il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male.

La condizione di peccato, frutto della libertà, accomuna l’umanità intera (“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, dice Gesù, ben consapevole che alcuno poteva realmente ritenersi privo di macchia).

Ma Dio non abbandona il figlio che ha perduto la Luce. La Sua Misericordia l’accompagna sempre, sino a che egli, liberamente e volontariamente, alla Luce decida di far ritorno.

La Misericordia di Dio è l’accoglienza nella sua forma più elevata: è l’Accoglienza del Padre verso il figliol prodigo che bussa alla Sua Porta, è l’Accoglienza di Dio verso l’umanità intera, sozza del fango del peccato e pur sempre vivificata dalla Luce dello Spirito.

Se la Misericordia si riversa su tutti, a tutti distribuendo infinito Amore, la Grazia è il Dono che dalla Misericordia Dei sgorga come acqua che disseta nel deserto.

Senza la Grazia, immersi come siamo in questa realtà di male e di peccato, sulla sola scorta del nostro libero arbitrio, non avremmo forza sufficiente ad operare una scelta di Amore e di sacrificio, scelta necessaria a contrastare le crudeli leggi di sopraffazione di questo mondo: la lotta per la sopravvivenza dell’individuo e della specie, con la vittoria del più forte e la sconfitta del più debole.

Dunque, il libero arbitrio va sostenuto e corroborato dalla Grazia di Dio.

Potere, volere, fare sono i cardini del libero arbitrio. Questo, invero, appare connotato da tre condizioni essenziali: la “Possibilità” di operare (e cioè, l’“Io Posso Fare”); la “Volontà” di operare (e cioè, l’“Io Voglio Fare”); l’“Attuazione” dell’opera (e cioè, l’“Io Faccio”).

Della non semplice questione si occuparono profondamente (ed animatamente), tra il quarto ed il quinto secolo dopo Cristo, due giganti del pensiero teologico: Agostino di Ippona e Pelagio il Britannico. Essi concordavano sul fatto che la possibilità di vincere il male dipendesse unicamente dalla Grazia;[21] ma secondo Agostino, essendo l’uomo peccatore per la sua stessa natura e condizione, l’illuminazione della Grazia sarebbe stata necessaria affinché anche la volontà e l’azione seguissero retto sentiero.

Il libero arbitrio dell’uomo, dunque, s’intreccerebbe misteriosamente con l’intervento salvifico di Dio nel corso dell’esistenza umana.

Accogliendo la tesi di Agostino, tuttavia, si giungerebbe alla conclusione che solo taluni sarebbero, per Grazia, predestinati alla salvezza, laddove altri (forse i più, non ricolmati da questo inestimabile dono) sarebbero figli della perdizione.

Ma in base a quale arbitrario parametro Dio sceglierebbe la salvezza per taluno, la dannazione per altri? Quale sarebbe il criterio di tale predestinazione?

La questione, in vero, non può che avere una sola conclusione: anche la Grazia (dono della misericordia divina), voce della coscienza morale che alberga in ogni cuore, è offerta a tutti!!

Senza il costante ausilio della Grazia il percorso di acquisizione della Coscienza sarebbe eccessivamente gravoso e difficile, ove non impossibile, per la creatura umana, da un lato attratta dalle pulsioni egoiche verso la materia, dall’altro richiamata verso l’Alto dall’intrinseca Natura pur sempre Divina che racchiude in sé. Il conflitto è dilacerante. Taluni, paghi del poco che il breve viaggio nella corporeità ha dato loro, rinserrano ogni porta del cuore che dia verso l’esterno, cercando di vivere al meglio per sé il tempo concesso. Altri, nel dubbio, e nel timore di oscuri castighi, s’inchinano alla Legge di Dio, rispettandola – sì – ma non comprendendola; in tal modo, in effetti, mai scegliendo fra Bene e Male, ma soltanto eseguendo pedantemente il dettato della Legge[22].

Né gli uni, né gli altri ascoltano la Voce della Coscienza. Come colui che, un tempo udente, diviene sempre più sordo, pur conservando il ricordo vago e dolce della stagione di propria vita in cui i suoni gli giungevano ancóra, così lo Spirito che, libero, ha costantemente rifiutato di ascoltare la voce di Dio, s’incammina verso la completa sordità morale e verso, infine, l’annientamento che l’attende nell’abisso cupo e silenzioso della “Seconda Morte”.

