Il Sentiero del Padre

Il sentiero che porta ai mondi superiori

Capitolo II

Su Satana

Premessa

lucifero-precipitato
Figura 5 : Lucifero precipitato

La figura del diavolo è stata ed è ancor oggi tra le più rappresentate sia nel campo religioso che in quello artistico. L’ombra sinistra ed inquietante che per secoli satana ha disteso nel mondo perdura e quasi sempre al principe delle tenebre si attribuiscono eventi catastrofici o piaghe che si abbattono sull’umanità. Identificato con Satana (l’accusatore), nella religione cristiana, è spesso citato e descritto come l’angelo più splendente del Paradiso, Lucifero, che, resosi responsabile del peccato di superbia, venne precipitato da Dio nell’inferno assieme ai suoi fedeli angeli. Da qui l’odio per Dio e la sua battaglia contro la Luce attaccando di continuo, con le tentazioni volte al male, la creatura amata da Dio: l’Uomo!

Molte religioni nel mondo, anche molto antiche, parlano di un’entità dai poteri immensi contrapposta a Dio. Una sorta di Divinità del male che si oppone a quella del bene. Ancora oggi troppo spesso la religione cristiana, e quella cattolica in particolare, ci parla del diavolo. Troviamo il diavolo nella Bibbia, nei Vangeli e nei racconti apocalittici dove si parla del diavolo altrimenti definito serpente antico o Satana.

Il mito islamico di Eblis, l’Angelo ribelle

Iddio, chiamato a Sé Lucifero, l’Angelo più splendente del Creato, gli ordinò: “Da oggi servirai l’uomo!”. Ma l’Angelo rifiutò e rispose: “Signore, io sono qui per servire Te e solo Te, poiché Te amo sovra ogni cosa e a Te giurai eterna fedeltà, non all’uomo!

Così – secondo un antico mito della cultura islamica – ebbe luogo l’atto di disobbedienza di Lucifero, che ritenne di poter fare a meno di Dio. Ed il sistema Universo, fino a quel momento in perfetta armonia, per l’assoluta felicità in cui vivevano le creature, si frantumò e precipitò in un altrove, realizzando una sorta di universo alternativo ed antitetico al precedente. Il crollo fece precipitare Lucifero con gli Angeli a lui fedeli nel mondo infero ove vivono liberi, ma nella dilacerante nostalgia di Dio.

Bene, prima di ragionare sul tema e di illustrare per quanto possibile la tesi che qui si vuole sostenere, diremo sùbito e senza alcun tentennamento: “Satana NON esiste!” Rassicuriamoci. A dispetto di quanto asserito per secoli dalle Chiese cristiane che hanno voluto dar credito a questa sconcertante figura (che nella iconografia medioevale ha poi assunto aspetti animaleschi e terrifici), noi qui ne sosteniamo a gran voce l’inesistenza. Né le religioni hanno peraltro mai dimostrato l’esistenza di una divinità al negativo, del male, contrapposta ad altra positiva, del bene. A nulla vale l’affermazione secondo la quale “satana è così furbo che la sua maggiore astuzia è quella di far credere che non esista” (salvo poi mostrarsi platealmente ed incredibilmente nei c.d. “fenomeni di possessione diabolica!”). Nella realtà satana non esiste né come divinità del male, né come entità a sé stante, decaduta o meno; tuttavia, la sua figura ha espresso, in passato come ancora oggi esprime, una forte valenza simbolica e come tale possiede un significato che va ben compreso e meditato, ma non altro.

Riporteremo qui di seguito un breve quanto efficace insegnamento sul diavolo:

(…) Il dubbio è nell’uomo e genera la sua inquietante figlia: la paura. Ma la paura che è dell’uomo, il cui procedere è razionale, denuncia l’impotente realtà della ragione a separare le tenebre dalla luce per ignorare le une e l’altra. Talora tutti foste assaliti dal dubbio della paura, dalla paura del dubbio, dal dubbio e dalla paura. Da essa la confusione e l’angoscia che il suo generatore, il male, potesse aver sopravvento e dunque con esso vincervi il principe della notte: Satana! Brevemente: diavolo; perché diavolo etimologicamente?

