CAP IX

 

NONO MISTERO

 

 

Le Tre Vibrazioni: Minima, Magna e Maxima (L’oum Pasha)
Manifestazioni Dell’unica Realtà Dell’essere.

 

Entreremo ora, attraverso la seguente comunicazione, in un ambito di conoscenza di particolare complessità, ragion per cui abbiamo preferito astenerci da commenti o spiegazioni che potrebbero essere manchevoli o addirittura fuorvianti, ed abbiamo preferito lasciare il testo originale alla interpretazione libera del lettore.

E’ l’ultimo degli eventi che dà senso a tutti quelli che lo precedono. Id est Mors !.
Senza di esso nessuna cosa umana avrebbe senso alcuno. Ed esso dà significazione e fine ad ogni cosa umana.
Ma, cos’è esso evento?
Simile al sonno, l’evento estremo del vivere rende cieco e sordo e muto l’uomo che vi penetra.
Ogni via di comunicazione dall’esterno viene recisa. Ogni linea di contatto con gli altri che “umanamente” vivono viene interrotta.
Resta….
Cosa rimane, allora ?
Ciò che resta è il mondo interno all’io. Quel mondo di cui nessuno sa dire qualcosa che non sia ipotesi, fantasia, o quant’altro.
Una chiave per aprire un piccolo uscio verso quell’universo a tutti coloro che “umanamente” vivono è rappresentata dalla vibrazione.
Tutto è vibrazione.: dalla visione di un paesaggio, al suono di una sinfonia, al moto della materia nel grande padre oceano.
Chi “umanamente” vive è desueto ormai alla vibrazione.
Ma essa è, rimane, e permarrà, come la base di ogni cosa che esiste, sia qui, che là, che “Altrove”.
Il morire vuol dire dunque perdere la capacità di ricevere linee dall’esterno che vibrano secondo materia; ed all’incontrario, acquistare piena capacità di comprendere Vibrazione Massima.
Non è semplice, dunque attenzione da porgere non poca !
Il cuore centrale e pulsante di chi si deafferenta dal mondo è comprendere la linea – ed entrarvi in sintonia – che dalI’Io va all’io. Ma per comprendere ed entrare nella grande Linea, v’è da ben conoscere i segreti delle minime linee che della Grande sono “immagine e somiglianza” !
Così accade che il tentativo di avvertire la vibrazione Maxima, non sia passato prima dalla Magna e dalla minima.
E’ questo il senso dell’iniziatica via che s’ha da percorrere per giungere verso l’unica meta ch’è il ritorno alla Casa del Padre, meglio alla Reggia da cui partiste e partimmo per scelta consapevole e gravida di coraggio e speme.
So io ch’è vibrazione l’immagine d’un piccolo rivo che mi riempie di serena quiete il cuore ? So io ch’è vibrazione il suono d’arpa che mi volge la mente all’eterno infinito? Sì, oggi, lo so perché la Fisica a me lo spiega con equazioni e la Fisiologia a me lo chiarisce attraverso i meccanismi che regolano la visione e l’udito.
… E le sensazioni ? Chi le dà ? Quale equazione le spiega, o Fisiologo le Illustra ?
No, esse altro non sono che l’avvertire “l’Avvertire” la parte minima o Magna o Massima che esse fisiche vibrazioni contengono; esse restando materiale mezzo di comunicazione di dette vibrazioni alla macchina computazionale.
Ma non v’è modo alcuno di sganciarsi dalla computazionale vicenda dell’uomo se non nel recidere, prima dell’evento di ultima perdita che è la morte, il canale che ci trasmette solo fisica e razionale vibrazione.
Un esempio chiarirà il detto.
Se ascolto delle note non altro faccio che avvertire una vibrazione di qualcosa che fa un certo rumore – per così dire.
Ma se ascolto alcune note in sequenza avverto che v’è un’armonia , se esse lo sono in armonia, e si crea in me una sensazione di piacevole piacere.
Ma – qui il punto – v’è anche chi (rara avis) avverte pure qualcos’altro; qualcos’altro che – ricordate – è null’altro che l’ OUM PASCHA….
In essa Maxima vibrazione v’è il senso delle cose – quelle di qui, quelle di là., quelle dell’Altrove – e nessuno può dirsi cercatore della Verità – e non già della verità – se egli non ha compreso prima ed avvertito poi l’ OUM !
Il mezzo è quello – e vi fu detto – la Musica !
Non già le note od il loro armonico susseguirsi, ma – universale linguaggio dell’Essere – la Vibrazione che esse esprimono e trasmettono, figlia ad immagine e somiglianza della Maxima che Altrove regna e permane.
Non è semplice comprendere quanto detto, poiché v’è in voi confusione grande fra il vibrare inteso come vibrazione ed il senso della vibrazione inteso come anima dell’ Essere, come fornace ed Atanor dell’esperienza dello Spirito, come crogiuolo nel quale si fondono e vivono e muoiono e rinascono ed ancora muoiono per poi rinascere i sé figli liberi del Sé!
Quando – mementote – sarete in grado di avvertire prima ed avvertire poi e nuovamente avvertire ancora la vibrazione delle cose, quel giorno sarà dies a quo del vostro incominciare a Vedere !
Né va tralasciato che non v’è reale visione d’esperienza e di memoria senza l’avere avvertito almeno la minima nel senso di immagine, seppure pallida, della Magna che a propria volta diafana lo è della Maxima.
Così, da fratello, da padre, da amico, da parte di colui che sentiero ha segnato verso quel dì che raggiungere si dee, ascoltate: senza avvertire ciò che invero è nota, non v’è visione di luce, né tampoco di verità. Questa la pietra miliare che segna inizio o fine d’un lungo vostro viaggio da pellegrini nella terra senza tempo degli specchi che vi rinviano la vostra stessa immagine.
Dalla percezione della nota, l’infrangere gli specchi subdoli della ragione computazionale che apre – davvero ed invero – lo sguardo alla Luce che non mente !
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SU  DIO  PADRE