Eppure, su tutti interviene la Grazia, che consegue alla Misericordia Dei ed attraverso la quale l’Altissimo elargisce all’Uomo speranza ed opportunità di “Salvezza”; la Grazia, generosa ed eguale per tutti, dispensatrice di Luce e Coscienza per tutti. Ed Essa dimora nel profondo dell’animo umano, come Luce Divina che impronta di Sé l’Uomo quale creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio.

Sì, perché la Grazia di Dio è lì, donata ad ogni bimbo che nasce con il suo primo apparire sulla scena del mondo; donata nella possibilità che egli avrà di fare il Bene; donata nella volontà che egli eserciterà di fare il Bene; donata nelle azioni che egli porrà in essere per fare il Bene. La Grazia è lì, soltanto da udire ed ascoltare, da cogliere, da assecondare; è lì, pronta a fugare i dubbi nei giorni dell’incertezza; è lì, pronta ad alleviare la pena nei momenti della tristezza; è lì, pronta a lenire la sofferenza nell’ora del dolore; è lì, pronta ad accompagnarci nella partenza per l’“Altra Sponda”.

Ma, soprattutto, è lì, nel profondo del nostro cuore, ad illuminarci di nuova Coscienza ogniqualvolta guardiamo all’altro con occhi stupefatti per avere intravisto in lui il Fratello ed il Cristo che geme sulla Croce.

Ecco la Grazia: Illuminazione della Coscienza che dà nuova Coscienza, e che consente la “Metànoia” (il cambiamento della mente); Dono necessario a tutti, ed a tutti offerto indistintamente e senza imposizioni di sorta. Sì, senza imposizioni! Come è per la Misericordia! Perché entrambe, che sollevano dalla miseria della Tenebra e rendono consapevoli della Luce, giungono all’Uomo con la stessa mitezza con cui Gesù incontrava i peccatori. Egli non diceva loro di pentirsi e fare penitenza, né li minacciava con paure per castighi ultramondani, ma li invitava ad accogliere la Sua Parola e fare festa con Lui perché una pecora smarrita era stata ritrovata; non intimava loro di fare esercizi spiritüali per purificarsi, ma chiedeva di sentire quanto grande era l’Amore che Egli provava per loro. Non sono, dunque, Misericordia e Grazia, comandi od eventi miracolosi che pongono ordine nel Caos; ma, in definitiva, richiesta ed offerta continue d’ascolto e d’Amore che Dio rivolge a tutti gli uomini, ed anzi a ciascun uomo, cui dice: “Senti quanto è grande il mio Amore per Te? Ascolta, dunque, la mia Voce di Pastore che ti cerca senza posa, ed Amami come io ti amo!”.

Ma come dovrebbe agire ogni giorno la Grazia per la presenza di Dio, pur attraverso la mediazione del Logos?

La Grazia agisce solo se le consentiamo di agire, solo se porgiamo orecchio alla voce della coscienza, e ciò può attuarsi amando molto. Se si ama molto (e si segue quindi la Parola di Cristo) si ode sempre più chiaramente la voce del Padre e si consente alla Grazia di operare in noi. Soltanto ascoltando il Padre, che a noi parla attraverso la voce della coscienza morale, saremo in grado di seguire la strada indicataci da Cristo. Il nostro libero arbitrio sarà guidato e sorretto dalla Grazia.

Ecco allora che i “Giusti” scelgono, con moto d’Amore, di seguire la Voce della Coscienza Morale che alberga nel loro animo, cercano di assecondarLa e di operare nel Bene, poiché riescono ad intravedere nel cuore dei Fratelli bisognosi, il volto di Dio Stesso che chiede loro misericordia; tale è la potenza della Grazia se accolta… ad essi infatti lo Spirito Santo (Ch’è Coscienza Perfetta del Sé Divino) apre la Coscienza della Conoscenza, “illuminandoli”; essi pertanto comprenderanno la Lex Dei e sapranno per libera scelta farla propria e pienamente condividerla; avranno, in tal modo, potenziato quell’ “udito” che sempre più si affina per Grazia divina.

L’amore che deve guidare l’umana condotta verso il fratello (pallido riflesso dell’Amore di Dio per l’uomo) è anch’esso Misericordia: misericordia per la sua miseria, per la sua debolezza, per il suo peccato, per la sua cecità, per la sua ingratitudine, per la sua malvagità. Nessun giudizio, solo accoglienza. Misericordia ci è costantemente donata dal Padre. Giustizia richiede che lo stesso metro venga da noi usato verso il fratello.

