CAP XIII

SULLA GIUSTIZIA

Il Sistema è perfetto nell’armonia che deriva da pesi e contrappesi che regolano e conciliano la libertà dell’uomo, che però non può tracimare nell’anarchia generatrice di caos: a tale salvaguardia è deputata la Legge. Essa è da intendersi come insieme di regole atte ad assicurare il riequilibrio laddove azioni libere abbiano turbato l’armonia o provocato scompensi.

Dio è Giusto. Di più: è Egli Stesso Giustizia. Egli non necessita di sottoporsi alla Legge da Lui promulgata essendo Egli l’essenza stessa della Teonomia da cui la legge promana.

Quale la Sua legge? La Legge dell’Amore. E’ legge che non appartiene alla ragione, né al livello culturale dell’individuo o alla sua brillante intelligenza; essa legge appartiene allo Spirito ed è proprio per tale ragione che è applicata prevalentemente dai semplici o da coloro che sono intellettivamente meno dotati. Non fu forse detto dal Cristo Gesù : “Beati i poveri in spirito poiché di essi è il Regno dei Cieli”? La prima delle beatitudini da Lui pronunciate.

Ma quanto è distante e diversa la giustizia dell’uomo da quella di Dio!

E quanto diverso era il modo di concepire la giustizia da parte delle culture del passato da quello in cui è concepita oggi!

Nel pensiero greco, la giustizia è un attributo che non concerne solo l’uomo o la convivenza umana, ma l’universo in generale; la giustizia è l’ottemperanza ad un ordine universale, in ragione del quale tutte le cose occupano un posto ed hanno un compito determinato. La giustizia nella Polis e nell’uomo è solo una parte, un aspetto, della giustizia universale.

La Giustizia non può dunque essere prerogativa umana poiché essa verrebbe applicata seguendo un metro misero e miope.

Dunque il parametro di Giusto/Ingiusto non può ricercasi al di fuori di Dio. La Giustizia è Dio; la Legge è Dio. Così anche i mezzi di riequilibrio (i c.d. nessi karmici), dare/dato-avere/avuto, Gli appartengono poiché rispondono al criterio secondo il quale ogni cosa venne posta in “pondere et mensura”. Ciò appartiene ad un criterio di più Alta Giustizia che, a noi estraneo, riesce a conciliare la Giustizia che, nel rispetto della Libertà, scaturisce dall’Amore.

Con lo stesso metro con cui giudicherete sarete giudicati: se giudicherete con clemenza e misericordia (leggasi con amore verso il fratello) con tale medesimo criterio sarete giudicati voi stessi. Dunque la Giustizia e l’Amore in Dio coincidono e si fondono. Queste le regole del sistema.

Ricordiamo le parole del “Padre Nostro”, la preghiera insegnataci da Gesù: “…..rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori…”.

Pertanto colui che si abbandona e segue gli effluvi della sua “egoità” (che ben sappiamo originata dall’influsso luciferico anzidetto) sopporterà le conseguenze della Legge che tutto tende ad equilibrare, mentre a chi comincia a protendersi verso il fratello con amore e lo giudicherà con benevolenza verrà applicato il medesimo benevolo metro di Giudizio poiché così Iddio / Giustizia / Amore volle e statuì!

Tale creatura, nel confarsi alla Legge, inizia la risalita. E’ la prima fase, quella che attiene alla cosiddetta epoca pietrina, che precede la paolina e la giovannea. (n.d.a. Anche qui la citazione non vuole fare riferimento al tempo umano ma a quello della coscienza).

Dalla Lettera ai Galati: “La funzione provvisoria della Legge”:

E allora, perché la legge? Essa fu aggiunta a motivo delle trasgressioni, finché non giungesse il seme oggetto della promessa (il Messia profetizzato dalle scritture?), promulgata per mezzo di angeli, tramite un mediatore (il profeta?) Ma un mediatore non esiste quando si tratta di una persona sola; e Dio è uno solo. La legge allora va contro le promesse di Dio? Non sia mai detto! Se infatti fosse stata data una legge capace di dare la vita la giustificazione si avrebbe realmente dalla legge. Ma la Scrittura ha chiuso tutte le cose sotto il peccato, affinché la promessa fosse data ai credenti per la fede in Gesù Cristo.

Prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi come prigionieri sotto il dominio della legge, in attesa della fede che sarebbe stata rivelata. Cosicché la legge è divenuta per noi come un pedagogo che ci ha condotti a Cristo, perché fossimo giustificati dalla fede. Sopraggiunta poi la fede, non siamo più sotto il dominio del pedagogo. Tutti infatti siete figli di Dio in Cristo Gesù mediante la fede; infatti , quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non esiste poi Giudeo né Greco, non esiste schiavo né libero, non esiste uomo o donna; tutti voi siete una sola persona in Cristo Gesù. Se poi siete di Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.”

Quanto detto sulla Legge troverà un ulteriore approfondimento poco più avanti quando parleremo di “Karma”.

Ma vediamo di esaminare un po’ più da presso, sebbene in sintesi, il concetto di giustizia avvalendoci di una comunicazione:

Che cosa è giusto e che cosa non lo è? Se proviamo ad esprimere un apprezzamento che qualifichi qualcosa come giusta ovvero ingiusta dovremmo ammettere che disponiamo nel nostro intimo di una sorta di modello di giusto/ingiusto; ci rendiamo però conto che in realtà non è così. Ogni apprezzamento giusto/ingiusto da noi formulato non ha carattere oggettivo ma è frutto di una personalissima visione. Si obbietterebbe allora che sovente l’amore è dato come giusto e l’odio, l’invidia, la violenza come non giusti. Sovente si afferma altresì che Dio è sommo Amore e somma Giustizia; ma in realtà non è così! Egli omnia in pondere et mensura posuit e non in iustitia; il concetto di giustizia è infatti concetto meramente umano!

Il modello “Cristo” è indubitabilmente un modello da seguire in perfetta aderenza (per chi vi riesca), ma non è corrispondente all’idea del “iustum” poiché tale idea è solo “fictio mentalis” dell’umano sentire. Infatti ove pensassimo che qualcosa non è “giusta” dovremmo per conseguenza affermare che una parte di ciò che Egli pose non pose in pondere et mensura. Ne discende che, se Egli in pondere et mensura omnia posuit, non ha più alcun senso (se non per economia mentale umana) il discrimine fra giusto ed ingiusto.

In sintesi, quando io do attribuzione di giusto o di non giusto a qualcosa, io do solo miseranda classificazione picciolmente umana in relazione a due cose: l’idea aprioristica – potremo dire di coscienza collettiva – che ho del giusto è il risultato dell’ambiente (uomini e cose, il contesto) nel quale ho vissuto e vivo. Ma non già con riferimento a ciò che è, ‘ché Egli non risponde di giusto o non giusto (attenzione non ingiusto, ma non giusto); in pratica l’accoglimento dell’Uno è caduta dell’idea del discrimine proprio fra giusto ed ingiusto; distinguo cagione di tutti i mali dell’uomo, cagione del dolore e della non accettazione di esso; del sentirsi più o meno vicini all’Alto; del peccato più grave: il giudicare! E non già poiché il giudicare non è giusto, ma poiché il giudicare presume l’idea di rapportare i fratelli alle vicinanze o di discostare verso le lontananze di un’idea di giusto che appartiene solo alla mente umana, ché, in quanto idea dell’Uno non ha realtà.

La chiave è nel comprehendo, non nel compatisco. Io non devo patire e quindi soffrire la scelta in funzione del distinguo giusto (e mi confò), non giusto (e mi discosto), che è atteggiamento del pio, ma non del vicino al vero; ma devo comprehendere, vale a dire prendere in me come vaso che debba traboccare tutto il cuncto creato e dunque non potrò in tale evenienza più non accogliere pur il ritenuto non giusto. E ciò in quanto, de facto, il non giusto per il comprehendens non esiste! Hic claves.

Dio è la fusione, la sintesi tra Amore e Giustizia. Ma è ancora ben poca cosa se vogliamo appena sfiorare un po’ più la conoscenza del Massimo Fattore, ‘ché Dio è indefinibile, ineffabile, irrappresentabile, inimmaginabile per l’uomo che non dispone – o almeno crede di non disporre – sul piano squisitamente organicistico di mezzi adeguati a concepirlo. Lo stesso Kant – massima espressione del pensiero e della speculazione filosofica –  si arresta dinanzi alle idee di Natura, di Mondo e di Dio asserendo che per Quest’ultimo non è dimostrabile razionalmente la esistenza ma non è nemmeno dimostrabile la Sua inesistenza.

Il problema – e non di poco conto ma fondamentale – si pone allorché vogliamo tentare di conciliare la Giustizia e l’Amore con la Libertà.

