Il Sentiero del Padre

Il sentiero che porta ai mondi superiori

Capitolo XVI

Sul tempo

Per gli antichi egizi il mondo è governato dalla ciclicità del tempo. Essi, diversamente da noi, non concepivano il tempo lineare che, al contrario, apparteneva alla cultura dell’antica Grecia ereditata dal mondo occidentale. Il tempo lineare, per la nostra cultura, è una fuga in avanti, una corsa originatasi in un oscuro passato di cui si hanno poche tracce (big bang?) che si perde nell’incertezza del futuro: il tempo che divora se stesso; una concezione umana ben rappresentata dal mito greco di Kronos che divora ingordo la sua tenera prole.

Dunque, tempo inteso da noi in senso esclusivamente lineare forse a torto?

Gli antichi egizi avevano intuito la sua struttura circolare o ciclica; e gli esempi non mancano di certo: giorno/notte; veglia/sonno; il ripetersi delle stagioni dell’anno e delle inondazioni del Nilo; perfino il respiro (inspirazione ed espirazione); anche la nostra vita percorre (pensateci) tappe cicliche. Anche i cicli vita/morte potrebbero appartenere a tale modo di intendere il tempo ove si accetti l’ipotesi della reincarnazione.

Anche su questo tema le Guide ci hanno donato parole illuminanti:

“Detta questione è basilare per comprendere prima e sapere di avere compreso poi il significato stesso della realtà che vivete. Esso – il tempo – è composto mentalmente da miriadi di secondi per tutta l’eternità; eppure, esso è a misura d’uomo misuratore della vita dell’uomo. E senza l’uomo, esso non avrà più significato di esistere. Poiché in effetti non esiste quale entità autonoma in sé.
Eppure, il tempo è insito in noi – non più in Noi – e senza di esso non percepiremmo alcunché, cristallizzati in un unico presente senza significato veruno.
Allora è necessario comprendere il significato del tempo, poiché – come dovremmo sapere – il tempo prende significato se gli si conferisce un significato. L’eternità è un tempo che rappresenta il divino poiché ad esso l’uomo dà il significato di negazione della morte e dunque della fine di ogni cosa. Il tempo di una vita umana ha significato poiché ad esso si conferisce il significato delle azioni che in quella vita si vogliono compiere, poi si compiono, infine sono compiute.”

Possiamo raffigurare il tempo – inteso nella sua accezione ordinaria lineare – come lo scorrere di un corso d’acqua al cui interno tutto fluisce in un divenire continuo.

Il nostro tempo è dunque il tempo della vita, quello del fluire lineare delle cose. Ma esso è altresì da intendere sotto un profilo soggettivo.

In una lontana comunicazione la nostra Guida ci parlò dell’età pietrina, di quella paolina e di quella giovannea.

“Nell’età pietrina che vuol rappresentare il Padre era la legge sull’astrale che rifletteva sull’ “io sono” non ancora “Io Sono”. Nell’età paulina la fede realizza l’ “Io Sono” e diviene principio del trasmuto. Nell’età giovannea il trasmuto è completo e l’ ”Io Sono” governa in unità sincosmica con gli altri “Io Sono”.
I figli della Casa sono giovannei come il loro rappresentato da Spirito Santo; i paulini dal Figlio.”

Evidentemente qui si parla di età, di tempi soggettivamente intesi. Chi è nell’età pietrina non è ancora in grado di comprendere autonomamente quale sia la strada da seguire per tornare al Regno. Il percorso evolutivo gli viene indicato dall’esterno, dalla Legge che, attraverso il karma, opererà il riequilibrio dell’ordine turbato dalle scelte, libere ma sovente erronee, del piccolo sé umano.

Le Verità iniziatiche, i Misteri del Regno possono essere compresi solo se si è raggiunto un certo grado di evoluzione spirituale, solo se si è nel tempo. In tale ottica il tempo assume, per l’uomo, un valore analogo a quello che riveste il dolore. L’uno e l’altro hanno significato nella misura in cui valgono a determinare il cammino del Sé, il progresso della coscienza, l’evoluzione dello Spirito. Quel tempo così speso è tempo che ha “significato”. A che varrebbe infatti se la coscienza rimanesse addormentata nonostante esso?