E del resto se il senso dell’umano peregrinare per le oscure vie del mondo e per i recessi della materia è quello di pervenire alla consapevolezza della matrice divina dell’uomo, quando questi avrà conosciuto che Dio è Misericordia non potrà fare a meno, se vorrà essere come Lui, d’esser misericordioso a sua volta; altrimenti avrà tradito se stesso e la sua essenza divina, e farà sì che di lui rimanga solo un involucro di carne, un prodotto biologico dell’evoluzione che si nutre e procrea perpetuando il ciclo della nascita/morte della specie, secondo le regole della natura e della materia… null’altro!

In un sublime mistero la Misericordia Divina s’intreccia con la Giustizia.

Ricordiamo la parabola del debitore spietato (Matteo, 18, 23) nella quale il re scopre un servo debitore di diecimila talenti, ma recede, per le sue suppliche, dall’originario proposito di venderlo con la moglie, con i figli e con ogni suo avere, affinché saldi il suo debito. Appena uscito, quel servo ne incontra un altro che gli deve a sua volta cento denari. Lo afferra e lo scuote, pretendendo il pagamento del dovuto. Il debitore spietato non vuole esaudire le suppliche del suo compagno e lo fa gettare in carcere, fino a che non abbia saldato il debito. Venutolo a sapere, il re lo fa richiamare e gli dice: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse avere anche tu pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. E, sdegnato, lo consegna agli aguzzini, fino a quando non abbia restituito tutto il dovuto. Conclude Gesù: “Proprio così il Padre mio celeste tratterà voi, qualora non rimettiate di tutto cuore ciascuno al proprio fratello”.

Nell’ottica della giustizia umana il comportamento del debitore spietato è ineccepibile: dal condono del suo debito non deriva affatto alcun obbligo, per lui, di condonare a sua volta. A condannarlo è, invece, la clemente misericordia che gli è stata usata e che egli non è stato capace di interiorizzare e di far propria.

A differenza della misera giustizia umana, fondata sulla logica dello stretto diritto (che troppo sovente sfocia nel “summum ius – summa iniuria”), la Giustizia Divina è connotata dalla Misericordia. Questa, frutto dell’Amore dell’Altissimo, è anche momento di trasfigurazione e di esaltazione della Giustizia, che si arricchisce di carità, si perfeziona e si sublima nel Respiro Divino. La perfezione sta proprio qui: nel fatto che alla giustizia, così come intesa dall’uomo, Dio applica la “Clemenza”, che non è elemento caotico o di squilibrio del sistema, ma anzi è Essenza Stessa del sistema, è cioè Dio.

Nonostante i Doni di Misericordia e Grazia, però, molti uomini continuano a peccare, verso il Fratello e quindi verso Dio, per propria “insufficienza” in Amore e per deviato utilizzo del Libero Arbitrio. Sarà, ognuno di costoro, come il moscone che cerca di riguadagnare lo stato di libertà continuando a sbattere contro il vetro della finestra chiusa che gli impedisce la fuga e ripetendo insistentemente lo stesso percorso, privo di Coscienza, nell’immodificabile convincimento che colà, da dove giunge la luce, si ritrovi l’uscita per l’esterno; e l’insetto continuerà a battere fino a cadere a terra, in un misero suicidio conseguente al tentativo di raggiungere in modo insipiente la propria libertà. All’identico modo, gli uomini possono cadere in analoga situazione: l’erroneo cammino intrapreso sarà così per loro scaturigine di “Dolore”, quale segnale di pericolo per la loro vita spirituale, e, se essi non sapranno interpretare questo segnale e porsi all’ascolto della Voce della Coscienza, la loro ultima stazione sarà la Tenebra. Se invece si porranno in ascolto, illuminati dalla Grazia che bussa sempre al cuore attraverso la Voce della Coscienza, potranno, se vorranno e comprenderanno, correggere la rotta, pur con fatica, verso i Lidi del Cielo. Perché anche a costoro Iddio, Che S’offre a tutti – ma ad alcuno mai S’impone – porgerà il Dono della Grazia. Ed essi, fruendo della propria Libertà, potranno accogliere il Dono e farlo proprio, oppure nuovamente rifiutarlo e rifiutarlo, fino a sprofondare nel nulla del non esistere. Ma il Redentore, dalla Sua Croce insanguinata, invoca il Perdòno del Padre richiamandosi al principio di giustificazione: “Padre, perdonali, perché non sapevano quello che facevano”. La voce della coscienza morale non era più udibile, invero, per coloro che ad essa erano divenuti sordi. Ed il Padre concede il Suo Perdòno, intervenendo ancóra con la Grazia. Dona nuovamente coscienza di Sé agli spiriti che erano precipitati nel nulla indifferenziato; fa sì che i sordi odano nuovamente la Sua Voce, che prendano nuova coscienza e percepiscano l’abisso della loro colpa e la grandezza del dono dell’io sono, che avvertano l’immensità del sacrificio del Redentore, che decidano, infine, liberamente, di affrontare il duro percorso di dolore per pagare anch’essi, per quanto umanamente possibile, il prezzo delle loro colpe.

