App. “A”

Speculazioni sulla inconoscibilità di Dio :

La teoria apofatica di Dionigi l’Areopagita.

 

Inconoscibilità di Dio da parte dell’uomo ((1. Anche per i mussulmani Allah è inconoscibile.))

 Di Dio non possiamo dare una descrizione poiché Egli è “INDEFINIBILE” “INEFFABILE”; non è cioè circoscrivibile in un modello o schema, né in un’espressione matematica, né in un concetto o idea dell’uomo, quale che sia, poiché essa risulterebbe comunque e sempre inadeguata, essendo Dio sempre di più e diverso da essa. Quand’anche Gli attribuissimo un elenco interminabile di aggettivi tutti al superlativo assoluto (adottando in tal modo il cosiddetto metodo aristotelico catafatico o affermativo), non perverremmo ad alcuna conoscenza della sostanza o essenza di Dio per l’inadeguatezza delle attribuzioni. Per ogni aggettivo dovremmo al contrario negare l’attribuibilità a Dio proprio perché insufficiente ed inappropriato.

Giungeremmo così ad adottare il metodo apofatico di Dionigi l’Areopagita secondo cui non è per noi possibile comprendere l’Essenza divina. Dio è inarrivabile concettualmente e filosoficamente. Egli rimane nella Sua “Tenebra Divina” ossia “Luce inaccessibile” all’uomo. Gli strumenti di cui disponiamo (mente, cervello, raziocinio, pensiero) sono inadeguati ed incapaci di comprendere prima e di definire poi. La verità è che non sono “strumenti” idonei. E allora? Dunque solo eliminando le concettualizzazioni – e addirittura lo strumento mente che le costruisce – possiamo avvicinarci a Lui. Ciò sarà solo attraverso il vuoto ed il silenzio interiori.

Solo chi supera ogni forma di conoscenza può unirsi al principio del Tutto, ossia all’Uno inconoscibile: costui, proprio perché non conosce più nulla, conosce al di sopra dell’intelligenza. Quindi nella totale assenza di parole e di pensieri si realizza l’henosis (unione) della mente con Dio. Ciò può avvenire mediante l’estasi, vale a dire uscendo da se stessi ed appartenendo totalmente a Dio((2. Va detto che la nostra individualità, attualmente concretizzantesi nella persona di ognuno, è la risultante di un dono offertoci da Dio : quello cioè di poter essere autonomi da Lui ossia separati (o apparentemente tali) per poter sperimentare l’Ego o coscienza individuale; nel dono è infatti insita la libertà, una libertà che ci permette perfino di negare Dio Stesso. Questo ci dice, a ben leggere, la parabola del figliol prodigo. Ma nella parabola è raccontato anche il patire del figlio ed il suo ritorno alla casa paterna. In essa parabola è sintetizzato il destino dell’uomo che tornerà a fondersi con il Padre Santo mantenendo però anche la sua coscienza individuale così da poter essere ad un tempo figlio e Padre, goccia d’acqua ed Oceano ad un tempo.)).

Come dice l’entità in una comunicazione: “continuando sulla via delle affermazioni negative, alla fine Iddio si traduce in un nulla concettuale, ma all’un tempo si trasforma da nulla concettuale, attraverso il silenzio del nulla, in luce vivida non comprensibile al filosofo, ma all’iniziato che è divenuto siffattamente “illuminato”.

Seguendo la teologia apofatica (negativa) di Dionigi l’Areopagita, ci rendiamo conto che all’uomo non risulta possibile comprendere l’Essenza divina attraverso un processo mentale, logico-razionale.

Per Dionigi, l’impresa necessita dell’attraversamento di tre stadi:

la purificazione (riconoscere i propri peccati, quindi perdonarsi);

l’illuminazione (mediante il raggiungimento del vuoto assoluto privo del sacro – cioè di Quadosh – come suggeriva Bodidharma all’imperatore Wu di Nanchino -);

la consumazione. I primi due di natura intellettuale, il terzo invece è l’estasi in cui, al di là del senso e della ragione, l’uomo entra nell’oscurità mistica (αγνοσία), che è la deificazione.

