Prima lapide

LA SPERANZA

OMNIUM SPES PRIMUM MOVENS.

QUI SINE SPE CONTRA SPEM.

QUI CONTRA SPEM CONTRA SE.

QUI CONTRA SE CONTRA DEUM.

SED QUI CONTRA DEUM

AD SE VORSUS IRE INCIPIT

ET QUI HOC FACIT

AD DEUM VORSUS IRE INCIPIT.

ERGO QUI CONTRA DEUM

AD DEUM VORSUS IRE INCIPIT:

Amèn

Il primum movens di tutti è la Speranza.

Chi è senza Speranza è contro la Speranza.

Chi è contro la Speranza è contro Se Stesso (ovvero contro il Sé)

Chi è contro il Sé è contro Dio.

Ma chi è contro Dio incomincia ad andare verso Se Stesso (ovvero verso il Sé)

E chi fa ciò comincia ad andare verso Dio.

Dunque, chi va contro Dio comincia ad andare verso Dio.

Amen

Viene da pensare in prima battuta che non la speranza, o la fede, siano il primum movens di ognuno di noi, bensì il “desiderio”, come peraltro insegnano anche religioni orientali di antica origine (Buddhismo).

Inoltre, il primum movens omnium va riferito a chi? Ad ogni creatura? Ad ogni uomo? Ad ogni entità disincarnata? O forse ad ogni spirito prima di scendere nel mondo della materia? Ritengo quest’ultima ipotesi quella corretta.

La traccia interpretativa della lapide va ricercata nella cd. favola del Re e del Regno da cui partono i servi/figli di quel Re alla ricerca della propria regalità anzi, alla ricerca della propria consapevolezza di possedere natura regale.

Da ciò può ritenersi che la molla che spinge al viaggio sia proprio la Speranza.

Se è vero che non tutti partono – sebbene tutti desiderino la conquista – ma solamente coloro che sperano di raggiungere l’obbiettivo finale, ecco che essa Speranza diviene il primum movens per tutti.

Ma chi parte e si incarna – ben sappiamo – diviene dimentico del re, del regno e della primigenia coraggiosa scelta e perfino della speranza che la motivò.

Così Giovanni ci descrive nella sua Apocalisse l’inizio dell’avventura.

“Aperto il primo sigillo ecco sopraggiungere un cavallo bianco montato da un cavaliere con un arco; a questi fu data una corona e giunse da vittorioso per vincere ancora”.

È il passaggio iniziale della coscienza. Il primo vagito. La materia animale – che non dobbiamo ritenere perciò priva di spirito – viene vivificata, vinta, dalla coscienza di “Sé”. Il bianco con cui è indicato il colore del cavallo sta a significare la purezza di costoro che, appena nati allo spirito e all’autocoscienza, sono, come le creature della natura, privi di malizia: sono coloro che “ancora” abitano, per così dire, il paradiso terrestre, un paradiso che risiede non nella realtà esteriore, ma nella loro coscienza.

Come si vede lì abbiamo un primo cavallo bianco e qui una prima lapide bianca; l’analogia non è casuale. Potremmo pertanto immaginare lo spirito che, distaccatosi, anzi differenziatosi dal Tutto per mezzo delle forze egoiche (simbolicamente rappresentate nella lapide dalle striature nere), scende nella materia a combattere a cavallo del tempo. (qui il cavallo rappresenta il tempo umano – che però non ha una sua autonoma realtà -, ma anche il tempo della Coscienza.).

Proseguiamo.

Il deserto della vita materiale può togliere all’uomo fiducia, può scoraggiare; il dolore della ricerca, o quello della vita nella carne, può spegnere ogni volontà e, con essa, la speranza stessa.

Coloro nei quali la speranza è spenta, finiranno per negarla primariamente a loro stessi, assumendo nei confronti della vita – e del senso di essa – un atteggiamento scettico e rinunciatario; essi indurranno perfino gli altri a non nutrire speranza; si porranno in posizione antitetica alla speranza e la avverseranno: “Coloro che sono senza speranza sono contro la speranza.