Ed è questa la più grande, ed estrema, valenza della Grazia: il Figlio Si carica del Peccato Originale (ovvero di tutto il Male del mondo) e mediante il Proprio Misericordioso Dolore, ch’è umano ed umanissimo Dolore, pone nelle Mani di Dio il pagamento per il debito che l’Umanità ha contratto con la Iustitia Dei, debito immenso che da sola non sarebbe mai in grado di saldare.

Per il tramite del Sangue della Croce, dunque anche costoro potranno ricevere la Grazia del Perdòno di Dio.

Il Perdòno!

Esso appartiene soltanto a Dio. Mentre è dell’Uomo Giusto il potere “dimenticare” torti ed offese ricevute per nuovamente “accogliere” l’offensore come Fratello ritrovato; un dimenticare ch’egli, erroneamente, definisce come “Perdòno”.

La differenza è sostanziale, e su di essa s’incardina la possibilità, che è dell’Uomo, di compiere un passo superiore rispetto al solo “dimenticare”; un passo che, nel modo di reagire al torto ed all’offesa ricevuta, lo avvicini di più a Dio e quasi a quel Perdonare ch’è solo dell’Altissimo.

Invero, dall’antico “occhio per occhio e dente per dente”, quale reazione dell’uno al danno subìto dall’altro, l’Umanità è passata al Diritto Romano che mirabilmente ha regolato obblighi e doveri dei singoli soggetti, fino a giungere, grazie al Redentore, a quel “porgi l’altra guancia” che, tuttavia, permane oscuro a molti nel proprio significato più profondo.

In effetti risulta umano, ed anzi umanissimo, l’immediato reagire all’ingiusto danno patito per mano altrui con sentimento di rabbia e desiderio di rivalsa, ove non con sete di vendetta. Ma è qui che interviene la Misericordiosa Voce della Coscienza Morale, la quale, se udita, conduce l’Uomo, per intervento della Grazia, a rispondere al Male con il Bene. Così vien data, all’offeso Giusto, possibilità di dimenticare i torti, non giudicando, ma nuovamente accogliendo l’offensore e riconciliandosi con lui. Graverà però su costui l’onere di “risarcire il danno” e di ripristinare l’equilibrio della Perfetta Armonia del Tutto, turbata dalla sua “Mala Actio”. Sarà poi Dio stesso ad intervenire nel Risarcimento ove chi dovrebbe non vi riuscisse con proprie forze, sempre restando a Dio, per Suo Alto Giudizio, l’eventuale “perdòno” del peccatore.

Ma v’è un passo superiore – si diceva – che il Giusto può liberamente e volontariamente compiere: quello per cui egli può non soltanto dimenticare torto ed offesa, ma addirittura non farsi recettivo ad essi. Se io non ricevo Danno dal tuo danneggiarmi, non v’è allora Danno che risuoni come Dolore nell’Armonia dell’Universo. Il perfetto equilibrio del Tutto non ne sarà turbato. Rendere non necessario il Perdòno di Dio: questo il passo superiore!

Tale fu la condotta di monsignor Charles François Bienvenu Myriel, straordinario personaggio de “I miserabili” a cui l’autore, Victor Hugo, diede l’appellativo di “uomo giusto”. Ed è da intendersi “giusto” colui che opera secondo giustizia divina, cioè, operi in amore e misericordia verso i fratelli, operi ad imitazione di Dio.[23]

In tal modo si traducono in opera le universali ed eterne Parole del Maestro:

[…] Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché Egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio […]”. (Vangelo di Luca: 6, 27-38.)

“E l’ultima ora è sempre, per ciascun uomo, ricolma della Tua Misericordia”.

