Introduzione ai misteri

Fig. 1 La Verità di Jules Joseph Lefebvre

Introduzione e generalità

Premessa

Amici e fratelli sconosciuti e conosciuti, buona lettura a voi con l’augurio più fervido e sincero che essa sia foriera di pienezza spirituale e di prezioso frutto.

Preghiera propiziatoria

Padre Benedetto, sia glorificato il Tuo Nome Santo dai quattro angoli dell’Universo e per l’eternità, nel tempo e fuori dal tempo, dall’Alfa all’Omega.

Sia a Te reso grazie perché Tu, amorevole e discreto, nel generoso donarci la coscienza del Sé, Ti nascondesti a noi per lasciarci liberi; liberi di volgerci a Te o di negarTi. E Ti siano rese grazie perché, sempre, anche colui che Ti nega è da Te giustificato dal Tuo esserTi occultato ai suoi occhi.

Ed ancora, reso grazie Ti sia per il Noùmeno che ci porta l’Idea dell’Essere, così come per il Figlio Tuo, il Logos, il Cui tramite ci permette di percepire la Tua Reale Essenza.

Preghiamo affinché Tu dalle Tue Altezze, pure a noi così vicino sebbene piccoli e fallaci, voglia ispirarci quanto verrà scritto guardando con indulgenza alle manchevolezze, errori ed imperfezioni dell’agir nostro umano.

Per noi si levi infine la preghiera acché Tu voglia un giorno scrivere nel Grande Libro della Vita i nomi nostri, di coloro cioè che solo ambiscono essere gli ultimi e più umili operai della Tua Vigna sulla quale non giunge mai il tramonto.

Amen

Colui che è cercatore di Verità ha da percorrere un cammino che lo porterà gradualmente alla mèta ambìta attraverso tappe che conquisterà faticosamente.

Proviamo a redigere, per punti, un panorama del percorso da conquistare. E’ necessario comprendere che:

  • l’oggetto della ricerca è la conoscenza di se stesso (“gnoti se auton”);
  • il primo passo è accessibile se si è capaci di distinguere l’essenziale dal non essenziale; se si è capaci di distinguere tra la scienza del cervello e la sapienza dell’Anima, tra la dottrina dell’occhio e Quella del Cuore;
  • l’individuo è tale – è cioè una realtà soggettiva che appare individualizzata – avendo egli avuto l’opportunità di prendere coscienza di se medesimo attraverso l’originaria separazione dall’Uno/Tutto (v. il mito della cacciata dal paradiso terrestre);
  • l’uomo deve superare la separatezza di cui ha percezione e percorrere il sentiero che lo porti al ricongiungimento con l’Uno/Tutto cercando sempre ciò che unisce e mai ciò che divide;
  • il cercatore non potrà percorrere il Sentiero prima di essere diventato egli stesso il Sentiero;
  • la realtà percepita dall’uomo è Maya, grande illusione della mente, e che pertanto la mente è la distruttrice della Realtà (quella unica e vera). Il cercatore allora distrugga prima la distruttrice; diffidi costui dai suoi sensi fisici ingannevoli e accenda i nuovi che, latenti in lui, attendono solo di mettersi in moto: i chakras.
  • la conoscenza dell’uomo giunge dal silenzio che propizia l’ispirazione – vero suono spirituale della vita – che porta al superamento degli aspetti illusori del mondo dei sensi.
  • Operi la frantumazione degli specchi che gli rimandano le immagini ingannevoli verso cui si rivolge credendole autentiche, immagini che lo disorientano attirandolo verso l’esterno anziché verso l’interno di Sé.
  • Superi il dualismo apparente e giunga all’Unità col cessare di porsi in opposizione come avviene tra l’osservatore e la cosa osservata.
  • Operi il pellegrino in amore e si liberi dalle catene dell’ “Attaccamento”.

