CAP XI

SUL PERDONO

Costantemente, spesso quotidianamente, il nostro prossimo ci colpisce e ci ferisce. Nonostante ciò – il Cristo ci ha insegnato – dobbiamo sforzarci di accoglierlo ugualmente (Ama il tuo nemico).

Ma il punto nodale sul quale dovremmo insistere è che il cuore suggerisce talvolta un’Accoglienza spontanea e naturale; talvolta, invece, l’accoglienza è forzata e difficoltosa. In tal caso, per poter accogliere l’altro dovrò prima riuscire a perdonarlo. Quest’ultima proposizione non è corretta.

Perfino Gesù Cristo non perdonava per Sé e con Sé, ma … IN NOME DEL PADRE; l’Unico cui compete il perdono. (Disse sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”)

E’ difficile riuscire a spiegare questo sottile passaggio di consegne: non è mia facoltà, il perdonare, ma appartiene al Padre; a me è dato di perdonare un unico uomo al mondo: me stesso!

Io, dunque, non ho facoltà di perdonare il mio prossimo; posso solo accoglierlo.

Ed allora: cos’è l’Accoglienza? Non accoglienza attraverso il passaggio del Perdono – che non mi compete, e che compete soltanto al Padre – ma Accoglienza in sé e per sé, come unica fonte d’Amore che, se ho, ho; e se non ho, non ho (tutt’al più potrò sforzarmi di avere).

A tal fine debbo “dimenticare il male” che ci è stato inflitto e  “ricordare” solo il bene ricevuto.

Da una comunicazione del  20/03/2010 :

Perché chi rivendica un diritto, pur giusto, di risarcimento del male patito non costruisce il Regno. Il c.d. perdono, come è usualmente inteso, non è un sentimento emozionale o filantropico: esso è L’UMILE RICONOSCIMENTO DELLA FRAGILITA’ UMANA CHE UNISCE OGNI UOMO, E PER CIO’ NECESSITA DELLA MISERICORDA DI DIO”.

Questa fragilità sta alla base del perdono – o meglio, della capacità di Accogliere che, quindi, è capacità di “DIMENTICARE” – e se io sono fragile e desidero permanere nell’accoglienza di Dio non potrò, né dovrò, interromperne il filo che mi congiunge a Lui attraverso l’Accoglienza.

Se io giudico – come sappiamo – ho dato una stima all’operato altrui: ma come potrò io che sono di natura ‘sì fragile da dovere ogni giorno accorgermi di fallare rovinosamente in Amore?

E tuttavia – ed è la più vergognosa inverecondia verso Dio – non pochi affermano che per potere perdonare bisogna ottenere giustizia.

(…)

Non, come è stato detto dalla cristica, non cristica invero, che tu potrai perdonare – sì – il fratello 70 volte 7, ma soltanto se ti avrà domandato perdono. Non è così. Il perdono, o meglio l’accogliere (e quindi il dimenticare i torti) è in sé e per sé un valore che non ammette condizioni.

Con ciò non si vuol dire che la Giustizia scema a questo punto. Tutt’altro!

Ma la Giustizia è Cosa di Dio. Ed essa implica il concetto della “RICONCILIAZIONE”.

La Riconciliazione implica – essa sì – il pentimento dell’offensore al fine di risarcire, nell’economia cosmica, lo strato da ricucire.

Ma, anche qui, l’Amore ha parte prìncipe nell’azione Universale d’Amore che è del Padre.

Infatti, il mio amare non dovrà soltanto essere accoglienza passiva; ma anche attiva. Dovrò cercare, cioè, di far ‘sì che l’offensore che mi ha arrecato danno comprenda, non tanto il mio danno (che anzi va dimenticato), ma il danno che egli ha arrecato a sé stesso.

ECCO L’ACTIO IN AMORE !”.

Chi è stato offeso non deve cercare la vendetta, che lo lega inesorabilmente all’offensore per legge karmica. La reazione determina una controreazione. Il male genera altro male, il dolore altro dolore. Così avviene nelle guerre tra le nazioni; così nelle faide familiari; così nei rapporti tra i singoli. Nessuno è più innocente. Ciascuno continua a punire l’ingiustizia dell’altro. Si incrementa in tal modo la divisione, la separazione. Ci si allontana dall’Uno. La giustizia deve essere affidata a Dio. Dice Ubaldi (“La Nuova civiltà del terzo millennio”): “Al conto individuale tra offensore ed offeso si sostituisce quello tra l’individuo e la Legge di Dio. L’uomo che rinunzia alla vendetta accogliendo il nemico non accetta di legarsi all’offensore con vincoli di odio, ma si affida alla Legge che, prima o poi, riequilibrerà l’ordine turbato: “Omnia in pondere et mensura posuit Deus”. Il male generato dall’offensore ricadrà soltanto su di lui.

Lo stesso concetto è insegnato agli albori del Cristianesimo. Scrive San Paolo (Lettera ai Romani, 12, precetti di vita cristiana): “….Non vi vendicate, carissimi, ma cedete il posto all’ira divina: sta scritto infatti: ” A me la vendetta, io darò ciò che spetta, dice il Signore. Se il tuo nemico ha fame, dagli del cibo; se ha sete, dagli da bere: facendo così, accumulerai carboni ardenti sul suo capo”. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene. 

In conclusione: il perdono compete solo a Dio. L’uomo, consapevole della fragilità comune a tutti i fratelli, deve tentare di dimenticare il male ricevuto, accogliendo con amore colui che lo ha offeso. E con amore dovrà fargli comprendere che la sua condotta ha fatto del male anzitutto a lui stesso.

L’uomo come tempio

Proveremo ora a costruire un tempio. Un tempio non materiale, naturalmente, ma di Sapienza.

Esso immagineremo sorretto da 9 colonne – tre per lato – tutte di pari altezza; la struttura per conformazione esteriorizzata da tale immagine dovrà richiamare un cubo, la figura geometrica che per antonomasia rappresenta da sempre la “stabilità”.

Ciascuna colonna sarà costituita da un tema fondamentale ed indispensabile a sostenere l’edificio.

La prima fila di 3 colonne sarà costituita dalle tematiche concernenti la  Libertà, la Giustizia e l’Amore e da come esse si integrano, si sostengono e si armonizzano l’un l’altra (il trittico Divino).

La seconda fila sarà composta dall’ Accoglienza, Riconciliazione e Accompagnamento (il trittico umano).

La terza fila sarà costituita dalle ulteriori 3 colonne a simboleggiare la Fede, la Carità e l’Umiltà (il trittico della Coscienza).

Tali pilastri esamineremo ed analizzeremo qui di seguito.

Torna su