De mea domina

“ Oh figlio! Oh Tu, Figlio del Dio Vivente!

… Pur, tu, prediletto figlio della mia carne!

Oh, tu, mio sangue!

Sento il tuo corpo d’uomo,

spezzato e abbandonato su di me;

immoto nel silenzio della morte.

Guardo il tuo volto, reclinato e stanco;

gli occhi tuoi muti, che hanno tanto amato.

Ed il cuore nella pietà sprofonda… e nel dolore.

Annega, così, l’anima mia, estenuata,

nell’infinita solitudine di madre che non può,

né vuole, sopravvivere al figlio che le muore ”

Premessa

Affrontare un tema di tale portata dà vertigine e stordimento. Cercare di penetrare il mistero che avvolge la figura di Maria Madre, la kekaritomene (colei che è piena di Grazia e che fu madre del Cristo), fa tremare chi scrive e fa temere che troppo difficoltoso possa essere il compito di far comprendere, o anche solo far sfiorare, il senso e la portata dei concetti di seguito espressi.

Dunque è parso opportuno offrire al lettore – sia pure in sintesi estrema – tre punti di vista, tre realtà parimenti valide ed utili, atte a pervenire ad una conoscenza gradatamente più profonda di questo tema:

La prima, con lo scopo di rammentare e ripercorrere le tappe storiche ed evangeliche, note pressoché a molti, di Maria, Myriam, e del culto che la Chiesa Cattolica le ha attribuito.

La seconda, per accompagnarci ad una interpretazione superiore, superumana delle attribuzioni e dei progetti divini che sottendono gli eventi storici al fine di pervenire ad una migliore conoscenza dell’altissima entità che volle incarnarsi nel piccolo sé di Maria.

La terza ed ultima per giungere ad intendere tali concetti sul piano esoterico col penetrare il mistero e giungere infine ad un livello di conoscenza che travalichi i primi due stadi senza negarli, ma con lo scopo di ampliarli e completarli.

Senza l’Original Peccato nata in Nazareth da Gioacchino ed Anna, di santità e virtù ricolmi, fui offerta al Tempio da bambina, così trascorrendo gli anni dell’infanzia in edificio che stava lì nei pressi; con amorosi accenti accudita dalle pie donne addette agli arredi della Casa del Signore ed al pregare. Ma fin da allora avvertiva l’anima mia che qualcosa la Grazia di Dio le riservava di doloroso e grande.

A Giuseppe, nazareno falegname, fu poi promessa quando i quattordici anni ebbi compiuto; e già di sangue aveva intriso le mie vesti il mensile pianto del ventre che ad ogni donna dice di non avervi un bimbo, e che, fra nuovo desiderio inconfessato e antica pudicizia tremebonda, invita forte al sensuale abbraccio di colui che, amato, rendere madre la potrebbe.

Ma la promessa un anno richiedeva perché fossi condotta allo sponsale altare; e, dunque, nella paterna casa ritornai per attendervi, casta, il dì festoso.

Fu a quel punto di mia vita che il Padre Onnipotente volle di Transverberazione, per altissimo destino, farmi Sua prescelta; e me come «Piena di Grazia» salutò l’Angelo, annunciandomi al contempo che Madre sarei stata del Figlio Ch’è di Dio. Tremò il mio cuore; e sprofondò l’anima mia nella paura; e chiesi come ciò mai si potesse: «Per il Voler di Spirto Santo, e per Sua Azione, sarà fatto ciò che dall’Alto si può sol che si voglia», disse solenne il Divin Messo. Ed io a lui, senza esitare: «Ecco la serva del Signore; si faccia di me secondo Tua Parola»; e tale gli risposi pur se consapevole, per lunghe letture di Scritture Sacre, di quanto doloroso sarebbe stato del Messia il cammin terreno.

Ma creduto avevo! Così; semplicemente. Senza che dubbio alcuno in me insorgesse.

E… fu il deliquio!

Questo ed àncor più, molto di più, io vi provai nel concepire il Figlio che dei mortali afflitti doveva consolare il pianto e della morte spezzar per sempre l’orride catene.