° ° ° ° °

Le esperienze che vengono vissute nella esistenza terrena e che più ci segnano sono di certo quelle che maggiormente ci coinvolgono emotivamente, poiché incidono più profondamente nel nostro essere.

Spesso si tratta di eventi che hanno magari provocato in noi forti dolori sia fisici che morali, ma anche grandi gioie, talvolta suscitato gratificazione, tal’altra rimorso. Dette esperienze hanno cioè coinvolto in maniera pregnante il nostro corpo sottile (altresì definito corpo eterico), la componente animica in cui hanno sede le emozioni. Poco o nulla, di contro, incidono gli eventi che, coinvolgendo principalmente la parte corporea e dunque materiale del nostro complesso essere, colpiscono per così dire solo la superficie di esso, cosicché, permanendo nel nostro cervello sotto forma di ricordi mnemonici, supportati da una struttura eminentemente chimica, sono inesorabilmente destinati a perdersi dopo la morte col disfacimento del corpo materiale (sebbene tutto rimanga registrato nelle c.d. cronache akashiche così come definite da Rudolph Steiner).

Cosa si vuol dire con ciò? Facciamo un esempio: se io leggo con scarso interesse i Vangeli, essi, per quanto di semplice comprensibilità, rimarranno reclusi e circoscritti al mio cervello, poco avendomi coinvolto. Se invece detta lettura suscita in me “emozione”, se in essa riconosco profonde verità, se mi provoca un brivido o, ancor meglio, finisce per mutare il mio modo di vedere e quindi di agire, ecco che allora tale insegnamento non morirà col mio corpo fisico ma sopravvivrà, impresso come un marchio nel corpo Sottile; sarà un patrimonio di cui potrò avvalermi anche in appresso, per es. in una incarnazione successiva, e non perché io possieda dei ricordi – ‘ché nessun ricordo mnemonico sarebbe possibile – ma perché in realtà sono io che, grazie a quei brividi, sono cambiato.

Il mito di Dedalo

Fig. 2 Dedalo e Icaro

Prima di ricercare chiavi che aprano le segrete in cui riposano i Misteri, è bene richiamare il mito di Dedalo ed Icaro. Esso ci racconta, sotto forma di favola, il dramma dell’uomo che cerca la Verità e quindi vuole superare se stesso ed i suoi limiti per giungere al Divino.

Dedalo era l’architetto che realizzò, su incarico di Minosse re di Creta, il labirinto: un’intricata e complessa opera costituita da un insieme di corridoi a cielo aperto che, diramandosi ed intersecandosi tra loro, facevano inevitabilmente disorientare l’incauto che vi fosse penetrato, impedendogli di trovare la via d’uscita e condannandolo quindi a rimanervi intrappolato ed a morirvi. Il labirinto era stato concepito e realizzato per tenervi recluso il Minotauro (una creatura mostruosa per metà uomo e per metà toro).

Per volontà del re, le prime vittime di tale complessa costruzione furono proprio Dedalo e suo figlio. Entrambi però riuscirono con uno stratagemma ad uscire da essa. Servendosi di ali, che fabbricarono unendo con cera d’api le penne di uccelli che colà avevano trovato dimora, volarono fuori. L’ebbrezza del volo vinse però Icaro il quale, a dispetto delle raccomandazioni che gli aveva fatto il padre, volle salire così in alto e talmente vicino al sole, che l’eccessivo calore finì per liquefare la cera che teneva unite le ali, con la conseguenza che il poveretto precipitò nel mare Tirreno.

Proviamo ad esaminare gli elementi che simbolicamente il mito vuole trasmetterci:

Si osservi innanzitutto la forma del labirinto con le sue volute e ramificazioni interminabili; esso evoca un organo che, per forma e struttura, assomiglia fortemente al labirinto: il cervello umano.