Sì, perché, ascoltando nelle vicissitudini terrene, per moto d’Amore, la Voce della Coscienza Morale che d’Amore e solo d’Amore parla, ogni essere umano avrà con ciò ascoltato la Voce della Misericordia Dei, che in lui sussurra nel cuore fin dalla culla; perché dall’ascolto di tale Voce maturerà e crescerà la Coscienza del e verrà Grazia lungo i sentieri più impervî dell’esperienza terrena; perché, financo nel momento di lasciare il corpo materiale, la Misericordia del Padre verrà in soccorso, facendo ricolmare chi muore alla vita terrena d’una misura di Perdòno Divino pari alla misura di misericordia umana ch’egli seppe riversare nei Fratelli, amandoli e dimenticandone torti ed offese, ove non addirittura giustificandoli dinanzi all’Altissimo e rifiutando da ciò Risarcimento al Danno avuto.

Così, chi avrà Fede nutrirà ferma e sicura speranza che pure nel momento del passaggio all’“Altra Sponda”, allorquando tutti gli eventi vissuti si ripresenteranno alla mente come in un lampo senza tempo e risuoneranno quali note di un’unica e nostalgica sinfonia, si sarà abbracciati da Dio paternamente; e, seppure in quell’attimo estremo ci si sentirà davvero “soli”, si verrà però accolti e consolati dalla Sua Misericordia. Ed ecco, allora, che taluno vedrà splendente Luce, tal’altro vedrà l’Angelo della Morte. Infine, pienamente consapevole del Male e del Bene compiuto in vita, ciascuno si sottoporrà all’“Auto-Giudizio”, il cui termine di misura sarà giustamente ed inflessibilmente il medesimo che s’utilizzò in vita coi Fratelli.

Così ci fu infatti preannunziato:

Nell’ultimo momento della vita Michele Arcangelo, Capo delle Milizie di Dio, manda a voi il suo messo, l’Angelo della Morte. Ed egli non è come l’iconografia vostra lo rappresenta. Egli è bellissimo angelo, i tratti disegnati di grigio scuro, le ali nere, un drappo col cucullare in capo che ne copre il sembiante. Quando scende verso voi lentamente dall’alto si pone innanzi a voi giganteggiando con altissima figura ed ha sulla mano destra falce lucente e sulla sinistra una bilancia. Dinanzi a lui vedrete allora emergere da voi il vostro Sé grande, il quale si porrà con Egli a dire: cosa vuoi? Voi dal vostro piccolo, nel momento in cui il Sé ha deciso di staccare l’ordinario, chiederete: voglio questo, vorrei questo, io chiedo questo. E sarà il vostro Sé grande, giudice severo, inflessibile di voi stessi a porre sulla bilancia dell’Angelo della Morte, che guarderà con occhi di ghiaccio verso di voi, belli ma tristi, malinconici, perché portato al compito di vibrare il colpo della falce contro l’ordinario. Su quella bilancia verranno posti i vostri sì, i vostri no, il vostro aver agito o non agito in amore. Ma Voi giudicherete voi. Posto che sia stato il dialogo compiuto, vedrete una lacrima scorrere lungo il viso dell’Angelo della Morte, il quale, angelo d’amore come tutti gli altri, vorrebbe ancor lasciare tempo all’ordinario per riparare ai torti. Ma il vostro Sé prenderà la mano dell’angelo che tiene falce e l’angelo infine darà l’ultimo strappo all’ordinario. Da qui il percorso verso la Nube[24]. E se la goccia che lacrima dall’Angelo della Morte cade, essa è goccia che dalla brocca[25] scende ancora giù.

Il giudizio del nostro Grande Sé non va inteso quale passaggio punitivo, poiché ancora in quell’attimo estremo v’è dono di coscienza, dono di consapevolezza, acché noi si possa comprendere la valenza negativa del nostro non aver agito in amore[26]. Ecco perché possiamo affermare con forza che anche “l’ultima ora è sempre, per ciascun uomo, ricolma della Sua Misericordia”. Perché ancora, come sempre, la Grazia di Dio ci consente di ritentare e di scegliere il volere ed il non volere, liberi, così come Egli ci concepì, così come Egli ci volle. Liberi perfino di non percepire il Suo pianto silente per il non averci accanto!

Dunque, la consapevolezza donatami per Grazia dallo Spirito Santo mi dà ancora l’opportunità di nascere a nuova vita: son libero di accoglierla o meno, ma l’accettarla implica anche espiazione: questa non è castigo, bensì scelta libera del “rinato” che, ormai consapevole, perseguirà progetti incarnazionisti idonei a ricucire – sia pur in parte e per ciò che potrà – lo strappo prodotto.

Se proviamo, allora, ad ampliare la nostra visuale comprendiamo che la Grazia opera secondo parametri globali… nessuno è escluso da Essa, mai, poiché ha da rimanere salvo il principio della Iustitia Dei.

