Sull’ Accoglienza

DE FACULTATE

ALIQUEM BENIGNE EXCIPIENDI

Narrò qualcuno che, in un tempo senza tempo, per una via del vostro mondo, vagava una sera nella pioggia un vecchio. Stanco e ricurvo, dolendosi col Cielo d’esser nato, requie nel cuore non trovava.

Lo udì, quasi per caso, un cieco, mentre da solo rientrava in povera dimora. Così, nel chiuder l’uscio, sentì che quel lamento era fraterno a propria pena; perché il dolore è uno, ed uguale ha voce in ogni uomo. Tornando indietro, il cieco invitò allora il vecchio in casa a riposare; pur non sapendo chi fosse quel viandante, né conoscendo alcunché della sua vita.

A lungo parlarono, ed a lungo; fra le volùte lente del vapore che s’alzava da due ciotole di zuppa. Si scaldò del vecchio il cuore al racconto delle cose d’un tempo ormai svanite, delle persone che l’amarono e che più non erano con lui, e di quelle cui non poté dire “Addio per sempre”. Sentendo quel narrare, si scaldò pure del cieco il cuore, ed il buio profondo sentì fender dalla luce dell’incontro con l’estraneo, sùbito divenuto come Fratello perduto e ritrovato.

Cosa poi fu non è dato di sapere; ma per certo, in quella sera, la povera dimora tempio divenne con la scritta sul frontone: “Entra, e sarai Accolto”.

E si poté forse, fra coloro che vivono l’umano andare d’ogni giorno, irridere quel cieco per l’ingenua sua imprudenza; ma se così poi fu, rassomigliò quel cieco al Cristo bendato e schernito nel quadro dell’Angelico, Che vedere giammai vuole perché superflua è la vista al Cor Senziente.

Ecco, dunque, o Fratelli, il significato dell’“Accogliere”: non ti conosco, e non so donde venisti, né dove poi tu andrai, e neppure te lo chiederò; ma ti sento come Fratello in questo nostro polveroso mondo. E per ciò stesso io ti invito: entra nella mia casa; entra nel mio cuore… e fallo tuo. Cosa accadrà poi… nulla importa a me che con Cuor Semplice t’accolgo; né importa al mondo e al suo egoismo. Importa però a me l’averti accolto, o Fratello, Fratello mio; ‘ché tale da oggi per me sarai per sempre.

Quanto detto vale in identica misura per la Fede: Essa è conceder chiave che consenta di aprire del cuore i penetrali. Se vera fede ho in Cristo, a Lui completamente affiderò me stesso, lasciando ch’Egli appieno acceda in me; e, del pari, non potrò non accogliere il Fratello che alla porta bussa del mio cuore, pur se questa i segni recasse ancòra delle pietre che un tempo egli contro vi scagliò.

E lieve in me, quando avrò accolto, sentirò dell’anima il peso che mi porto; sgravato dal macigno del giudizio dell’uomo sull’altr’uomo; libero dal fardello di dar condanna che motivo più non avrò di pronunciare; affrancato dal rimorso del sempre chiedermi se bene o male giudicai. Perché l’accoglier l’altro poi significa “compromettersi con lui”; ed immedesimarsi in lui; ed alfine essere lui.

Ma ben badate che necessario è pure che l’agir mio sia tale da invitar l’altro a bussare a mia Accoglienza, così che il varco del mio cuore aperto spinga teneramente l’altrui passo a entrarvi; e parimente induca, in risonanza d’Amore che non chiede, l’altrui cuore a divenir ricetto di fraterna e perenne comunione. E come fa il pastore, che poggia il piede fermo dietro suo vincastro nell’esplorar sentiero che lo porti verso l’agnello smarrito fra pendici e fossi, né in animo s’acquieta finché non lo ritrovi, così faccia ciascun con il Fratello che, ignaro, ritardi ancòra ad aprirsi all’Accoglienza pur se ormai giunto alla sera di sua vita.

Purtroppo – ahiNoi! – l’errore perenne che gli uomini della terra ognor commettono dinanzi a Dio e dinanzi ai proprî è quello di giudicar perché la Verità hanno veduto (o meglio… di vederLa hanno creduto), e per ciò poi pensato di poterLa possedere; ritenuto alfin che, possedutaLa, Essa divenir potesse oggetto di giudizio. Se infatti la Verità, e la mia e quella che è dell’altro, inconoscibile permane (perché la Verità è Dio, ed Egli inconoscibile permane all’intelletto umano), allor l’unico modo per certo possederLa è quello in toto e con Cuor Semplice d’accoglierLa. E poiché la Verità è in me come nell’altro, me accogliendo (con il sapermi perdonare) e l’altro poi accogliendo (con il saperlo accettare integralmente), la Verità avrò alla fine accolto, ed all’unisono, così, Iddio avrò alla fine accolto. Conoscere me stesso è però impresa invero dura, mentre conoscer l’altro arduo non è, né impossibile risulta, sol che s’accolga incondizionatamente tutta parte di luce e cielo che l’illumina e tutta quella di polvere e fango che l’insozza.

“ Ho sete ”, dalla Croce sommessamente disse.

“Ho sete”, più volte ho sentito dalla voce sommessa del Fratello che accogliere non volli.

E sete era d’Accoglienza; ma io non lo compresi.

Eppure, con l’Amor che Tutti accoglie, avrei potuto dissetare Entrambi.