Fig. 3 Il labirinto  Fig. 4 Il cervello

Dobbiamo allora comprendere il messaggio secondo cui il labirinto/cervello costituisce una trappola mortale. Esso tiene prigioniero l’uomo/animale (simbolicamente rappresentato dal Minotauro). Per ottenere la salvezza occorre uscire dalla razionalità in cui la macchina cervello ci incarcera, volando via, verso l’alto, verso la luce del sole ossia verso la Verità; Questa però non può raggiungersi d’un balzo ma in modo graduale, poiché essa luce è folgorante, urente, e quindi può abbacinare, accecare… bruciare.

Icaro La vuole raggiungere sùbito, sebbene ancora impreparato, e rimane vittima del troppo calore.

Chi, dunque, rimane intrappolato nelle volute della razionalità – ossia si smarrisce nel labirinto – è destinato a non sopravvivere, a non uscire cioè dalla natura di uomo/animale, rimanendo così nella condizione di… Minotauro!

Questo, in breve, il significato della parte finale del mito di Dedalo destinato all’apprendimento dei discipuli iniziatici; ma esso ci racconta altresì l’impresa di Teseo, l’eroe che, penetrato all’interno della struttura, uccide il Minotauro riuscendo poi a salvarsi percorrendo a ritroso la stessa strada effettuata all’andata, grazie al filo che Arianna[1] volle dargli per garantirgli (dietro suggerimento dello stesso Dedalo) la salvezza.

Qui le immagini fondamentali del racconto sembrano essere le seguenti:

  • la discesa nel mondo infero della materialità e la conseguente entrata nella razionalità (il labirinto);
  • l’impresa eroica costituita dall’uccisione della parte animale che ci contraddistingue (il Minotauro);
  • il ritorno alla Luce seguendo la voce dell’anima che è poi in definitiva il richiamo della Verità (il filo di Arianna).

Ciascuno potrà scegliere il metodo (filo o ali?), ma il fine deve essere il medesimo: “uccidere il drago”, soffocare cioè la parte materiale, egoica, che alberga in noi per liberare quella spirituale, angelica.

L’Origine

Dall’Amore del tutto/Tutto trae origine la partizione individualizzata nel Sé di ciascuno e la “discesa” nel mondo dell’ego su cui agiscono le forze arimaniche. Esse operano acché il Sé, avviluppato in volute a grado a grado più grevi, attraversi via via fasce di realtà sempre più “fredde” e condensate, fino a giungere nelle dimensioni della materialità e dello spazio/tempo ben note all’umano genere.

Nel mondo della materia (così come noi la interpretiamo), il Sé, si carcera nel tempio di carne costituito dal sé piccolo umano che è ottuso ed inconsapevole della sua matrice divina e della sua provenienza. Il Sé potrà conoscere il non-Sé per il tramite del sé (piccolo umano che vive ed appartiene alla dimensione della materialità ovvero del non-Sé). Il sé umano potrà liberamente scegliere se riunirsi al suo Sé (grande divino che vive nell’Essere e del quale avverte una sorta di nostalgia)[2] o, altrimenti, scegliere di permanere nella dimensione materiale.

Conquistando i gradi di coscienza corrispondenti, può riattraversare in ascesa i mondi dell’Essere sempre più “caldi”, luminosi e sottili; ma può altresì decidere di abbandonare la lotta e morire alla coscienza; immergendosi infatti vieppiù in quella materialità da cui dovrebbe fuggire, sempre più flebile e remota gli giungerà la voce del suo Sé (grande). Alla fine, ormai totalmente sordo a tale voce, morirà alla coscienza: è questa la cosiddetta morte secunda.

Ma la “morte seconda” non genera alcuna perdita in Dio, nessuna deminutio nell’Essere, solo il distacco della autocoscienza dall’individuo che così – lasciato libero per dono d’amore – ha scelto il suo destino di morte.

Questo il cammino, questo il rischio, questo l’obbiettivo, questa la lotta, questa la scelta libera di ciascuno.