Ma, dalle considerazioni rilevate dal libro “Grande Sintesi” di P. Ubaldi, possiamo comprendere alcuni aspetti del tempo ed i suoi significati che chiariranno, mi auguro, anche quanto detto in precedenza:

Ubaldi sostiene che le dimensioni – tutte – sono costituite da unità trifasiche. Cioè, ciascuna di esse è costituita da tre momenti; superare la terza fase significa penetrare nella dimensione successiva, contigua alla precedente.

Cominciamo con la dimensione spaziale. Dal “punto” geometrico, che potremmo definire “dimensione zero”, ha origine la “linea” come prima espressione spaziale; quindi, il “piano” come seconda espressione; terza ed ultima il “volume”. La materia si manifesta in uno spazio a tre dimensioni progressivamente in tre fasi successive. Sarebbe peraltro assurdo ricercare una continuazione quadridimensionale in un sistema a tre. Quale la dimensione successiva e contigua allo spazio? La dimensione tempo. Vediamo come esso si sviluppa in una nuova entità dimensionale trifasica. Ogni fenomeno nel suo spostarsi nel tempo acquista una sua, potremmo definirla, “coscienza lineare” (prima fase con linearità del tempo). Detto fenomeno comporta solo il progredire dell’energia nel tempo, ma non è ancora in grado di essere vita e coscienza; non si espande oltre la linea del suo divenire. Nella 2° dimensione concettuale (corrispondente nella dimensione spaziale alla superficie) abbiamo la coscienza (subumana ed umana); terza dimensione concettuale (corrispondente al volume) è la super coscienza.

Esaminiamo con le parole di Ubaldi la dimensione concettuale propria dell’uomo corrispondente alla 2° dimensione temporale, dopo la quale esamineremo la 3°:

  • “La coscienza umana non è lineare, cioè, limitata a se stessa o ad un fenomeno, ma può uscire e muoversi su tutte le linee della superficie, in ogni direzione, abbracciando, come coscienza, moltissimi fenomeni e ciò finché non evolverà. Ciò significa che essa è legata al relativo, non può che muoversi nel finito, non sa concepire che per analisi, cioè attraverso l’osservazione e l’esperimento.”
  • “Per raggiungere il volume è necessario che la superficie si muova in una nuova direzione, per raggiungere la super coscienza è necessario moltiplicare la coscienza per un nuovo movimento. È così che solo per moltiplicazione di analisi voi potete approssimarvi alla sintesi. La super coscienza è dimensione concettuale volumetrica, che si ottiene elevando la perpendicolare sul piano della superficie della coscienza, conquistando così un punto di vista fuori del piano, l’unico punto che può dominarlo tutto. È così che la super coscienza sola supera i limiti del vostro concepibile, domina il relativo nella visione diretta dell’assoluto, domina il finito movendosi nell’infinito, non concepisce più per analisi ma per sintesi.”

“Dunque, non più lento ed imperfetto meccanismo della ragione, ma intuizione rapida e profonda, Non più proiezione della coscienza verso l’esterno attraverso mezzi sensori che non toccano che la superficie delle cose, ma espansione in tutt’alta direzione, verso l’interno, percezione animica diretta, contatto immediato con l’essenza delle cose.”

Ancora vorrei richiamare i gradi della Iniziazione Cristica:

La “Paraskene” o “Preparazione” culminante nel “Discorso della Montagna”; la “Katarsis” ravvisabile nelle “Guarigioni Miracolose”; la “Teleiosis” o “Illuminazione” che può ravvisarsi nella resurrezione di Lazzaro; la “Epiphaneia” o “Visione dall’Alto.

Dunque visione dall’alto che concettualmente ben si sposa con quanto asserito da Ubaldi quando parla – in relazione alla terza dimensione del tempo – di uscita dalla superficie temporale (come 2° dimensione rapportata allo spazio) per sollevarsi al di sopra (come 3° dimensione rapportata allo spazio) ed ottenere una visione d’insieme immediata e globale di detta superficie con capacità financo precognitiva dal momento che guardando dall’alto la linea o il piano temporale posso scorgerne il punto di partenza ed intuire quello di arrivo: ossia il futuro.

