Il Sentiero del Padre

Il sentiero che porta ai mondi superiori

Capitolo VI

Sulla reincarnazione

Se partiamo dal presupposto assiomatico che Dio esiste e che Dio è perfezione, dobbiamo giungere alla conclusione che anche l’opera creata da Dio è assolutamente perfetta, anche nella porzione che più direttamente ci riguarda. Così, sebbene ce ne sfugga la comprensione, dovremo ammettere che la creazione sa conciliare l’esistenza della vita nelle molteplici espressioni della natura, con l’uomo, con il bene e con il male, con la vita e con la morte, con il libero arbitrio, con la giustizia e con l’amore.

Questo, se fossimo in grado di partire da Dio per poter giungere poi fino all’uomo ed all’universo materiale. Noi invece possiamo solo tentar di percorrere la strada inversa: studiare, meditare, analizzare, conoscere noi stesso e quindi tentar di sfiorare appena il concetto concernente Dio.

L’ipotesi di partenza però, paradossalmente, è la stessa: la perfezione divina.

Omnia in pondere et mensura disposuit Deus”. Tutto Dio ha posto secondo pesi e misure acconce. Egli ha creato l’universo dandogli ordine perché Egli Stesso Ordine nella espressione più elevata. Di qui le leggi che governano il creato, siano esse fisiche o non.

Se riteniamo dunque che Dio abbia posto tutto nell’ordine e quindi nella legge che governa tale ordine, dovremo convenire che Dio abbia realizzato ciò in un unico atto creativo.

Sarebbe infatti inaccettabile, stando a tali presupposti, un Dio sì perfetto, ma necessitato poi da continui interventi e continue correzioni all’opera Sua. Appare più conducente l’ipotesi che l’universo e le leggi che lo reggono siano stati posti “ab aeterno” e nell’ordine perfetto secondo pesi e misure. Ciò significa altresì che nel creato esiste una condizione di armonioso equilibrio.

Anche per l’uomo, creatura di Dio, vale quanto detto. Ma all’uomo è stato fatto dono particolare: la libertà. O, per meglio dire, egli è stato fatto fruitore del libero arbitrio.

Detta facoltà, tuttavia, può alterare lo stato di equilibrio, ma il sistema è così sofisticatamente articolato e sapientemente organizzato da ricercare per così dire “automaticamente” la condizione di riequilibrio quale conseguenza dell’atto causa della turbativa. Ciò ci conduce inequivocabilmente alla regola secondo cui ad ogni azione corrisponde una consequenziale reazione; in altre parole: “legge di causa ed effetto”.

La fruibilità della libertà di scelta da parte dell’uomo importa anche la possibilità da parte di questi d’ una scelta non corretta e cioè in contrasto con l’armonia dell’universo. Ma l’uomo, che è “riflesso” divino, ha necessità di effettuare la propria esperienza nel mondo della materialità. Perché l’uomo disseppellisca quel “riflesso” fino a portarlo al livello della propria coscienza è inevitabile che effettui un certo percorso evolutivo durante il quale è possibile la caduta nell’errore, o, se si preferisce, nel “peccato”. Ciò può comportare tempi più lunghi per la evoluzione di taluni spiriti, pur appartenenti alla stessa “generazione”. Infatti, il loro progresso nella esperienza della materialità può non essere uniforme e può non svolgersi in pari misura.

Non è forse vero che non tutti i bambini imparano a camminare alla stessa età? Così l’uomo nella sua sperimentazione: taluno imparerà prima, tal’altro più tardi.

Così per la completa crescita dell’uomo nella esperienza materiale spesso è necessario reiterare, sia pure in condizioni diverse, la propria discesa sulla terra; talvolta perché necessario allo sviluppo spirituale, tal altra per ripristinare l’equilibrio turbato da una esistenza precedente, tal altra ancora per dono d’amore nei confronti dei fratelli rimasti indietro, allo scopo di aiutarli e guidarli verso il loro corretto incedere.