Genesi: le allegorie dei 7 gg della creazione

Non occorre grande sforzo per comprendere che quanto scritto nella “Genesi” ha un duplice significato: letterale e simbolico (ma forse anche misterico). Il primo, a tutti comprensibile, ha addirittura peculiarità fabulatorie tali da apparire destinato a lettori-bambini a dispetto delle palesi contraddizioni in cui cade lo scritto se letteralmente inteso: si guardi, ad es., ai “giorni” in cui si svolgerebbe l’opera creatrice di Dio quando non sono ancora apparsi sole e luna – indispensabili al computo dei giorni cronologici – non essendo stati ancora creati. Anche la parola “in principio”, il bereshit, per indicare l’opera creatrice dell’Essere che non ha origine né fine perché eterno, e dunque fuori dal tempo, appare incongruente e contraddittoria! Il termine usato ci fa rammentare l’inizio del vangelo di Giovanni con il suo inno al Verbo.

Ma allora “in principio” di che cosa? In realtà, se lo si interpreta in senso cronologico, dovremmo rispondere: in principio di nulla, non essendovi in realtà principio alcuno in Dio che non è soggetto alla dimensione temporale. Dobbiamo allora fare riferimento non al tempo cronologico ma al graduale evolversi della coscienza: dunque in principio… della coscienza; non coscienza di Dio, ovviamente, che non necessita di percorso di crescita, bensì di ciò che apparentemente si proietta al di fuori di Lui: il Figlio, dunque, quello che noi definiamo il Creato come realtà soggetta alle dimensioni spazio-tempo. Inoltre tutta la Genesi, dai cd. giorni della creazione alla cacciata di Adamo dal Paradiso terrestre, fa riferimento, in modo velato, al progressivo ampliarsi della coscienza e della conoscenza.

In principio Dio creò il Cielo e la Terra”:

Primo passo

Dunque all’inizio della coscienza si potevano riassumere due realtà : 1) il Cielo quale rappresentazione della dimensione spirituale strettamente intesa; 2) la Terra come dimensione materiale. La distinzione va peraltro interpretata come risultante della categorizzazione umana, ‘ché in verità il distinguo appare superfluo se si considera il sistema/realtà come un tutt’uno interconnesso. A noi è tuttavia più facilmente comprensibile immaginare due zone: una calda, fluida, altamente energizzata ed eccitata (la realtà sottile/animica, ossia il Cielo); l’altra più fredda, condensata, statica e dura: la Terra.

Lo scrittore parla poi di oceano e di acqua lasciando intendere che Cielo ed Oceano siano eguale cosa; parla inoltre di luce e tenebra che opportunamente vengono da Dio separate.

Secondo passo

Segue la creazione di un firmamento atto a “separare le acque superiori da quelle inferiori” : ben strano invero se letteralmente inteso! Diverso se vi leggiamo che la coscienza della totalità dell’Essere si dispiega e distribuisce per gradi: le Acque superiori (il Cielo, l’Empireo, la Coscienza di Dio); le acque inferiori (la coscienza del Creato).

Giungiamo alla fine al paradiso terrestre che, per libera scelta, Adamo ed Eva perderanno, ma per iniziare a conoscere – e quindi prendere coscienza e consapevolezza – attraverso il percorso che riconduce alla Casa del Padre.

  1. Arianna è una delle figlie di Minosse re di Creta. L’etimologia del nome ci rivela un aspetto importante del mito: Il nome di origine greca Αριαδνη (Ariadne) risulta dalla unione del termine αρι (ari), “molto” e αδνος (adnos), “puro”, “sacro”, pertanto significa “altamente sacra”, “purissima”; dunque Arianna è l’anima stessa di Teseo che lo guida.
  2. Il termine “nostalgia” rende pienamente il senso; la sua etimologia infatti ci dice che esso è formato dai termini νόστος (“nostos” = lontananza) e άλγος (“algos” = dolore), ossia dolore per la lontananza.
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