Premessa

Si premetta che il tema è di tale portata che non può essere né esauriente né appagante sotto il profilo religioso o filosofico ed ancor meno razionale, ben consapevoli che non si può dare un’idea, un’immagine di ciò che è insondabile! Quel che segue costituisce pallido barlume di conoscenza raggiunta principalmente per via medianica successivamente approfondita e rielaborata attraverso letture, meditazioni, considerazioni.

Dunque non si ha, né si potrebbe avere, la presunzione di affrontare e sciogliere il grande mistero che avvolge il nostro comune Padre Celeste e di poterne offrire un quadro in toto soddisfacente. Qui si vuole solo tentare di migliorare, seppur di poco, la percezione che noi possiamo avere della Divinità che, purtuttavia, per l’umanità incarnata inconoscibile permane a dispetto delle molteplici rappresentazioni che l’uomo nei secoli si è sforzato di costruire.

Citerò un adagio scherzoso per rendere meglio il concetto:

Dio volle crearci a immagine e somiglianza Sua e l’uomo, grato, ricambiò il dono immaginando, e quindi realizzando, un Dio ad immagine e somiglianza propria.”

Il divertente aforisma sta a significare che l’uomo, nell’impossibilità di conoscere o di avere anche semplicemente un’idea di Dio, lo ha immaginato, nell’arco della storia, in forma umana non potendo disporre di altro e più confacente modello; così nel racconto biblico dell’antico testamento lo ha rappresentato come un Dio “geloso”, “iracondo”, “sanguinario”, “dispensatore di giustizia” attraverso punizioni atroci inferte all’umanità ribelle alle sue leggi. Un Dio non da amare, ma da temere. Una sorta di satrapo capriccioso, a volte benevolo a volte vendicativo.
Immagine quest’ultima che si è stemperata nei secoli, sia pure con difficoltà, dopo l’intervento del Cristo.
Ciò nonostante abbiamo ancora oggi il modello di un Dio antropomorfo, raffigurato, nella iconografia dell’ultimo millennio, come un temibile vecchio con una lunga barba bianca. In qualche caso, al posto del vecchio, Dio è raffigurato sotto forma di triangolo con un occhio al centro, a simbolizzare il suo inspicere attento ed indagatore volto a controllare e cogliere ogni aspetto dell’uomo, (pensieri, opere ed omissioni),  per castigarlo o premiarlo in eterno a seconda del comportamento tenuto nella sua breve vita. Potremmo dire una visione immatura o addirittura fumettistica di Dio.