(spieghiamo che deriva da “diaballo” scaglio contro, verso: l’accusatore) Satana invece è dall’ebraico SHATAN: sostantivo usato avverbialmente prima nei Numeri XXII, 22 – XX,II-22: “…e l’inviato del Signore gli si pose nel cammino”; SHATAN, cioè adversus, contro. E certamente l’inviato di Dio non era Satana che non avrebbe fatto comunella con l’Eterno. Né alcun uomo di teologia o mistica o fede cita Satana o il demonio. Quest’ultimo termine dal “Daimon” di cui ben sapete. (Ha infatti origine greca, da Socrate, n.d.a.). Bene, alcuno in effetti parla del diavolo come poi lo si voglia chiamare; perché allora il mito di esso e la conseguente paura?

V’è da dire che dal TALMUD si ricava che i primi cabalisti ebraici (o questa continua presenza della noiosa QABBALA, di cui parleremo un giorno), dal Talmud dicevo si evince che essi importarono dalla religione Zoroastriana da babilonia il mito del dualismo Auramazda – Arimane, tradotto quest’ultimo “il malintenzionato”. Egli tormentava nell’accezione comune il dio della luce sempre ponendolo in necessità di lotta per il trionfo del bene. Ma già i primi iniziati “mazdei” sapevano della realtà dei due princìpi contrapposti quali cause causate d’un principio ineffabile: tempi infiniti, l’insondabile unità. Il bagno di determinismo e la deturpazione che compì Mani sull’adolescente religione cristiana fece sì che la fonte del virgulto di amore fosse avvelenata dalla presenza pesante del nuovo creato determinismo dualista: cosicché se non vi fosse stato tale apporto, la grottesca figura del diavolo non disonorerebbe tutta la dogmatica cristiana come fantasma al cui cospetto il ridicolo si infastidisce per dover stare a braccetto con l’orrido. Del Satana delle tentazioni, ben diverso, parleremo allorché vi dirò dei 4 gradi dell’iniziazione di Cristo.

Bene sarebbe divertente pensare se, riportando tutto ai parametri a noi consueti, pensassimo alla battaglia dei ribelli da loro vinta. Adesso avremmo: Jeova gratificato di corna e unghioni ridotto all’umile stato di cattivo consigliere; il male sarebbe il bene; la virtù abiezione; la castità infamia; il perdòno vigliaccheria; e di contro l’avarizia oculata parsimonia; l’intemperanza e la lussuria sintomo di buono stato di salute; l’orgoglio nobiltà d’animo; la frode sinonimo di brillante intelligenza. Ma sarebbe mai possibile ciò? E soprattutto è possibile credere a tali assurdità?

Il Bene ha vinto nella simbologia profonda e non elementare cui si riporta tale battaglia, poiché è l’ordine e l’armonia, l’archetipo ed il divino: in una parola amor movens o più semplicemente, il Bene! La ragione prevedibile e necessaria per cui il male ha perduto sta nel suo contingente esser l’anarchia e il disordine, il non amore o più semplicemente, il male.

Il male è però nell’universo e non è negabile come non lo è il freddo o l’ombra, ma viene il caldo ed il freddo cessa; giunge la luce e l’ombra scompare. Così il male in quanto negazione del bene e dunque astratta realtà negativa dell’unica reale.

Dare al negato realtà è negare l’autentico, poiché l’autentico soltanto esistente permette nel suo non essere la creazione della idea della sua assenza. Dare essenza al male è così negare il bene. Dare spazio all’ipotesi del diavolo è dare spazio al dualismo di due assoluti: bestemmia in religione; assurdità in filosofia. Sarebbe dare possibilità d’esistenza ad un diavolo che: vinto avrebbe potere a dispitto del vincitore; esiliato sarebbe ovunque presente a compiere sua opera sui puri facenti parte della schiera dei vincenti, d’un suppliziato che infama il suo giudice contrariandolo e dandogli torto nella realtà, imperocchè non si pentirà mai, d’un vinto che riceve umani sacrifici proprio dal vincitore che sereno gli lascerebbe divorare i Suoi figli. Il saggio, l’uomo di Dio, nega il demonio. Esso è creazione delirante della paura umana che vede l’essere ritenuto raziocinante tremare dei suoi fantasmi.