Tutto questo ci riporta al concetto di “Riconciliazione” dell’uomo con Dio e dunque del Mondo con Dio. Qual è il segno della raggiunta presa di coscienza? L’avvertire Pace! Essa è sigillum di nuova acquisizione del Vero: è il momento in cui il cuore non è più “inquietum”[27].

Possa per ogni uomo , nel supremo momento della “Morte Prima” ch’è solo la vita materiale che si spegne , levarsi alta l’invocazione :
“Concedimi , oh padre , la tua misericordia;
Perché anch’io misericordia portai verso i fratelli”.
E.S.O.

P R E G H I E R A

CONCEDIMI , PADRE ,
LA TUA MISERICORDIA E LA TUA GRAZIA

Oh Tu , Padre Altissimo e Pietoso,
Tu , Che la Voce del Cielo in me ponesti
quand’ancòra dormivo nel seno di mia madre ;
Tu , Che scelta a me donasti d’abbandonare il Regno
per volger gli occhi al mondo , tentatore e tristo ,
eppur conosci come , libero , in Tuo ascolto io mi posi ;
oh Tu , Eterno e Grande Padre Buono ,
concedi sempre al mio esser fragile la Tua Misericordia
perché anch’io misericordia portai verso i Fratelli .

E da Essa verrà Grazia al mio incedere nel mondo ,
così che anch’io , piccolo Lume della tua Gran Luce ,
rechi il conforto, e la consolazione, e poi la quiete ,
a chi non trovi più speranza per rischiarar la propria notte.

Questa semplice preghiera ,
oh Padre Che Infinito Amore a Larghe Mani spandi ,
io levo a Te sul limitare di mia vita ;
colà dove al varcar la soglia
si spegne ogni passione umana
ma s’apre il Volto Tuo nell’abbraccio del Perdòno .

E con questa semplice preghiera io professo
che Tutto da Tue Misericordia e Grazia giunge,
ed in Tue Misericordia e Grazia si compie e si conclude.