Il Concetto Di Karma – L’autogiudizio

Le creature della terra seguono le cosiddette leggi naturali. Gli animali sono condizionati dall’istinto che li guida e li obbliga a seguire un comportamento determinato. Non così per noi uomini. Le nostre azioni sono la conseguenza di una scelta che è stata libera. L’autocoscienza e la libertà di cui siamo ad un tempo donatari ci rendono individui responsabili.

Tale responsabilità però non va intesa necessariamente come colpa o peccato laddove il comportamento sia in contrasto con l’armonia. In quest’ultimo caso infatti entrerà in azione la legge karmica che altro non è se non la conseguenza ineluttabile di ciò che con il nostro comportamento abbiamo determinato o causato sia in senso negativo che in senso positivo (da intendere in questo caso secondo l’apprezzamento morale umano).

Tanto è stato detto e chiarito sui c.d nessi karmici nel volume “Il Sentiero del Padre”; concetti che, per chi vi sappia leggere, sono contenuti anche nei Vangeli canonici oltre che in molteplici pubblicazioni sull’argomento.

Qui occorre precisare che Karma deve essere interpretato come legge a tutela dell’armonia e dunque, per ciò stesso, legge che predetermina il destino di ciascun uomo alla stessa stregua dell’ananke (il fato) degli antichi Greci, i quali sostenevano che ad esso si inchinavano gli stessi dei dell’Olimpo. La scelta poi del “come” sciogliere i nodi intrecciati in precedenza è decisa liberamente dal proprio grande Sé al momento di ogni nuova incarnazione.

Va altresì chiarito che ciò che noi siamo soliti indicare col termine karma va inteso non solo come legame negativo (come una specie di prezzo da pagare a risarcimento del torto inflitto), ma anche come legame positivo. Ciò consente di rintracciare anche nelle vite umane successive i legami che hanno unito noi con altri Sé in epoche passate. Se così non fosse ci accadrebbe di ripercorrere all’infinito lo stesso passo che, nella economia della crescita spirituale e della riunificazione amorevole dei grandi Sé, costituirebbe una inutile, se non dannosa, sosta.

V’è allora da chiedersi: chi imporrà il rispetto della legge karmica allo scopo di far salva quell’armonia violata dalla libera quanto improvvida scelta? Nulla e Nessuno imporrà alcunché; siamo e restiamo liberi, ma, in tale libera autodeterminazione, da disincarnati ci rendiamo conto che per progredire dobbiamo sperimentare e vivere e sentire ed affrontare talune esperienze da incarnati… così la scelta, nella consapevolezza dell’errore commesso, sarà di rinascere perseguendo un destino noto solo al grande nostro Sé che lo ha voluto, sia pure per grandi linee, ma che ci porterà ineluttabilmente davanti a quel nodo da sipanare.

Il giudizio sul nostro operato pregresso non verrà imposto da alcuno se non da noi stessi! Un autogiudizio dunque e – se ciò è utile più che necessario – una conseguente autopunizione. Pure, va precisato che talune scelte apparentemente autopunitive altro non sono se non atti d’amore. Un grande Sé per amore di alcuni fratelli incarnati potrebbe per es. scegliere di incarnarsi in condizioni umane assai dolorose al solo fine di stimolare coloro che ama affinché le loro coscienze si sveglino, si pongano delle domande, riflettano sulla loro condizione umana e, risvegliatisi, riprendano il cammino interrotto verso la Luce. E’ il caso di bimbi nati malformati o in condizioni di salute molto precaria; noi ignoriamo quali disegni si celino, ma dobbiamo sospettare che tali destini siano stati liberamente scelti affinché i genitori possano, attraverso il dolore, ritrovare il sentiero smarrito dalla loro intorpidita coscienza.

La propria libertà è tale fino alle estreme conseguenze. In teoria uno spirito può, avvalendosi di tale sua libertà, scegliere di non voler progredire verso la Luce; anzi di annullarsi fino all’ottundimento completo della coscienza e del suo grande Sé, fino alla realizzazione della cosiddetta Morte Secunda di cui abbiamo parlato in precedenza.

Viene solo da dire: “Quale mirabile architettura del Tutto è nel Tutto”!.

Non può non essere sottolineato come solo l’Amore Infinito dell’Uno possa raggiungere vette così vertiginose da donare la libertà; libertà fino alle estreme conseguenze, oltre l’umano concepibile.

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