Ma Dio che cosa è? Dio come è in realtà?

Egli è realmente inconoscibile nella Sua pienezza! Egli è paragonabile solo a Se Stesso dal momento che è unico ed assoluto.

Di Lui  possiamo avere solo vaghi e a volte confusi tratti, potendo avvicinarci alla sua “immagine” a piccoli, piccolissimi passi in un percorso senza fine. Tale conoscenza di Dio così difficile, così graduale è solo il risultato del nostro soggettivo modo di intendere, di percepire la divinità o, forse, di averne coscienza; e siccome siamo gravati dalla limitatezza dei nostri stessi mezzi conoscitivi, intellettivi, intuitivi, ecco che Dio è diverso per ciascun uomo e lo è nella misura in cui diversa è la capacità di ciascun uomo di intenderlo, di percepirlo e, in taluni casi, di negarlo perfino.

V’è da chiedersi perché Dio debba essere da noi considerato Amore e Ordine e dunque perfezione.

Bene proviamo ad immaginare per un istante un Dio del male e del disordine.

Come potrebbe esistere un’entità suprema di tal fatta? Un dio che odia, o un dio che ama il male, porrebbe l’architettura del creato su presupposti tali da provocarne la distruzione e, a causa dell’inevitabile entropia divina, si genererebbe il caos con il conseguente annichilimento della divinità stessa. Dunque, data per accettata l’esistenza di Dio, Egli non può che essere d’amore e di armoniosa perfezione.

Sebbene sotto il profilo razionale l’esistenza di Dio, come avremo modo di vedere, è indimostrabile, purtuttavia non è razionalmente pensabile – secondo le concezioni dell’ateismo – che un’energia cieca, inintelligente, condizionata dalla casualità, possa porre ogni cosa al posto giusto in un ordine che governa il cosmo nel micro e nel macro di esso e che giunge, per saltus, agli esseri dotati di intelligenza, di coscienza e perfino di autocoscienza (io sono).

Certo non possiamo identificare Dio col Cosmo, che è il Figlio semmai, o parte di Esso, perché il Padre – nel cui seno il Figlio è comunque ricompreso – è ancora di più.

Va decisamente sottolineato che ogni disquisizione in cui si fa riferimento alle Tre Persone Divine in realtà non ha un reale fondamento, è una fictio mentalis utile solo alla migliore comprensione dei concetti da parte della umana ragione.

Quanto segue è dunque un quadro, umano, umanissimo, che si ha l’ardire di tracciare su Dio; esso è rappresentazione, pur parziale e carente, della divinità così come ci è stato permesso fino ad ora di comprendere e di percepire, con i limiti e i difetti che affliggono l’umano intelletto.

 

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Dio, idea dell’uomo o realtà ?

Le disquisizioni più o meno erudite circa la “prova” della effettiva esistenza di Dio non saranno tema di questa trattazione, sebbene non si possa fare a meno di richiamare alla mente come la problematica specifica sia stata argomento di dotte opere filosofiche non solo da parte di grandissimi pensatori dell’antichità, come Platone o Aristotele, ma anche di brillanti menti e veri campioni di “logica” di tempi più recenti, quali Leibniz o Kant. Sul piano più squisitamente religioso non va trascurato Sant’Anselmo d’Aosta, che affrontò attraverso il ragionamento e la logica la prova ontologica dell’esistenza di Dio. Ma deve essere in particolare ricordata la teoria di Dionigi l’Areopagita Pseudo con il suo metodo apofatico o della negazione. Sul piano scientifico è opportuno non omettere il grande matematico Kurt Gödel, che dimostrò, attraverso argomentazioni puramente logico/matematiche, l’esistenza di Dio; un percorso di pensiero che, sul piano della logica pura, sembrerebbe ripercorrere quello di Sant’Anselmo d’Aosta.

Agli ostinati negatori dell’esistenza di Dio può agevolmente opporsi il pensiero di Kant, il genio di Kronisberg, il quale giunse alla conclusione della non dimostrabilità dell’esistenza di Dio, ma altresì della indimostrabilità della Sua non esistenza.