Amen

Note

  • 17 : In matematica, due numeri si dicono “reciproci” quando l’uno è l’inverso dell’altro; moltiplicati fra loro, danno per prodotto l’unità; ad esempio: sono numeri reciproci 3 ed 1/3 che, moltiplicati fra loro, danno per risultato 1.
  • 18 : Secondo un suggestivo studio etimologico, il verbo latino “Amare” prenderebbe origine dall’arcaica radice ittita “Ham-”che, avendo in sé il significato di “Legame”, “Congiunzione”, forma nell’antica lingua degli Ittiti il verbo “Hamenk-” che vuol dire – per l’appunto – “Legare”, “Congiungere”; e chi ama sente di legarsi e congiungersi. Ebbene, il verbo “Hamenk-” sembra essere transitato nella lingua etrusca, la quale, essenzialmente estranea all’ittito, presenta tuttavia diversi e interessantissimi punti di contatto con essa, spiegabili probabilmente con elementi linguistici di substrato comuni ad Etruschi ed Ittiti. Dall’antica lingua degli Etruschi, infine, il verbo in questione sarebbe giunto fino ai Proto-Latini, i quali avrebbero ricevuto una scossa significativa dopo il loro contatto con gli Etruschi stanziati nel Lazio, e soprattutto in Roma; né va dimenticato che i Proto-Latini giunsero sul basso Tevere quando già la zona era occupata dagli Etruschi, sia pure da non molto tempo (e la futura, grande Urbe nacque proprio dal contatto ravvicinato tra i due popoli). Peraltro, a fronte dello studio etimologico testé citato, perderebbe credito la tesi per cui il verbo latino “Amare”, con i proprî derivati “Amicus” ed “Amoenus”, fu per lungo tempo ritenuto di origine indo-europea; e l’Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch del Pokorny, che riassume le ricerche dei migliori indoeuropeisti apparse fino alla metà del secolo appena trascorso, lo deriva dubitativamente dalla radice am(m)a ~ ami “Madre”, e riporta all’un tempo l’opinione di Paul Kretschmer che invece ritiene che la voce possa essere etrusca.
  • 19 : La “Compassione”, intesa come percezione della sofferenza dell’altro, e con l’altro condivisa, è improntata del senso di una speciale ed intima visceralità; ma, non a caso, anche la Misericordia è improntata di un pari senso di intima visceralità: nell’Antico Testamento, infatti, era il termine “Rehamim” ad indicare la Misericordia, e “Rehamim” sta per “Viscere” come “Ventre Materno”. E v’è qualcosa di più segreto e viscerale dell’intimo del ventre materno, e che meglio di questo possa esprimere la sensazione di sofferta tenerezza per l’altro e profondo senso di compenetrazione nella sua sorte? V’è qualcosa di più segreto e viscerale di ciò che una madre prova per il figlio? Di talché, non può esservi un termine più efficace di “Rehamim” del Vecchio Testamento per dire come la Misericordia sia moto intimo e viscerale che dall’io profondo emerge amorevole per riversarsi sull’altro con piena comprensione e dolorosa compassione per la sua “Sorte”, ed all’un tempo con premurosa tenerezza volta ad alleviarne le pene e con cogente desiderio di partecipazione per mutarne in meglio il “Destino”.
  • 20 : Ogni Spirito che s’incarna nella corporeità umana lo fa per ottenere conoscenza di esperienza e Coscienza di essa, in un viaggio che si risolve positivamente soltanto ritornando alla Luce primigenia. Tale aspirazione implica, però, la discesa nella Tenebra; il morire, quindi, alla Coscienza dell’Essere Tutto per passare alla Coscienza dell’individuale, singolo ego. Ed è la “Goccia” che si allontana dal “Grande Padre Oceano”, del Quale perderà perfino la memoria: ciò, non per punizione, ma per concessione misericordiosa di Dio all’individuo che, così facendo, diviene arbitro di sé stesso; il che sarebbe inattüabile ove venisse mantenuto il ricordo dell’Altissimo Che eserciterebbe naturalmente un’attrazione irresistibile verso di Sé condizionando il dono del Libero Arbitrio (è la “Tesi del Dio Ascoso”).
  • 21 : Sant’ Agostino e Pelagio si combatterono, sul piano intellettüale, nei seguenti termini: da un canto, il britanno sosteneva che soltanto il potere (e cioè, la possibilità che si ha di volere operare per il Bene e poi di fare il Bene) fosse dato all’Uomo attraverso la Grazia di Dio quale Suo Dono – per l’appunto – “Gratuito”, mentre egli affermava che il “volere” ed il “fare” giungessero all’Uomo dal mero suo Libero Arbitrio pur se supportati dalla Grazia Divina attraverso la Legge e la Dottrina date da Dio, ma solo nei casi in cui l’Uomo si fosse reso meritevole di aiuto per avere reiteratamente tentato di vincere la propria “mala” natura (e, peraltro, Pelagio si chiedeva, retoricamente, come avrebbe potuto esser fatto salvo il Libero Arbitrio, e dunque il merito dell’Uomo, se la Grazia fosse stata così intrusiva da permettere di rinvenire in Essa stessa l’origine d’ogni cosa buona fatta dall’Uomo); dall’altro, l’ipponate sosteneva, invece, che tutti e tre gli elementi in discorso dovessero essere supportati dalla Grazia Divina, senza la Quale l’Uomo sarebbe stato in balìa della propria “mala” natura e non avrebbe avuto possibilità, né volontà, né tampoco capacità d’azione, di agire nel Bene (e, peraltro, Agostino si chiedeva, retoricamente, come fosse possibile – ove nel giusto la tesi di Pelagio – che i fattori puramente umani avessero tanta forza da potere fare operare nel Bene pur senza la Grazia, mentre la possibilità di fare il Bene, che ci proviene da Dio con la creazione, avesse tanta debolezza da non potere esprimere la propria potenzialità senza il supporto costante della Grazia).
  • 22 : Se io sono nella possibilità di esercitare il mio libero arbitrio e vorrò eseguire e quindi eseguirò pedissequamente le disposizioni della Legge di Dio sarò un mero esecutore di essa, ma non ne avrò compreso il senso né la necessità. Come potrò scegliere il bene – e dunque compiere ciò che è giusto – se non ho acquisito la coscienza di conoscenza che mi permette di fare tale distinzione? Se – avendolo appreso dal Padre – seguo pedissequamente la Legge privo di tale coscienza, non avrò scelto in realtà, ma solo eseguito. Occorre infatti che io comprenda compiutamente il senso della Legge fino a condividerla per intimo convincimento. Ma come farò? Ecco allora intervenire ancora la Grazia che mi “dona” la coscienza e dunque mi illumina. Tale opera è compiuta dallo Spirito Santo che completa e chiude il ciclo.
  • 23 :