Il male è in realtà poiché l’uomo lo vuole. È il non agire d’amore.

La menzogna della vita quando conoscendo la vita si mente ad essa non agendo per la vita. E la Vita disse: io sono unitamente alla Via ed alla Verità. Così la giustizia è agire nella vita per la vita in non menzogna.

E Dio vuole la giustizia ed una cosa non è giusta perché Dio la vuole ma, come diceva S. Tommaso, “Dio la vuole perché è giusta”. Così o voi cercatori di certezze che non troverete se non alla luce di quell’altra logica[8]: Dio non permette, non permette, non permette il male. Lascia che il bene, cioè EGLI STESSO, stia lì in attesa d’essere colto o negato; cosicché l’uomo possa clamare sempre: io scelgo! Io scelgo! Io scelgo!

Ecco che dunque il male c’è solo come mezzo di cui l’uomo possa avere fruizione acchè la sua scelta sia plena; mai esso ha azione di per sé senza volitiva volontà. Così l’uomo nella sua turpe ignoranza s’è fatto invece fruitore della nera figura che l’inquieta.

Gesù disse: il diavolo è mentitore come suo padre. Ma se l’eterno immondo è eterno, fu generato dal Padre Eterno: Costui suo padre? Mentitore? L’UOMO È IL MENTITORE PADRE DI SATANA. La sua mostruosa figura distende le sue immonde ali di pipistrello tra la terra ed il cielo a negare all’uomo che la vomitò gli spazi celesti e ad annullargli la speranza del confidarsi alle promesse del sole ed alla serena tranquillità delle stelle. Ed è così che nella paura del mostro l’uomo lo genera ubbidendo all’aborto promosso che gli conclama il vincolo da lui imposto al Sommo Padre che incatenato glielo concede, per assurda contraddizione, alla Sua potenza. Ecco che l’uomo nella paura di aprire scivolosi canali che lo precipitino nella palude ove affogano le abbiette aberrazioni di lui, si introduce volontariamente nella tenebrosa cripta del dubbio ove langue immoto tra i brandelli appiccicosi dell’orgia patibolare della sua ragione. Cosa dunque fare?

Sempre vi lasciai con speranza. Ordunque strappate nei vostri cuori al re dell’inferno la corona di terrore di cui l’uomo gli cinse il capo e piegandoglielo fino al piede della croce salvando e non aizzando i fratelli stretti nel morso delle spire del mostro. Guardate in faccia dubbio e paura e gridate: sempre e ovunque qual ben misera figura fai mio vecchio Satana: la tua scienza, la stregoneria, è una beffa; le tue parole, i tuoi formulari, un insulto alla più povera delle menti. La tua sola scusante è di non esistere; ma ove nelle menti ottuse dall’umano timore governi, mostri sempre i segni della tua essenza: il nulla, l’impotenza; il ridicolo, l’imbecillità e l’invidia. Così ancora gridiamo: le tenebre non esistono, solo la Luce esiste.

Tu immondo parto dell’umano sconoscere: l’intenso grottesco che sprigioni offende financo i tuoi avversari gettando dileggio su chi ti dichiara, vuoi per maledirti, vuoi per adorarti, vuoi per temerti, vuoi per servirti. Infine, gridiamo dalla terra verso gli abissi del nostro cuore e rivolti alle altezze del Cielo: nei tuoi regni Satana entriamo a testa alta; neppure odiandoti, ché semmai esistessi più di ogni altro ti sarebbe necessità della Luce del Santo Legno. Proclamare l’inanità delle tenebre è certificare la gloria eterna della Luce. E ciò per la bontà di Dio che vive e regna nei secoli dei secoli.

L.A.S.