La dottrina della reincarnazione appare la più bella, la più pura, l’unica che dia spiegazione e giustificazione della incomprensibile disparità di condizione esistente fra gli uomini (ricchezza e povertà, malattia e salute, intelligenza e stoltezza, fortuna e sventura), l’unica che fornisca una risposta soddisfacente al terribile interrogativo sulla Giustizia Divina: perché sono nato oggi e non cento o trecento o mille anni fa? Perché in Italia, in un determinato ambiente socio-culturale che mi ha permesso non solo una certa condizione di vita ma anche la possibilità di effettuare talune scelte di vita, come pure la condizione economica che più agevolmente mi ha consentito tali scelte? Perché invece non sono nato presso un popolo fortemente sottosviluppato? Perché per taluni la strada appare tanto difficile ed aspra e per altri più agevole? Dov’è la Giustizia del Padre in tutto ciò?

Secondo l’insegnamento attuale ufficiale della religione cristiana il dono della vita terrena che viene offerto da Dio al proprio figlio è unico ed irripetibile. Esso porta con sé quanto di più meraviglioso: l’esistenza, la coscienza della vita stessa, l’intelligenza, l’amore; ma anche di orribilmente tragico: il dolore, il trascorrere del tempo e la caducità della vita, le guerre, le malattie, l’odio.

Essa vita è ritenuta non solo dono ma anche banco di prova per l’uomo. Questi sa che la vita terrena dovrà cessare un giorno, un giorno per sua buona sorte a lui sconosciuto, per far luogo ad un’altra condizione di vita non materiale per lui inimmaginabile: quella spirituale.

Quest’ultima sarà la sua vera e definitiva condizione di vita; ma essa potrà essere dono di oziosa gioia o castigo feroce ed inappellabile … premio o castigo finale … entrambi inestinguibili perché eterni! Questa la vita terrena: attimo fugace, battito d’ali di farfalla, istante in cui carpire l’eterna felicità o sprofondare nell’eterna disperazione di un insopportabile dolore!

Certo il concetto di un Dio amorevole e premuroso nei confronti del proprio figlio cozza con quello di un Dio pronto a punire senza appello la creatura che sovra tutte ama poiché essendo caduta in fallo Giustizia chiede il suo guiderdone.

Ma è proprio vero che il cristianesimo non ammette la reincarnazione?

In realtà tale credenza, pacificamente accettata quando ancora il cristianesimo conservava il suo carattere prevalentemente mistico, venne soffocata allorché la nuova religione, per taluni versi distorta dalle “ricette distillate dall’umano intelletto”, tutta protesa verso la conquista del potere, decadde in vero e proprio organismo politico. Prevalse quindi la concezione della unicità della esistenza, con il conseguente corollario della eternità del premio o del castigo, dottrina questa che consentiva al potere religioso un più completo dominio della coscienza delle masse.

Ma al tempo di Cristo la reincarnazione era concetto largamente diffuso ed accettato. Di esso troviamo più di una traccia anche negli evangeli canonici.

Esaminiamole brevemente:

Mt.17-10,13

Dal tempo di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei Cieli è oggetto di violenza; poiché i violenti vorrebbero farlo fuori. Infatti, tutti i profeti e la legge fino a Giovanni l’hanno annunziato. E se volete capirlo, egli è l’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, intenda!

Mt.17-10,13

Allora i Suoi discepoli lo interrogano dicendo: “perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” Egli rispose: “Elia, sì deve venire e restaurerà ogni cosa. Ma io vi dico che Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto, anzi lo hanno trattato come hanno voluto. Così anche il figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro”. Allora i discepoli capirono che Egli intendeva parlare di Giovanni Battista!

In entrambi i passi evangelici è chiaramente detto che Gesù rivela ai propri discepoli che Giovanni Battista altri non è che il profeta Elia, evidentemente reincarnatosi in Giovanni Battista; quell’Elia di cui era per l’appunto atteso il ritorno come preconizzato dalle Scritture e dalle stesse indicato come segno che i tempi sarebbero stati allora maturi al compimento di eventi di sconvolgente portata[11].