Ma ancòr potrei (oh, sì, potrei!), con l’accogliere il Fratello, porgere al Cristo umida spugna sulla lancia lunga dei peccati miei; potrei ancòra, sicuro della Sua Benevola Accoglienza… ed anche se tardi ho fatto. E sarà allora che il Fratello, vedutomi accogliente, verso di me verrà all’incontro; e, nel raggiungermi, il mio cuore invaderà di sua esistenza, così che infine ricolmato io sarò di Verità sua propria.

Ed è per ciò che il Cristo poteva poi affermare: “Io sono la Verità”. E dire lo poteva perché reale e completa era “Accoglienza” in Lui; perché, nell’Accoglier l’intera Umanità, accolto aveva anche i suoi dolori tutti, e sue miserie tutte, ed abiette sue viltà, e financo quel che più ripugna all’umano e pavido sentire: la morte corporale e, con essa, l’orrore che spaurisce per la fine. Così Egli S’identifica con l’ultimo fra gli ultimi, che pari agli altri ama senza riserva alcuna.

Allorché, dunque, riuscirò ad amare ogni Fratello, anche l’ultimo fra gli ultimi, ed anche il più laido fra i condannati dall’umana maldicenza, allora, e solo allora, scorgerò nelle pupille loro, velate di tristezza, il Cristo che v’è in essi. E ciò perché, nell’accoglier l’altro che da me accogliere si fa, io l’altro pur divengo; ed egli me diviene; ma, nell’accoglier l’altro, il Cristo io avrò accolto; ‘sì che, nell’Accoglienza di Superno Logos, in parte anch’io divengo Logos e Questi me diviene.

Alfine, come l’altro accoglierai, così da Dio sarai tu accolto.

Non giudicare mai il Fratello, e non sarai mai giudicato.

E se a lui guardi, ricorda di lui soltanto il Bene, dimenticandone ogni Male. Applica per lui, nell’apprezzarne gli Atti, misura infinita di lunghezza per dare infinita lode ad ogni parte di suo Bene; e, se a ciò che ti appare di Maligno volgerai lo sguardo, applica ad esso piccola misura in modo da giustificar nequizie che l’opprime. Se così saprai tu fare, il tempo in Verità verrà in cui sulla tua anima quelle stesse misure saran poste per valutare in poche dita il Male da te fatto, e di converso in generosi cubiti anche pochi palmi dei tuoi Amorosi Atti.

Ed allora, come telamoni che a sorregger Tempio d’Accoglienza giganteggiano, possiate stare voi con sicuri e fermi piedi sull’argilla rovinosa della terra ad emendarvi dalla polvere che uomini vi fece; e come giganti telamoni, con saggezza ed orgoglio che d’Amore sia, nel tempo che sarà quello dell’interrogarvi sulla vostra sufficienza che in Amore aveste e sul rimpianto che v’accompagnerà oltre l’umano giorno per non avere a volte amato, proclamare voi possiate :

 

“ Sì , noi sempre il Fratello abbiamo accolto ; ed anche se tardi aveva fatto !

Perché Sol Chi L’ Altro Accoglie ,

Nella Vita Terrena E Poi Nella Superna ,

Saprà Seguire Il Cristo E Giunger Fino A Dio .

Tutto Ciò Accolto Con Cuor Semplice ,

In Ogni Giorno Del Vostro Andare E … Nel Vostro Ultimo Giorno

Possa Da Voi Al Cristo Levarsi Nella Pace Del Cuore La Preghiera :

“ Lascia , o Signore ,

che le mie opere Ti mostrino che ,

pur sempre in Libertà donata e piena ,

ho comunque scelto Te nella mia Vita ;

perché in Verità Te accolsi nell’accogliere i Fratelli ,

così che una parte di me divenne Te ;

perché , nei giorni in cui compresi la sete d’Accoglienza

di coloro che avevo dimenticato o disprezzato ,

la Tua Voce in Verità ascoltai

ed il Tuo sommesso invocare “Ho Sete”

dalla Croce … in Cui avevo infitto i chiodi anch’io ;

perché , quando agli Ultimi la chiave diedi

per entrare nel mio cuore , un tempo angusto e povero ,

la Tua Sete in Verità alleviai con la mia spugna …

… pur se lento in me si mosse Amore .

Ed in Te , Signore , io confido ;

perché so che nell’ultima mia ora ,

quando sommesso sarà il mio dire a Te della mia sete ,

invocando la Tua mano a sorreggere la mia

per salire sulla barca silenziosa dell’estremo viaggio ,

Tu mi disseterai acquietando il mio timore per la notte ;

perché so che m’ accompagnerai sull’altra sponda luminosa ,

dove riconciliati saranno ad attendermi

i Fratelli che abbracciando io dissetai ,

e nei cui volti sereni il Riflesso scorgerò dell’Altissima Sua Luce ;

perché so che ritornerò nel Grande Regno

anche soltanto per avere , mite ,

accolto in cuore offesa ed odio dal Fratello

a Te affidando il suo cuore immerso nella pena ,

nel ricordo di come , ben più Forte , Tu facesti , Mite ,

nell’accogliere le spine sul Tuo Capo

a Dio affidando il cuore ignaro dei carnefici ;

perché so che i Celesti Tuoi Battenti

s’aprono sempre a chi nel pianto Te invocò

dopo avere asciugato quello del Fratello ritrovato …

… e s’aprono sempre anche a Caino , quale fui pur io .

Così , Signore , ogni giorno io Ti prego ;

nella ferma e sicura mia speranza

di avere sempre accanto la Tua Luce ,

Che mai vien meno

a rischiarare la mia notte umana ”

A M E N

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