Non vi sarebbe molto da aggiungere a ciò che è stato espresso in modo così incisivo, tuttavia, cercheremo di ampliare quanto finora affermato per sciogliere dubbi e soddisfare quesiti che di certo sorgono spontanei in chi ha letto fin qui.Si è detto che “è l’uomo il mentitore padre di satana”. Vediamo meglio che cosa si voglia intendere con ciò.

Premesso che Dio è Uno e indivisibile. Nell’impossibilità di dividersi (se ciò accadesse Dio replicherebbe all’infinito Se Stesso, rimanendo in definitiva sempre Uno), Dio ha donato alla sua creatura (ossia a Se Stesso) la possibilità non di separarsi (cosa impossibile per l’Unità che degraderebbe frammentandosi) bensì di “distinguersi” da Lui. Per fare ciò si è servito di forze egoiche, che altre dottrine hanno chiamato luciferiche o arimaniche. Alle piccole individualità che ne sono scaturite ha donato – sin dal gradino più basso della scala dell’Essere – la capacità di disporre della “Conoscenza/Coscienza” della realtà materiale. L’evoluzione di tale parto, una volta giunta al livello umano, è stata in grado di conferire all’uomo l’autocoscienza, quella capacità, cioè, di percepire il “sé” (piccolo), ovvero se stessi come entità autonome e separate (apparentemente separate) tra loro e separate da Dio Padre Creatore. Il dono dell’ego, in fusione con l’autocoscienza, ha consentito a ciascuna creatura di distinguersi dal Creatore, di svincolarsi, in una certa fase evolutiva, dall’istinto animale che ne guidava il comportamento e di pervenire alla libertà, libertà di procedere nel cammino della coscienza, ma anche di rinunciarvi (dunque il c.d. libero arbitrio). Ecco in breve il significato del racconto biblico nel quale è esplicitato, in modo simbolico quanto elementare, il momento di passaggio dalla condizione di animalità di Adamo a quella di uomo; il transito dalla coscienza all’autocoscienza, da creatura guidata dagli istinti a creatura autocosciente “libera” di fare le proprie scelte! In altre parole, dalla scimmia evoluta all’uomo autocosciente con conseguente perdita del… “Paradiso terrestre”! Ma tale condizione di libertà conferita all’uomo richiede un processo che noi definiamo “divenire”; il progredire della coscienza necessita infatti dell’impermanenza; il dono di Libertà d’essere che l’Uno fa a noi – e dunque a Se Stesso essendo noi parte di Lui – è proprio quello del divenire senza determinismo teleologico (ossia senza finalità non dovendosi da Dio raggiunger nulla – stante la Sua perfezione – che non sia già).

Tutto ciò comporta un problema non semplice: la lotta dell’uomo contro le sue residuali scorie di animalità e di individualità che le potenti forze egoiche hanno impresso in lui; forze che non vanno intese come nemiche, bensì come autentico dono di Dio mediante il quale l’uomo possa distinguersi dal Padre suo creatore: dunque dono immenso, preziosissimo. Poiché dette forze devono esaurire il loro influsso sull’uomo, egli ha necessità di liberarsene vincendole per ricercare il ritorno autocosciente verso l’Unità; in caso di scelta contraria l’uomo finirebbe col soccombere soffocato dal loro influsso, si reimmergerebbe nell’animalità lasciando così estinguere la propria autocoscienza fino a giungere alla c.d. morte secunda (ossia la morte della Coscienza, il distacco definitivo dal Sé divino).

Le tentazioni che il diavolo porrebbe in atto nei confronti dell’uomo in realtà non esistono così come non esiste il diavolo stesso. Le tentazioni sono esclusivamente il parto del nostro “ego” perennemente in caccia di soddisfazione e di appagamento delle brame. Cupidigia o brama, ed il suo contrario l’avversione, o rabbia o odio, ed infine l’ignoranza o confusione, sono i tre veleni dell’uomo che il Buddha ci incita a combattere. Dice il saggio illuminato che essi sono in noi, non ci dice che esiste un diavolo che ce li inocula. Del resto, la religione cristiana, accettando il diavolo e le sue tentazioni, invece di creare un freno alle malefatte dell’uomo gli offre un alibi cosicché l’uomo possa affermare: “Mi sono comportato male perché è stato il diavolo a tentarmi ed io nella mia fragilità umana ho ceduto e ho peccato!”. In qualche modo la logica conseguenza è quella di trovare nel diavolo una giustificazione alle nostre manchevolezze, ai nostri torti che invece sono esclusivamente NOSTRI!