Ed in effetti il Battista, figura dal fascino magnetico, svolge un importantissimo lavoro di preparazione del terreno sul quale dovrà poi muoversi Cristo. Sono folle intere che ascoltano e seguono gli insegnamenti di Giovanni, “il più grande dei nati di donna”, come lo definisce lo stesso Gesù. Né altri se non quell’Elia avrebbe potuto svolgere attività utilmente propedeutica a quella di Gesù. Ma una volta esaurito il proprio compito il Battista, perfettamente consapevole della propria missione oltre che di quella di Cristo, afferma: “Ora Lui deve crescere ed io diminuire”. Vi è ancora un altro passo del vangelo estremamente significativo dal quale non può non desumersi che il principio della “reincarnazione” al tempo di Gesù era completamente accettato.

Gv.9-1,4:

“Ora mentre passava, vide un uomo cieco dalla nascita. I Suoi discepoli Gli domandarono: “Rabbì, chi ha peccato lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma (sott. è nato cieco) perché si manifestassero in lui le opere di Dio.”

È chiaro che la pluralità delle incarnazioni era data per “scontata”. Se così non fosse stato, illogica apparirebbe la domanda: “Rabbì, chi ha peccato?”. Se il cieco era tale sin dalla nascita, quando avrebbe dovuto peccare per meritare tale castigo? Evidentemente in una esistenza precedente. Gesù dà una Sua risposta, dalla quale peraltro non trapela alcuna meraviglia per la domanda dei discepoli. Se il concetto di rinascita fosse stato estraneo alla cultura dell’epoca non avrebbe avuto senso la domanda in quei termini, e, comunque la sua illogicità sarebbe stata sottolineata dalla risposta del Cristo.

Nell’episodio del “cieco nato” si intravede altresì chiaramente anche il concetto relativo ai cosiddetti “nessi karmici”, e cioè quei “legami” esistenti tra individuo e il tutto, ovvero tra individuo ed individuo, o ancora tra una pluralità di spiriti che per precise ragioni sono collegati dovendo rispondere alla legge di “causa ed effetto” (ha peccato lui o i suoi genitori?).

È evidente che i discepoli diano per scontato che la malattia dell’uomo tragga origine da altra più profonda che attiene all’anima, ossia al “peccato”.

Il peccato deturpa gli strati profondi dell’essere e questi, proiettandosi verso la parte fisica, ne provocano la malattia. Non è infrequente, infatti, l’intervento taumaturgico del Cristo così come descritto in molteplici casi nel vangelo: valga per tutti l’episodio del paralitico al quale dapprima Gesù rimette i peccati, con scandalo dei farisei che pensano: “Chi crede di essere costui che rimette i peccati?”, e quindi comanda “alzati e cammina” con ciò rendendo palese sul piano fisico la guarigione dello sventurato il quale, ormai sano, prende il suo lettuccio e si allontana.

Certamente accettare la “reincarnazione”, anche solo come ipotesi, ci è difficile. Ed è difficile soprattutto perché siamo condizionati da una cultura che la ignora e che anzi la respinge da secoli. Se però tentassimo di allargare la nostra visuale eliminando per un attimo convinzioni preconcette ormai sedimentate, se valutassimo un po’ meglio prendendo in considerazione anche la visione religiosa di altri popoli, quali gli orientali, riusciremmo forse anche noi ad ammettere la giustezza di tale principio.

Reincarnazione, nessi karmici: sono le facce della medesima medaglia; a noi interpretarne il significato.

Si pensi che il Buddhismo, nato quasi sei secoli prima di Cristo, quarta religione per diffusione nel mondo (dopo la cristiana, la islamica e la induista), accetta come pilastro basilare la reincarnazione.