Così a quel punto giunta, ed ancòr vergine restando, compresi che «Colui Che È» nel seno mio ormai viveva qual vero uomo, e vero Dio

Poi, con doglie e sofferenza, il parto nella grotta e stalla, dove il Creator del mondo vide luce in ossa e carne.
Questo è l’insegnamento essoterico trasmesso nei secoli dalla Chiesa Cattolica prevalentemente sulla scorta della lettura e della interpretazione dei Vangeli canonici.
Ma per tentare di meglio comprendere il mistero che avvolge la figura della Grande Madre è necessario qualche approfondimento. Vediamo….
MARIA MADRE

Maria. “Sine labe originali concepta”. Ella stessa è “l’Immacolata Concezione”, come afferma il dogma della Chiesa Cattolica. Maria, dunque, unica tra i figli di Eva, non porta su di Sé la colpa adamitica.

Ma qual è il vero significato di ual’è QQQQQquesto privilegio divino?

Il peccato originale, come si è ricordato altrove (v.si il 2° libro “La Luce sul Sentiero”, cap. 1), non è la colpa dei nostri progenitori che grava, di generazione in generazione, sugli innocenti figli dei figli.

Il nostro spirito ha operato la scelta di incarnarsi per raggiungere la conoscenza del bene e del male. Ciascuno di noi, dunque, ha “mangiato il frutto”. In tal modo autocoscienti e responsabili, saremo un giorno in grado, pur attraverso errori e dolore, di tornare volontariamente e consapevolmente alla Casa del Padre.

Maria, dunque, è stata “concepita senza peccato” perché il suo grande Sé non appartiene alla generazione di spiriti dei figli di Adamo, ma è così elevato da essere prossimo a Dio. Questo grande Spirito (che già nei secoli e forse nei millenni precedenti si era manifestato all’umanità, che lo adorava sotto le sembianze di divinità femminili, come Iside ed Athor) ha accettato di incarnarsi nella fanciulla di Nazareth non certo per fare l’esperienza del bene e del male, come tutti gli altri uomini, ma per offrire una adeguata veste di carne a Colui che sarebbe stato l’Uomo Perfetto, degno di accogliere in sé il Logos, degno quindi di assurgere, da uomo, alla Divinità e di indicare ai fratelli minori la strada del ritorno al Padre. (“Io sono la Via, la Verità e la Vita”).

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L’annunciazione dell’Angelo simboleggia il contatto fra il Grande Sé ed il piccolo sé di Maria ossia tra lei ed il suo Spirito. Così come ciascuno di noi, una volta incarnato, può operare una scelta di libertà che si discosti dal

programma del suo Grande Sé (la parte divina che alberga in ciascuno di noi), anche quella fanciulla avrebbe potuto non accogliere il Grande Progetto di essere madre di un tale Figlio, ma con un prezzo altissimo da pagare: il dolore umanamente insopportabile della morte (e che morte!) di Lui incarnato nel figlio suo Gesù.

Maria, ai piedi della croce, assisterà impietrita all’agonia spaventosa di Gesù, che, poco prima di morire, le affiderà come figlio il discepolo amato, Giovanni (“Ecco tua madre. Ecco tuo figlio”). Con queste brevi parole Egli ha consegnato al suo amore ed alla sua protezione l’umanità intera. Maria resta così la Madre di tutti noi. E come Gesù sarà con noi, immerso nel dolore, fino alla fine del mondo, così anche la madre, Madre nostra, resta e resterà con noi, soffrendo con noi, soffrendo per noi, fino a quando l’ultimo uomo riuscirà a fare ritorno nel Regno.

Fin qui può giungere la vista dell’ umano vedere e l’intendimento dell’umano comprendere ‘ché il mistero altrimenti impedirebbe l’accesso a colui che oltre e più in profondo spingersi volesse avvolgendolo in densa nube che vacillare farebbe sua ragione.

Purtuttavia se al cor senziente si vorrà dar corso, sciogliendo le catene che alla ragione l’uom tengono stretto, le nebbie, che al mistero stanno avvolte, dissiparsi vedremo in un istante per far luogo a stupore e stordimento.