Se diamo per corretta la tesi fin qui sostenuta, forse abbiamo anche trovato la chiave del pensiero piuttosto oscuro dell’Entità quando dice che: “L’insieme dei tre (corpo materiale o ordinario, corpo Sottile e corpo Causale. n.d.a.) costituisce il significato da dare al tempo; ma esso significato non ha valore se non “ricambia” di significato i tre (scoprire il “significato” di questo pensiero è – ad esempio – un compito propedeutico all’iniziazione)”. Infatti, il cammino iniziatico (che altro poi non è che il cammino atto al raggiungimento della condizione superumana) non potrebbe prescindere dall’acquisizione di tali concetti espressamente riferibili alla nozione del tempo. Ciò spiega, anche sotto il profilo squisitamente razionale, il motivo per il quale noi in questo stadio evolutivo ci troviamo immersi in una realtà che comunemente indichiamo come esperienza della materialità – senza però pienamente comprendere il senso della definizione – la quale è per l’appunto caratterizzata dall’essere noi immersi nelle dimensioni spazio-temporali che tuttavia, rammentiamo, non possiedono una autonoma realtà, ma quella che l’uomo è capace di rappresentarsi in relazione al suo punto di vista e alla sua fallace capacità cognitiva deformata, come sappiamo, dalle categorie che il genio di Kant, volle analiticamente individuare prima ed indicarci poi. Anche sul piano della scienza attuale il tempo è dimensione che si aggiunge alle consuete tre attinenti al solo spazio: il cd. spazio/tempo. Il tempo infatti prenderebbe realtà, ossia nasce, all’apparire della materia, in altre parole esso si generò nell’istante stesso in cui si produsse ciò che chiamarono “Big Bang”.

Questo secondo la scienza, ma la visione iniziatica deve guardare oltre. Procediamo.

Quando si parla di “scorrere delle cose” si intende che sono proprio le cose che scorrono, e con esse l’uomo che ne fa parte essenziale, ossia che fluiscono in ciò che noi convenzionalmente chiamiamo tempo il quale, di per sé, non ha alcuna consistenza. Il fluire delle cose è funzionale alla Conoscenza/Coscienza della Natura che dal non-Essere vuole pervenire all’Essere, attiene cioè a quel misterioso e meraviglioso processo evolutivo che permette il passaggio dalla non-coscienza alla coscienza, dalla coscienza all’autocoscienza e dalla autocoscienza alla super coscienza.

Dunque, il tempo – inteso nella sua accezione ordinaria – possiamo immaginarlo al pari dello scorrere di un corso d’acqua, come si è già detto, nel quale tutto fluisce e cammina, tuttavia, ritengo che esso sia soprattutto da intendere come dimensione concettuale che attiene al grado evolutivo dell’individuo. Ecco spiegata la ragione per la quale spesso l’Entità ci dice che comprendiamo o meno taluni concetti se siamo o non nel tempo, che tradotto significa se siamo o meno pervenuti ad un certo livello di coscienza.

In quest’ottica, quante vite, ohimè, scorrono affaccendate in occupazioni sostanzialmente oziose, inidonee al percorso di evoluzione spirituale che dovrebbe guidare noi tutti!

Il “tempo” così speso si consuma inutilmente, senza valore e senza significato.[49]

Solo in tal modo, per esempio, potremo comprendere l’incipit del vangelo di Giovanni che recita “In principio era il Verbo”, ma non intende riferirsi al tempo cronologico bensì alla evoluzione della Conoscenza/Coscienza come ci fu un tempo insegnato:

“In principio era il Verbo … e così via dicendo. Ma fu davvero così? O invero era, è e sarà tutto unitamente Uno? Naturalmente è la seconda ipotesi quella vera; non la prima. Ma allora che senso dobbiamo attribuire a quella frase “in principio” e così via dicendo? Se, come è stato illustrato, il senso del tempo altro non è che significazione della coscienza e della conoscenza non potremo che concludere dicendo: In principio della conoscenza, e dunque non in principio della realtà. Ecco il punto di fuoco della questione della conoscenza. Della contezza di ciò. Del sapere che è -. Non del vero essere di ciò.”

Concetto ben difficile per noi che siamo da sempre avvezzi a guardare il mondo racchiuso tra le due parentesi del prima e del dopo; difficile per noi che siamo regolati dal principio di causalità e pensiamo di procedere secondo un iter lineare. Dobbiamo comprendere invece che la Realtà (non per come la percepiamo, ma per come è) non ha un inizio né una fine, sebbene in essa si svolga quel processo che chiamiamo “divenire” e che noi definiamo tempo. Tale processo, tuttavia, non altera la Realtà che rimane immutata nella sua perfezione e che permane perfetta proprio perché in essa è contenuto anche il tempo. In altre parole, Dio non cambia e non è soggetto al divenire, ma lo contiene: Egli è perennemente unitariamente Uno. La mutazione avviene semmai in un continuum eterno, ed in fieri sempre, costituito da quel fluire delle cose e dell’uomo che sono parte costitutiva di Dio in mancanza delle quali Egli non sarebbe la perfetta perfezione del Tutto che è.