Or dunque un atteggiamento contrario alla Speranza – che mi negai – è per ciò stesso contrario a me medesimo, ma non solo a me medesimo in quanto uomo, anche a Me Medesimo quale Spirito e, del resto, il sé ed il Sé sono in unione inscindibile. In altre parole l’uomo che dispera va anche contro il suo Sé, quel Sé divino che, proprio in forza della speranza, aveva lasciato il Regno ed intrapreso il viaggio.

Chi è contro Sé è contro Dio”. È una conseguenza potremmo dire scontata ove si consideri che il Sé ha natura divina.

Qui giungiamo al paradosso.

Coloro che sono contro il Sé, e dunque contro Dio, nell’avversare Dio lo escludono.

A questo punto non possono far altro che volgersi verso se stessi, cioè credere in se stessi, porre se stessi al posto di Dio e quindi sostituirsi a Lui. Pertanto, sono uomini che cominciano ad andare verso se stessi. Ma il sé umano, come si è detto prima, è inscindibilmente legato al Sé divino, sicché il volgersi verso se stessi fa sí che essi si indirizzino automaticamente verso il Sé divino, ossia Dio!

Il paradosso si completa a questo punto perché non potremo non ammettere che effettivamente “chi è contro Dio incomincia ad andare verso Dio”; in altre parole andare contro Dio e sostituirmi a Lui in sostanza mi porta ad andare verso Dio stesso, cioè proprio verso Colui che avevo escluso o meglio, dovrei dire, che avevo creduto di escludere. Un paradosso che sembra un gioco di parole. Ciò significa altresì che io sono Io, cioè che il mio sé umano è anche il mio Sé divino, ma che essi sono anche Lui, il Re, e dunque, in definitiva, il sé, il Sé, Dio, sono tutti aspetti dell’identica realtà, dell’unico Essere, dell’unico Uno.

Tutto al fin vedrà la luce”.

Tutto, tutti, sono destinati al ritorno, chi prima chi dopo, e qui il prima ed il dopo non hanno necessariamente pregnanza cronologica umana.

Il Sé viaggiatore nel sé, o col sé, potrà percorrere strade opposte eppure entrambe predisposte a farlo giungere alla medesima stazione di arrivo, che non è Dio, non è un ritorno a Dio, Re, Padre o comunque lo si voglia indicare, né un ritorno al Regno o ritorno al Castello da cui ebbe inizio il viaggio. La stazione di arrivo non è luogo, ma stato, condizione dello spirito; la stazione di arrivo è il raggiungimento della consapevolezza completa e compiuta della propria natura divina.

Due le strade dunque: quella della cd. Mano destra e quella della cd. Mano sinistra.

Il piccolo sé potrà mantenere la originaria Speranza durante il suo viaggio umano ovvero abbandonarla; nel primo caso avrà percorso la via del Cielo, ossia (per es.) avrà seguito il Cristo affidandosi appunto alla Speranza nella Sua promessa; nel caso opposto, abbandonata la Speranza, avrà confidato solo in se stesso al pari di una divinità.

Un esempio di uomo che vuole percorrere la via della mano sinistra è Ulisse che, come lo descrive Omero, confida in se stesso e nella sua astuzia, prodotto dell’umana ragione, fino a sfidare, lui, piccolo uomo, perfino gli dei. Ma ben conosciamo le tribolazioni e peregrinazioni che dovette affrontare prima di poter fare ritorno ad Itaca sua patria e suo Regno.

Ecco in conclusione il senso profondo della vita: la conoscenza da parte dell’uomo della Reale Realtà per poter giungere alla coscienza di essa; il percorso potrà essere verso l’alto o verso il basso, ma egli dovrà pervenire alla conoscenza gustando i frutti dell’albero del Bene e del Male acché prenda consapevolezza di entrambi; ed esso albero può essere conosciuto nelle sue chiome luminose o/e nelle sue radici clifotiane che affondano nel buio della negra terra; in altre parole dovrà conoscere per conoscerSi come regal figlio, perché il Re – che è il tutto non dimentichiamolo – ha necessariamente in Sé la parte di Luce e la parte di Tenebra.

 

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