Siddharta Gotama, nato intorno alla metà del V° secolo a.C. in una regione del Nepal da una famiglia medio-borghese appartenente al clan dei Sakya, diviene il Buddha (= lo sveglio) quando un giorno, trovandosi sotto un gigantesco albero di fichi indiano (il sacro albero della bodhi o albero di bo) giunge all’illuminazione. Tale condizione lo porta ad intuire profonde verità che avrà modo di esporre ai suoi discepoli e seguaci in quello che diverrà poi noto sotto il nome di “discorso di Benares”, i contenuti del quale diverranno i principi base su cui poggerà la filosofia e la religione buddhista e da essa le sue successive ramificazioni o interpretazioni: lo ZEN, l’AMIDISMO, il SOKA GAKKAI.

Il buddhismo, in poche e povere parole, indica all’uomo la strada per liberarsi dalle illusioni e dalle passioni terrene che lo vincolano, indirizzandolo verso ciò che è superiore, trascendente ed altamente morale per giungere, attraverso l’ottuplice sentiero, a spezzare la “ruota delle penose rinascite” e pervenire quindi alla purificazione (Nibbana o Nirvana).

Lo stesso Buddha al momento della illuminazione avrebbe preso coscienza delle sue molteplici anteriori esistenze.

Ho voluto prendere ad esempio la religione Buddhista, forse tra le orientali la più vicina al cristianesimo, per sottolineare non solo come in essa sia ammesso il concetto della “reincarnazione”, ma come questo influenzi ed incida fortemente su tutto il pensiero religioso.

La reincarnazione come tale non avrebbe fondamento senza il supporto della cosiddetta legge di “causa ed effetto” altrimenti nota come legge dei “Nessi karmici”. Anche in questo ambito le religioni orientali, che, come ho detto, da sempre ammettono il principio della reincarnazione, accettano di conseguenza anche quello del karma o, se si preferisce, ritenendo fondato e giusto quest’ultimo, accettano quello della reincarnazione: ed in effetti i due principi sono inscindibili.

Cosa viene inteso per “karma”? Il principio su cui si basa tale concezione è da ricercarsi nella consequenzialità delle azioni umane: “Dare-dato, avere-avuto”. È vero che si vive l’oggi: il presente, ma questo non ci compare dal nulla ed all’improvviso; esso è la conseguenza di ciò che è stato compiuto nei giorni precedenti: nel passato, non solo, ma esso costituisce altresì presupposto ed antecedente del domani: ossia del futuro. Ogni nostro comportamento, azione o addirittura pensiero, è suscettibile di apprezzamento, ha cioè il suo peso e il suo effetto. Si pensi per esempio ad un sasso lanciato in uno stagno d’acqua immota: l’azione volontaria è costituita dal lancio del sasso ma questo a sua volta produrrà, seguendo leggi fisiche, una serie inarrestabile di cerchi concentrici che andranno ad influenzare porzioni sempre più ampie di stagno allargandosi via via. Così le nostre azioni producono degli effetti, attraverso misteriose risonanze nel cosmo, e tali effetti mutano col mutare del valore morale dell’azione stessa.

Così attraverso il nostro comportamento ci costruiamo l’avvenire poiché ciò che compio oggi è antecedente logico-causale e quindi presupposto di effetti postumi.

Allargando tale concetto ed associandolo a quello della reincarnazione aggiungeremo a constatare come gli effetti del comportamento tenuto dall’uomo in una esistenza precedente possano influire e condizionare la vita attuale. Insomma, in certo senso il karma è il nostro destino, inteso però non come cieca aleatoria sorte, ma come conseguenza perfettamente rispondente alla legge di causa ed effetto e comunque facente salvo il libero arbitrio.

Tali concetti sono stati mirabilmente sintetizzati da Fabre D’Olivet nel libro “Esame dei Versi d’Oro di Pitagora” e ho voluto qui riportarne traccia:

“Ho detto che Pitagora ammetteva due moventi delle umane azioni, la potenza della volontà e la necessità del destino, e che le sottometteva l’una e l’altra ad una legge fondamentale chiamata Provvidenza, dalla quale similmente emanano. Il primo di questi moventi era considerato libero, l’altro costretto, in modo che l’uomo si trova situato tra due nature opposte ma non contrarie, indifferentemente buone o cattive, a seconda dell’uso che ne sa fare. La potenza della volontà si riteneva potersi esercitare sulle cose da fare o nell’avvenire; la necessità del destino sulle cose fatte o sul passato. (…) Così, per questa dottrina, la libertà regna sull’avvenire, la necessità nel passato e la Provvidenza sul presente”.