Io dirò solo che Dio non si dimostra con la scienza, non Lo si prova con il ragionamento che, essendo prodotto della mente, è strumento limitato ed inadeguato. Dio Lo si sente, Lo si percepisce e ciò avviene allorquando ci si predispone all’ “ascolto” con l’orecchio di un fanciullo. Per Dio si può provare Amore ovvero indifferenza. Egli non vuole imporre Se stesso all’uomo, poiché lo ha concepito e voluto come creatura libera; libera di cercarLo, di sceglierLo, ma anche di rifiutarLo o di negarLo, perfino di blasfemizzarLo. Dio, potremmo dire, è come un bel tramonto: o percepisci l’emozione che vorrebbe offrirti o non la cogli; ma il tramonto, esso, non fa nulla per indurti o, tampoco, costringerti a guardarlo e ammirarlo… eppure c’è.

Inconoscibilità di Dio da parte dell’uomo

Di Dio non possiamo dare una descrizione poiché Egli è “INDEFINIBILE” “INEFFABILE”; non è cioè circoscrivibile in un modello o schema, né in un’espressione matematica, né in un concetto o idea dell’uomo, quale che sia, poiché essa risulterebbe comunque e sempre inadeguata, essendo Dio sempre di più e diverso da essa. Quand’anche Gli attribuissimo un elenco interminabile di aggettivi tutti al superlativo assoluto (adottando in tal modo il cosiddetto metodo aristotelico catafatico o affermativo), non perverremmo ad alcuna conoscenza della sostanza o essenza di Dio per l’inadeguatezza delle attribuzioni. Per ogni aggettivo dovremmo al contrario negare l’attribuibilità a Dio proprio perché insufficiente ed inappropriato.

Giungeremmo così ad adottare il metodo apofatico di Dionigi l’Areopagita secondo cui non è per noi possibile comprendere l’Essenza divina. Dio è inarrivabile concettualmente e filosoficamente. Egli rimane nella Sua “Tenebra Divina” ossia “Luce inaccessibile” all’uomo. Gli strumenti di cui disponiamo (mente, cervello, raziocinio, pensiero) sono inadeguati ed incapaci di comprendere prima e di definire poi. La verità è che non sono “strumenti” idonei. E allora? Dunque solo eliminando le concettualizzazioni – e addirittura lo strumento mente che le costruisce – possiamo avvicinarci a Lui. Ciò sarà solo attraverso il vuoto ed il silenzio interiori.

Solo chi supera ogni forma di conoscenza può unirsi al principio del Tutto, ossia all’Uno inconoscibile: costui, proprio perché non conosce più nulla, conosce al di sopra dell’intelligenza. Quindi nella totale assenza di parole e di pensieri si realizza l’henosis (unione) della mente con Dio. Ciò può avvenire mediante l’estasi, vale a dire uscendo da se stessi ed appartenendo totalmente a Dio.

Va detto che la nostra individualità, attualmente concretizzantesi nella persona di ognuno, è la risultante di un dono offertoci da Dio : quello cioè di poter essere autonomi da Lui ossia separati (o apparentemente tali) per poter sperimentare l’Ego o coscienza individuale; nel dono è infatti insita la libertà, una libertà che ci permette perfino di negare Dio Stesso. Questo ci dice, a ben leggere, la parabola del figliol prodigo. Ma nella parabola è raccontato anche il patire del figlio ed il suo ritorno alla casa paterna. In essa parabola è sintetizzato il destino dell’uomo che tornerà a fondersi con il Padre Santo mantenendo però anche la sua coscienza individuale così da poter essere assieme figlio e Padre, al tempo stesso goccia d’acqua ed Oceano.

 

Come dice l’entità in una comunicazione: “continuando sulla via delle affermazioni negative, alla fine Iddio si traduce in un nulla concettuale, ma all’un tempo si trasforma da nulla concettuale, attraverso il silenzio del nulla, in luce vivida non comprensibile al filosofo, ma all’iniziato che è divenuto siffattamente “illuminato”.

Seguendo la teologia apofatica (negativa) di Dionigi l’Areopagita, ci rendiamo conto che all’uomo non risulta possibile comprendere l’Essenza divina attraverso un processo mentale, logico-razionale.