In conclusione, il tempo di per sé non esiste, ma esso prende corpo e significazione in funzione dell’uomo. Invece di associarlo all’immagine di un fiume che scorre inarrestabilmente, potremmo al contrario immaginarlo – per esemplificare – come un vaso all’interno del quale l’uomo, ciascun uomo, ripone azioni, pensieri, esperienze e dunque conoscenza e infine coscienza di conoscenza acquisite via via durante lo scorrere della vita; ossia un contenitore all’interno del quale riporre anche, e soprattutto, le esperienze che facevano parte del programma del grande Sé prima dell’incarnazione e che il piccolo sé incarnato ha realizzato in toto o in parte.

In definitiva potremmo affermare che quello che noi convenzionalmente definiamo “tempo”, altro non sia che il processo graduale di amplificazione della nostra coscienza: un processo che coinvolge oltre l’uomo la natura tutta. Il passaggio dalla coscienza flebile del minerale via via in un crescendo perenne fino all’autocoscienza dell’uomo ed ancor più per giungere alla coscienza angelicata, o super coscienza, concepibile solo attraverso uno sforzo di fede. Il come questo processo/progresso di amplificazione si realizzi, costituisce altro mistero che attiene al pilastro della esistenza dell’umanità tutta.

Quando facciamo riferimento all’Alfa e all’Omega intese come principio e fine, dobbiamo semplicemente immaginare che esse racchiudono tutte le lettere intermedie e dunque racchiudono la totalità di ciò che convenzionalmente chiamiamo tempo. In effetti dobbiamo considerare esse come delle tacche, tacche di una scala graduata di un contenitore, quel recipiente di cui si diceva, il quale è capace di riempirsi di Conoscenza/Coscienza acquisibili attraverso l’esperienza della materialità, ossia della vita: e questo, ritengo, sia universalmente valido non solo per l’uomo, ma per tutto l’esistente, nel senso che tutto possiede una coscienza più o meno ampia, più o meno ottusa.[50]

Se ci riferiamo all’Alfa ed Omega anzidetti, noi potremmo d’un balzo riempire di Coscienza quel simbolico contenitore e dunque coprire in un semplice istante il “tempo” necessario per giungere all’Omega, ma ohimè, potremmo altresì stazionare in una certa condizione di coscienza per “lungo tempo” o anche non coprire mai quella distanza. Ciò vale anche e soprattutto per quel che attiene alla reincarnazione dell’uomo. Così se il fluire di una vita non è stata da noi sufficientemente sfruttata per acquisire esperienza/coscienza adeguate, avremo necessità di proseguire tale processo in una seconda e forse una terza vita nella materia, ma stiamo ben attenti che non sarà il tempo di tre vite a trascorrere, bensì il “Quantum” di conoscenza/Coscienza che saremo riusciti ad acquisire!

Quando Gesù ci promette che sarà con noi fino alla fine dei tempi, non ci parla del tempo cronologico che investe tutti noi uniformemente, ma la fine del tempo (quindi l’obbiettivo coscienza) di ciascun uomo; la fine del tempo che sarà l’Omega da raggiungere chi più velocemente, chi più faticosamente e lentamente, fino al traguardo finale della “Prima Resurrezione” di cui ci parla Giovanni nell’Apocalisse, come vedremo in seguito.

Ecco dunque svelato il mistero del tempo! Ecco infine raggiunta una tappa iniziatica che, solo se compresa, ci avvicina un poco di più all’Omega.

Note

  • 49 : Del pari il dolore: esso ha significato nella misura in cui mi avverte dell’errore, mi fa da spia di cammino erroneo rispetto all’obbiettivo che il Sé si era prefissato; oppure sveglia la coscienza dormiente e mi spinge a volgermi allo spirito. Ignorare il dolore o non sforzarsi di comprenderlo equivale a soffrire in modo sterile ed improduttivo.
  • 50 : In ogni cosa Dio ripete Se Stesso secondo la formula del tre: Idea, Forma attuata, Conoscenza-Coscienza delle prime due.
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