Anche Cristo, si dice, subì le tentazioni del demonio. Falso! Falso, perché anche Gesù, come uomo, seppur nella sua umana nobiltà, aveva nel sangue stille delle forze arimaniche. Anche lui come uomo sentiva naturalmente nel suo ego il grido: IO ho potere sulle folle, posso governare il mondo; oppure IO ho fame, ma IO ho il potere di trasformare le pietre in pane perché IO sono Dio; ma poi egli si chiese: sono davvero Dio? Così anche il dubbio umano lo assalì e pensò: se sono veramente Dio potrei lanciarmi dal pinnacolo del tempio e nulla mi accadrebbe, stuoli di angeli mi soccorrerebbero acché non urti a terra neanche il piede. Così ebbe ad interrogarsi l’uomo Gesù; la sua fede rispose, il suo Sé rispose, ed egli respinse quelle tentazioni che non da satana, ma dalla sua stessa natura di uomo gli giungevano e… vinse così il mondo!

Così ritengo vada interpretato il passo evangelico delle “tentazioni”. Gesù ha infatti vinto i sensi (lo spirito ha sopraffatto il corpo) nel non cedere ad essi: la prima vittoria sulla materia umana; ha vinto la subdola tentazione dell’ambizione di governare il mondo: la seconda vittoria sull’orgoglio; ha infine vinto il dubbio; la terza vittoria della fede, la virtù del cuore traboccante d’amore.

Si noti come gli evangelisti (Mt.4-1,11; Mc.1-12,14; Lc.4-1,12) pongano nello svolgimento cronologico del racconto le tentazioni di Gesù in momento ben determinato: prima delle predicazioni e delle opere, ma anche e soprattutto sùbito dopo il suo battesimo nel fiume Giordano ad opera di Giovanni battista; ciò poiché il racconto evangelico attiene ad una fase ancora preparatoria e non pubblica di Gesù. Essa viene tuttavia riferita dagli evangelisti poiché rappresenta un momento estremamente delicato ed importante della vita del Cristo.

Col battesimo si concretizza in modo totale e definitivo l’unione tra il sé umano di Gesù col suo Sé grande, divino; di tale fusione Gesù prende consapevolezza ed ha per conseguenza un umanissimo moto d’orgoglio giungere dal suo ego, ma anche, come si è detto, il conseguente travaglio ed il dubbio: possibile? Sono veramente il figlio di Dio? Dunque, per concludere, le tentazioni di Gesù riferite nei vangeli hanno valore simbolico, allegorico, non costituiscono la riprova dell’esistenza di satana poi sconfitto, bensì la vera autentica natura umana di Colui che, vincendo se stesso, come uomo, ha vinto la morte. Mostrando Egli in tal modo a noi tutti la via per poter giungere alla medesima vittoria. Nei vangeli il racconto delle tentazioni di satana nei confronti Gesù ci illustra – in chiave simbolica, infantile quasi, per meglio essere compreso – il travaglio di Gesù nel deserto. Quel travaglio che ebbe per comprendere meglio la sua natura e la sua missione, non certo per combattere contro un personaggio da fumetto. Si disse anche che Gesù scacciò i demoni dal corpo di uomini posseduti.