Per Dionigi, l’impresa necessita dell’attraversamento di tre stadi:

la purificazione (riconoscere i propri peccati, quindi perdonarsi);

l’illuminazione (mediante il raggiungimento del vuoto assoluto privo del sacro – cioè di Quadosh – come suggeriva Bodidharma all’imperatore Wu di Nanchino -);

la consumazione. I primi due di natura intellettuale, il terzo invece è l’estasi in cui, al di là del senso e della ragione, l’uomo entra nell’oscurità mistica (αγνοσία), che è la deificazione.

Si aggiungano le seguenti  riflessioni:

  • Separatezza del Divino (Quadosh) dall’umano; che non è in Realtà, ma che risponde alla esigenza di lasciare intangibile la LIBERTA’ (potremmo anche richiamare il concetto di Dio Immanente e Dio Trascendente di Pietro Ubaldi). Quindi dono amorevole di Libertà da parte del Padre, il quale potrebbe d’un balzo portarci a Lui ma non lo fa per non imporsi a noi. Peraltro, se nella condizione umana della materialità Lo conoscessimo non potremmo non sceglierLo e dunque non saremmo più liberi. Dio, in certo qual modo, si nasconde a noi nella Sua Tenebra Luminosa (tenebra poiché a noi invisibile, inconoscibile).
  • Caduta. La creatura, al termine della “caduta” o “discesa”, non Lo vede più. Sarà così libero di scegliere o meno la riunificazione, il “ritorno” alla Casa del Padre o la permanenza nella “egoità” soggettivizzante, separata (o apparentemente tale). Di qui la realtà dinamica che opera in questo mondo, ossia il contrasto, o lotta, tra le due nature dell’uomo: l’Essenza/Tutto e l’egoica/individuale (cavallo bianco e cavallo nero di Platone).
  • Inadeguatezza del contenitore. Come ci fu detto, sono 4 gli ingredienti del processo iniziatico : “Fonte” , “Contenitore”, “Spazio/Tempo” e “Segretezza”. Qui dobbiamo riconoscere che la nostra mente è microrecipiendario all’accoglimento del Vero. Essa non è in grado di immaginare Dio essendo Egli inconcepibile – come abbiamo visto – indefinibile, ineffabile, ben oltre la percettibilità dell’umano pensiero. Pur tuttavia possiamo sentirLo; abbiamo la possibilità/capacità di avvertirLo comunque (Dio Trascendente), o forse di intuirLo. E’ sconosciuta la via misteriosa attraverso cui ciò avviene. Di certo la nostra struttura fisica ci incarcera e ci rende incapaci di percepirLo attraverso i nostri sensi fisici; ciononostante vi sono dei segnali, indizi, tracce di Lui che taluno è in grado di cogliere.

L’artista, ad esempio, essendo dotato di una peculiare sensibilità (il senso ispirativo), percepisce e comunica poi ciò che ha avvertito attraverso le proprie creazioni. Coglie cioè la vibrazione Media e la traduce in vibrazione minima – che è poi quella della materia – percepibile da chiunque; (basti pensare al compositore di musica o al il pittore).

E’ stato detto: “La massima espressione del bello si trova nelle idee iperuraniche: perciò l’arte non deve più essere mimesis del reale, come la definì Aristotele, ma specchio dell’ideale”.

Potremmo però affermare che due sono sostanzialmente  le modalità attraverso le quali l’artista ci parla di mondi superiori e dunque di Dio: quella del grande musicista che, pescando dal mondo iperuranio, traduce in armonia acustico/fisica la vibrazione che avverte (si pensi a Mozart); quella del grande scultore che, attraverso la  mimesis del reale, imprime nella creazione materica il sentimento, l’emozione o comunque un moto dell’anima, sublimando la materia (si pensi alla “Pietà” di Michelangelo). La prima forma artistica raccoglie dall’Alto le armonie del piano sottile per trasferirle in basso in vibrazioni musicali atte ad essere percepite da qualunque ascoltatore; la seconda, viceversa, dal basso conduce verso l’Alto: la materia informe viene trasformata in modo tale da trasmettere sentimenti, emozioni in chi osserva. Per entrambe, in definitiva, non può che parlarsi di “vibrazione”.