Vorrei ancora aggiungere alcuni cenni sull’argomento pubblicati da Rudolph Steiner sulla rivista “Luzifer Gnosis” (1903 – 1904):

“Le condizioni fisiche successive sono gli effetti di condizioni fisiche antecedenti; così pure le successive condizioni psichiche sono gli effetti di condizioni psichiche antecedenti.

Questo è il contenuto della legge del karma. (…) Le mie esperienze di ieri sono le cause delle mie capacità di oggi. Il presente mi accompagnerà nel mio avvenire. (…) Questa connessione di un essere con i risultati delle sue azioni è legge del karma che domina il mondo intero. Il karma è l’attività divenuta destino. (…) Perciò le esperienze dell’uomo nel mondo fisico saranno in generale di un grado tanto più elevato, quanto più spesso egli si sarà incarnato o quanto maggiori saranno stati i suoi sforzi nelle sue precedenti incarnazioni. Con ciò il pellegrinaggio attraverso le reincarnazioni diventa una evoluzione ascendente. (…) Il fatto che il nostro destino, il nostro karma, ci si presenti sotto forma di un’incondizionata necessità, non rappresenta un ostacolo alla nostra libertà. Non è il destino che agisce ma siamo noi ad agire in conformità alle leggi del destino. (…)”. V’è da aggiungere a quanto detto che i nessi karmici e i meccanismi che li regolano sono in effetti estremamente complessi e mal si prestano ad una immediata lettura ed interpretazione da parte di chi si volesse cimentare; essi appartengono ai piani che trascendono la nostra dimensione pur influenzandola così fortemente.

Luca 8-40,44:

“quando fece ritorno, Gesù fu accolto dalla folla: infatti tutti erano in attesa di Lui. Venne allora un uomo di nome Giairo, che era capo della Sinagoga. Gettatosi ai piedi di Gesù lo supplicava di andare a casa sua perché aveva un’unica figlia di circa dodici anni che stava per morire. Mentre vi si dirigeva, la folla lo premeva da ogni parte. E una donna che da dodici anni soffriva di continue perdite di sangue gli si avvicinò, toccò la frangia del suo mantello e subito il flusso di sangue si arrestò.”

Si ponga attenzione alla circostanza concernente l’età della bimba, dodici anni, e la durata della malattia della donna, anche essa dodici anni; appare non casuale che i due episodi, sebbene distinti, siano riportati da Luca nel medesimo contesto narrativo e che facciano ritenere che la donna e la bambina fossero legate tra loro su un piano sottile. Rudolph Steiner, inoltre, nel sostenere tale interpretazione, ritiene che la malattia dell’emorroissa, e cioè l’eccesso di sangue, fosse karmicamente da contrapporsi ad una grave forma di anemia della bimba.

Un’ulteriore precisazione appare opportuno aggiungere riguardo al temine “generazione” che ritroviamo nei vangeli canonici e che, mal interpretato, potrebbe ingenerare disorientamento.

Il termine ha senso se inteso come “generazione di spiriti”, cioè quel gruppo di esseri umani, pressoché in pari misura spiritualmente progrediti, che fa la propria comparsa sulla terra, per effettuarvi le necessarie esperienze nella materialità, in una precisa fascia temporale che può comprendere un’intera era della storia (o più) contrassegnata da continui cicli reincarnativi. In tal senso ritengo vada intesa la frase del Cristo: “In verità vi dico: Non passerà questa generazione prima che tutte queste cose accadano”. (Mt.24-34,35).

Note

  • 11 : M.chia 3-23,24: “Ecco, io vi invio Elia il profeta, prima che venga il giorno del Signore, grande e spaventoso!”
Torna su