E Dunque tu temerario viandante che ti accingi a legger oltre e a penetrar quel fumo, prepara mente e cuore ad ascoltar segreti che alla Madre Santa di Grazia ricolma fanno velo.

Madonna, la kekaritomene

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Era un altissimo spirito buono. Dimorava presso Dio e Lo serviva, l’Ancilla Domini.

Allorché i tempi della realtà fisica della terra furono maturi, e già l’uomo di humus si affacciava ai primi vagiti della coscienza, l’Angelo di Dio, amorevole e mite, chinò il capo ed accettò ed accolse la Creatura di Lui: l’umanità.

Altissimo era il compito, e doloroso: accettare ed assumere la maternità del genere umano e per intero e per tutti i tempi e, con esso genere, le sue tribolazioni e le sue sconfitte ?

Ma sappiamo bene: Amor che move ‘l sole e l’altre stelle, si sarebbe fatto carico di cotanto fardello; e pietà amorevole, materna, mosse l’altissimo Spirito a commozione per quell’umanità che pronta ormai era al cammino aspro e duro per i sentieri della materialità, del dolore, dell’ingiustizia, dello sconforto.

Ed Egli divenne la Grande Madre!!

Le forze dell’ “ego” però, nell’esercitare il compito di infondere coscienza individuale all’uomo, contrastano da sempre le forze dell’amore: «Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. […] Allora il Signore Dio disse al serpente […] ‘Io porrò inimicizia tra te / e la donna, / tra la tua stirpe / e la sua stirpe; / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno’» (Genesi: 3, 1-14-15).

E la Sua protezione amorevole si dispiegò nel tempo e nella storia dell’uomo il quale, nella devozione, volle darle un nome che molteplice fu per via dei molteplici luoghi e dei molteplici tempi in cui il culto vers’ Ella ebbe a dispiegarsi: Iside nell’antico Egitto, Demetra nella antica Grecia, Cibele nella Roma imperiale, Myriam nella cristianità, ed infine oggi, per tutti, Maria Vergine, l’ Immacolata Concezione per la Chiesa Cattolica.

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La Creatura umana tribolò, soffrì, comprese, si ravvide, morì nel corpo, rinacque nel mondo e riprese il cammino della coscienza contrastata sempre dai pungoli della serpe.

Nostra Signora si dolse per il destino dell’umano genere, pianse, si manifestò, chiamò a gran voce la Creatura al ravvedimento. La scaldò con la sua tenerezza, la salvò col suo cuore colmando d’amore quello di chi ostinatamente rimaneva abbarbicato alla materia.

Una lotta d’amore quasi infinita, eppure destinata a vittoria certa perché così era scritto nelle stelle.

Quante e quante volte nella storia dell’uomo l’Angelo aveva scelto di interpretare il ruolo umano di madre? Quante e quante volte i figli suoi carnali da altissime sfere celesti erano scesi tra l’umana progenie ed avevano, in veste di profeti, combattuto anch’essi per indicare la via del ritorno a quell’umanità cieca, ferita, disorientata, carcerata nel dubbio?

Così pura nel suo virginale candore il Padre ancora una volta volle sceglierla come Sua sposa facendola diventare madre di Lui.

Qui riposa il mistero sommo della kekaritòmene, la “Piena di Grazia”: Maria.

Il grande Sé di lei, l’Angelo, che Gabriele vollero poi appellare, annunziò alla fanciullina il grande compito che Lui aveva già assunto e le chiese: “Io, che di Sole son vestito[1], ho accettato la maternità, vorresti farlo anche tu Maria per il tempo terreno che ti è dato?

Tu, per mio tramite, fosti prescelta, vorresti ricevere nel tuo ventre l’Altissimo Spirito che nella carne vuol discendere divenendone madre sua?”. Ed ella mite e serena accondiscese ad accoglier il divino seme e con esso ad accettare il destino di dolore.

Due i calici di amaro fiele colmi: uno, quello di Lui il Dio/Gesù, Padre e figlio di lei, l’altro, quello di Maria, figlia, e madre di Lui. Entrambi nella condivisione dell’amore e del dolore per l’umanità fino alla fine, fino all’ ultima ora che è sempre, e per ciascun uomo, ricolma della misericordia di Dio.