Si aggiungano le seguenti  riflessioni:

1)     Separatezza del Divino (Quadosh) dall’umano; che non è in Realtà, ma che risponde alla esigenza di lasciare intangibile la LIBERTA’(potremmo anche richiamare il concetto di Dio Immanente e Dio Trascendente di Pietro Ubaldi). Quindi dono amorevole di Libertà da parte del Padre, il quale potrebbe d’un balzo portarci a Lui ma non lo fa per non imporsi a noi. Peraltro, se nella condizione umana della materialità Lo conoscessimo non potremmo non sceglierLo e dunque non saremmo più liberi. Dio, in certo qual modo, si nasconde a noi nella Sua Tenebra Luminosa (tenebra poiché a noi invisibile, inconoscibile).

2)     Caduta. La creatura, al termine della “caduta” o “discesa”, non Lo vede più. Sarà così libero di scegliere o meno la riunificazione, il “ritorno” alla Casa del Padre o la permanenza nella “egoità” soggettivizzante, separata (o apparentemente tale). Di qui la realtà dinamica che opera in questo mondo, ossia il contrasto, o lotta, tra le due nature dell’uomo: l’Essenza/Tutto e l’egoica/individuale (cavallo bianco e cavallo nero di Platone).

3)     Inadeguatezza del contenitore. Come ci fu detto, sono 4 gli ingredienti del processo iniziatico : “Fonte” , “Contenitore”, “Spazio/Tempo” e “Segretezza”. Qui dobbiamo riconoscere che la nostra mente è microrecipiendario all’accoglimento del Vero. Essa non è in grado di immaginare Dio essendo Egli inconcepibile – come abbiamo visto – indefinibile, ineffabile, ben oltre la percettibilità dell’umano pensiero. Pur tuttavia possiamo sentirLo; abbiamo la possibilità/capacità di avvertirLo comunque (Dio Trascendente), o forse di intuirLo. E’ sconosciuta la via misteriosa attraverso cui ciò avviene((3. Possiamo solo rifarci al “noumeno” kantiano che ci porta l’idea della Divinità, null’altro.)). Di certo la nostra struttura fisica ci incarcera e ci rende incapaci di percepirLo attraverso i nostri sensi fisici; ciononostante vi sono dei segnali, indizi, tracce di Lui che taluno è in grado di cogliere.

L’artista, ad esempio, essendo dotato di una peculiare sensibilità (il senso ispirativo), percepisce e comunica poi ciò che ha avvertito attraverso le proprie creazioni. Coglie cioè la vibrazione Media e la traduce in vibrazione minima – che è poi quella della materia – percepibile da chiunque; (basti pensare al compositore di musica o al il pittore).

E’ stato detto: “La massima espressione del bello si trova nelle idee iperuraniche: perciò l’arte non deve più essere mimesis del reale, come la definì Aristotele, ma specchio dell’ideale”.

Potremmo però affermare che due sono sostanzialmente  le modalità attraverso le quali l’artista ci parla di mondi superiori e dunque di Dio: quella del grande musicista che, pescando dal mondo iperuranio, traduce in armonia acustico/fisica la vibrazione che avverte (si pensi a Mozart); quella del grande scultore che, attraverso la  mimesis del reale, imprime nella creazione materica il sentimento, l’emozione o comunque un moto dell’anima, sublimando la materia (si pensi alla “Pietà” di Michelangelo). La prima forma artistica raccoglie dall’Alto le armonie del piano sottile per trasferirle in basso in vibrazioni musicali atte ad essere percepite da qualunque ascoltatore; la seconda, viceversa, dal basso conduce verso l’Alto: la materia informe viene trasformata in modo tale da trasmettere sentimenti, emozioni in chi osserva. Per entrambe, in definitiva, non può che parlarsi di “vibrazione”.

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