Al tempo di Gesù per indicare che qualcuno era fuori di senno o si comportava in modo strano, non normale, si diceva: “Tu sembri ubriaco di vino dolce”, oppure: “Costui è preda di un demonio”. Questa era la credenza e anche il modo di dire. Disturbi psichici, sconosciuti come vere e proprie malattie, venivano pertanto qualificati come possessioni diaboliche. Gli interventi di Gesù su coloro che presentavano tali turbe mentali venivano considerati veri e propri esorcismi che liberavano i malcapitati dalla possessione diabolica. Egli operava sui piani fisici e psichici, ma anche sottili, e guariva. Così come guarì storpi, ciechi, malati, lebbrosi, guarì anche coloro che erano afflitti da malattie psichiche o da epilessia, malati che la gente ignorante del tempo riteneva fossero posseduti da demoni. Ma ciò che stupisce è che ancora oggi, sebbene la scienza medica ben conosca queste malattie, siano in molti, troppi, coloro che affermano che tali soggetti malati nella mente sono preda di demoni.

Molto più rari e misteriosi i fenomeni riconducibili al mondo del soprasensibile, peraltro difficilmente distinguibili, nella sintomatologia, dai precedenti. Senza per questo ammettere l’esistenza, inaccettabile, di una divinità maligna, pure accade, in circostanze del tutto singolari, la possibile influenza nei confronti di taluni individui da parte di entità di basso grado evolutivo; entità ignoranti e menzognere rese irrequiete da brame terrene ancora non sopite e che non possono soddisfare. Tale condizione le spinge, infelici, verso luoghi e persone incarnate ad esse più vicine per affinità morale ponendo in essere una “vicinanza” pericolosa che può sfociare in una sorta di identificazione psichica. Tali fenomeni sono ampiamente descritti da Allan Kardec, noto studioso e cultore di scienze spiritiche, nel suo libro intitolato “La possessione – i mezzi per combatterla secondo lo spiritismo -” nel quale l’autore riconduce tali fenomeni in tre grandi categorie: fenomeni di possessione, di soggiogazione e di fascinazione.

In questo campo appare sicuramente apprezzabile l’atteggiamento prudente assunto dalla Chiesa sia nell’interpretare che nel qualificare il fenomeno per il quale a volte fa ricorso al rito dell’esorcismo.

I fatti in questione inducevano spesso Gesù ad operare, ed il Suo intervento era “diversificato” a seconda dell’origine del “male” da cui era afflitto l’individuo, per la guarigione del quale talvolta necessitava l’apporto della fede del malato.

Tutto ciò diveniva poi materia di insegnamento per i discepoli ai quali il Maestro spiegava in disparte, e solo a loro, dal momento che non tutti sarebbero stati in grado di “comprendere” pienamente.

MC.4-33.34 :

“Con molte parabole di questo genere annunciava loro la Parola, secondo che erano capaci di intenderla, e senza parabole non parlava loro; ma ai Suoi discepoli in privato poi spiegava ogni cosa”.MC.7-14,23: “Quindi chiamata a sé di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti ed intendete! Non c’è nulla di esterno all’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo. Piuttosto sono le cose che escono dall’uomo quelle che contaminano l’uomo. Chi ha orecchi da intendere, intenda!” Quando poi fu entrato in casa, lontano dalla folla, i Suoi discepoli Lo interrogarono intorno a tale parabola. Egli disse loro: “Anche voi siete ancora privi di intelligenza? Non capite che tutto ciò che di esterno entra nell’uomo non può contaminarlo, giacché non entra nel suo cuore bensì nel ventre per finire poi nella fogna?” Così dichiarava puri tutti gli alimenti. Però diceva pure: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dall’interno, cioè dal cuore degli uomini, procedono i cattivi pensieri, le cupidigie, le malvagità, l’inganno, la lascivia, l’invidia, la bestemmia, la superbia e la stoltezza. Tutte queste cose malvagie procedono dall’interno e contaminano l’uomo.”.

“L’uomo è il mentitore padre di Satana!”

In definitiva, alla luce di quanto trattato fin qui, possiamo ribadire con forza ancora una volta l’inesistenza di satana, ed anzi che affermarne la realtà alimenta e rafforza la superstizione frutto dell’ignoranza che ha generato e dato vita a tale losca figura.

Note

  • 8 : C.d. “logica dell’Assoluto” quale mezzo appercettivo di conoscenza di cui si tratta in altro argomento del libro.
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