Con l’ultimo suo figlio si fusero in lei l’essenza di madre carnale dell’uomo e quella di madre spirituale dell’umanità; avvertì il dolore struggente per la perdita del frutto delle viscere sue straziato ed innocente, e quello del cuore per l’umano genere che, pur nell’afflizione, sordo tenacemente rimaneva alla voce del Padre.

Tutto d’un balzo torna a rammentarci di come amore e dolore inscindibilmente si uniscano e si fondano compenetrandosi l’uno nell’altro e l’altro nell’uno. Chi ama vuole il bene altrui e cerca di realizzarlo, cosicché si adopera e si sforza e si batte per alleviare le pene dell’altro e le fa sue e le sopporta aiutando con le proprie forze chi è schiacciato dall’immane peso e magari dalla sofferenza è piagato e piegato. Così opera l’amore e così opera l’ “Amore”: Egli Stesso ce ne volle dare prova tangibile! Del pari la divina kekaritomene ha abbracciato con afflato d’amore materno l’umanità dolente e da sempre la conforta e la consola e l’aiuta e la guarisce e la salva.

Costei fu soltanto umana donna e madre ? O non ci troviamo forse dinanzi ad un’ entità cosmica capace di proiettare il suo bruciante amore (pur sempre riflesso di quello del Padre) su tutta l’umanità e in ogni tempo?

“Vergine, madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,

tu sei colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,

per lo cui caldo ne l’etterna pace

così è germinato questo fiore.”

(Dante – La Divina Commedia – Canto XXXIII del Paradiso)

Una madre è immersa nel dolore, sempre, perché il figlio si perde, si allontana, non vuole comprendere, non vuole far tesoro dell’esperienza maturata nell’incedere greve della vita. Ma lei è lì, ad aspettare la Creatura che ritarda, quella Creatura figlia di Dio Padre che sono poi gli uomini, progenie divina; lei è lì ad aspettare anche per l’intera notte, lucerna accesa, i figli che per sentieri e destini misteriosi ed incerti s’inerpicano fino a che… fino a che essi, gli uomini tutti, alla fine dei tempi non facciano ritorno per risorgere alla Vita!

Ma ecco che nel grande libro del tempo è scritto l’epilogo della storia dell’umanità:

Oh qual gioia, qual tripudio in Cielo! Oh qual gioia, qual tripudio nell’ immenso, sconfinato cuore di Lei, la Madre Grande!

La Creatura umana che esanime appariva a causa della stretta mortale alla terra, alla materia, che tomba era in realtà, è risorta! E’ risorta l’umanità intera a nuova, gloriosa Vita!

Non più dolore, non più tribolazione, non più sofferenza l’attende, ma labbraccio tenero e dolce di Chi con ansia ne aspettava il ritorno alla paterna casa. Nessun timore ormai del morso infetto della serpe, il suo capo è per sempre reso innocuo dal tallone di lei e le sue spire immote ed esangui.

Questo futuro dell’uomo fu preconizzato e segnato in un tempo trascorso e lontano tra i flessuosi pendii di Palestina con un evento straordinario di cui solo i secoli a venire avrebbero rivelato la portata: il Cristo risorto!

Oh qual gioia di Myriam, qual meraviglioso sollievo al cuore – reso dal lutto pesante e triste – nell’apprender che la famelica tomba di pietra, squassata dalla luce di gloria, nulla aveva potuto sul trasumanato figlio suo Gesù, che in quel lampo tornato era al suo Regno ed al Logos divino ricongiunto.

La fine dei tempi vedrà, per Grazia divina e dono d’amore, l’umanità intera salva e la Nostra Signora, la Mia Signora, Mea Domina kekaritomene, ricongiunta al Suo Signore Gesù Cristo/Logos , che ella, fedele, rimase ad aspettare per l’intera notte dell’umana coscienza rischiarata soltanto dalla flebile e tremolante fiamma della lucerna, fino alle prime luci di quell’alba radiosa testimone dell’Amore Superno che unisce e che consola.

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  1. Qui il riferimento è rivolto al brano apocalittico “La Donna vestita di Sole”.

 

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