    Monsignor Myriel, vescovo di Digne, viene derubato delle sue posate d’argento – unico lusso della sua esistenza improntata per il resto ad assoluta modestia – da Jan Valjean, ex galeotto da lui generosamente accolto ed alloggiato nella sua casa. Durante la notte l’uomo fugge con il bottino. Quando, il mattino seguente, fermato dai gendarmi e trovato in possesso degli argenti, viene accompagnato a casa del vescovo, questi dichiara che si tratta di un regalo da lui fatto all’ospite, al quale rammenta che ha “dimenticato” di portare con sé anche i due candelabri d’argento, che pure gli aveva donato. Poiché il danneggiato “nega” di aver subito il furto, i gendarmi sono costretti a lasciar libero Jean Valjean. Tanta grandezza di cuore scuote l’anima del malvagio che, dopo un ultimo vile delitto (il furto di quaranta soldi ai danni di un fanciullo) ed una sconvolgente lotta interiore, crolla in un pianto purificatore che muterà per sempre la sua vita. Il monsignore aveva “comprato” la sua anima! Dopo anni ed anni di vita trascorsa nel ben operare, ormai in punto di morte, accanto al letto del vecchio Jean Valjean si troveranno ancora i due candelabri d’argento, simbolo della sua redenzione.

    Tutto ciò si compie, nel romanzo dell’Iniziato Victor Hugo, grazie a quelle umane misericordia e clemenza che, mosse dall’Amore Evangelico e consequenti all’applicazione del cristico “Principio di Giustificazione”), nel Vescovo di Digne raggiungono quasi la soglia di quel Perdòno che soltanto a Dio appartiene. Il Monsignore, infatti, non si fece ricettivo all’offesa contro la propria ospitalità, né al torto ed al danno subìti dalla sottrazione delle posate d’argento. Quel Giusto, guidato dall’Amore, avvertì di non ricevere danno dal furto perpetrato dall’ex galeotto. Nessuna percezione di danno risuonò di dolore nell’Armonia dell’Universo, l’Equilibrio non venne turbato, non vi fu necessità di risarcimento, non vi fu necessità di Perdòno da parte dell’Altissimo. Il vecchio Charles François Bienvenu Myriel, insomma, rese non necessario il Perdòno di Dio: questo fu il passo superiore ch’egli compì rispetto a quello (già grande) del dimenticare torti ed offese. Il Vescovo rispose al Male posto in essere dall’ex galeotto “porgendogli l’altra guancia”, secondo l’universale ed eterno Insegnamento Evangelico. Ed il dono al malfattore dei due candelieri d’argento non può essere inteso altramente; con tale dono il vecchio Presule affermava con forza che non soltanto il Male (rappresentato dal furto delle posate d’argento) non aveva sortito effetto alcuno, ma che addirittura è tanto vana ogni Mala Actio da produrre addirittura il Bene se nuovamente ci si espone al rischio di essa con Atto d’Amore. Nell’operare come fece, il Vescovo applicò in pieno, nei confronti dell’infelice Fratello, il “Principio di Giustificazione”; quello per cui il Nazareno implorava il Padre, dalla Croce, con il supplicarLo: “Padre, perdonali; perché non sanno quel che fanno!”.

    In pratica: tu mi derubi delle posate, ed io ti dono anche i candelieri! In tal guisa, nulla potrà il Male su di me e nulla permetterò che faccia a te non richiedendo il Risarcimento del Danno prodotto.

    E ciò perché, nonostante tu abbia a me arrecato Danno, io, titolare del Bene danneggiato, ti giustifico comunque in quanto tu non sai del Male che fai; ed io non invocherò alcun Risarcimento per esso, affinché tu non sia imputabile e quindi non sia perseguibile e punibile; ed anzi, io ti donerò un altro mio Bene affinché tu sappia che la Logica dell’Amore non corrisponde alla “Legge del Taglione”, né a quella umana dell’obbligazione irrinunciabile a risarcire il danno ingiustamente prodotto, ma al contrario è quella per cui al Male si risponde con il Bene e se ti percuoteranno una guancia tu porgerai anche l’altra; cosicché, alla fine, Amor Omnia Vincit !

  • 24 : L’Ade.
  • 25 : La Brocca: il Seno di Dio, in senso figurato.
  • 26 : Non è poi così difficile fare la cosa giusta, è difficile sapere quale sia la cosa giusta da fare; è su tale difficoltà che poggia il principio di giustificazione del Cristo innanzi a Dio a favore del genere umano.
  • 27 : “Cor meum inquietum est donec in Te requiescat, Domine” – Sant’Agostino.
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