Il Nome di Dio

Rivelazione del nome divino

 13 Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». 14 Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». 15 Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. (Esodo 13, 14, 15)

Il passo biblico è ampiamente noto, ma viene da chiedersi che cosa significhi il detto “Io sono colui che sono”. Rudolph Steiner ha trovato la chiave del significato interpretando la frase così: “Io sono Colui che è l’Io Sono” ; frase che ben si armonizza con la successiva «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi» ovvero “Dirai agli israeliti: L’ Io-Sono mi ha mandato a voi”.

Per “IO SONO” deve poi intendersi l’espressione massima, anzi assoluta, della Coscienza. Dunque Coscienza Assoluta ed Universale del Tutto.  E, attenzione, non disse sono il Padre, o sono il creatore, o sono Iddio ovvero “Il Dio”, e il motivo ci appare chiaro: qualunque affermazione sarebbe stata parziale ed inadeguata; per es. se dico sono il padre, escludo di essere il figlio anche se questi è stato da me generato, anzi sono padre e dunque distaccato dal figlio che creai; analogamente se avesse affermato sono il creatore di tutte le cose o se avesse detto : Io sono Dio (sott.so Voi no). Ma affermando, come fece, di essere l’Io Sono Universale asseriva la Sua essenza unificata, univoca, globale, dell’esser Coscienza assoluta e cioè di tutto, ossia di tutte le cose e di tutte le creature e dell’umanità e di Se Stesso fusi in un unico UNO quale Egli è e permane nella sua compiutezza (come sappiamo il Padre è idea, il Figlio attuazione dell’idea, lo Spirito è la presa di coscienza dell’una e dell’altra.).

Ma è davvero “IO SONO” il nome di Dio, ammesso che ne abbia uno? Stando alle scritture, Dio volle darsi tale nome innanzi a Mosè e per i secoli a venire, dunque dobbiamo concludere che tale è il Nome più appropriato per Lui.

Tuttavia il nome “vero” segreto ed impronunciabile di Dio in definitiva sta ad indicare il significato della sua essenza secondo il massimo della comprensibilità concessa all’uomo con i suoi propri limiti; esso Nome costituisce la vibrazione maxima in cui tutto è ricompreso:

  • è significazione della qualità di Padre ideatore e creatore dell’universo;
  • evoca la sommità di tutte le cose; il vertice della divinità che è perno attorno a cui tutto l’esistente ruota;
  • evoca l’energia tutta e spaventosa del creato nel suo aspetto esteriore ed interiore ossia come spazio, ma anche come recipiendario interiore privo di spazio e di tempo;
  • evoca la potenza del verbo e della parola: il genio che si traduce in vibrazione;
  • evoca la sofferente macerazione che porta all’apprendimento che permette cioè di trasformare (metanoia) la tenebra dell’ignoranza in luce di conoscenza e dunque di coscienza: il doloroso percorso di libertà donata. In altre parole il dono al “sé” (piccolo) di libertà di scelta volta alla conquista (dolorosa) sia per “sé” (piccolo), che per il Sé (grande), di quell’“Io Sono colui che è l’ lo Sono”, del passo biblico dianzi richiamato.

Tuttavia per gli ebrei il nome di Dio era  יהוה , una parola composta da 4 lettere: yodh, he, waw, he corrispondenti alle lettere latine YHWH, o JHVH, ed è perciò chiamato “nome tetragrammo“.

Il tetragrammon ebraico equivale alla tetraktis dei greci.

Giungiamo così alla TETRADE Pitagorica:

  La Sacra Tetractis

Nella scuola pitagorica i discipuli prendevano dimestichezza con il trascendente attraverso i numeri.

La Tetraktis è Sacra poiché in essa è l’armonia, nella quale sono le sirene!” .

Platone nella Republica narrò l’armonia delle sfere nel mito di Er.
Er era un soldato morto in battaglia. Gli dei vollero concedergli di poter ritornare tra i viventi della terra per raccontare agli uomini che cosa li aspetta nel regno dei morti. Nel suo racconto Er illustrò agli umani mortali il Fuso della Necessità (Karma?) : un passaggio obbligato per le anime dei defunti costituito da una colonna luminescente posta tra cielo e terra e dotata di un rocchetto cosmico costituito da otto semisfere concentriche e ruotanti, corrispondenti ai sette pianeti e alle Stelle Fisse. Poste a sedere sui bordi delle semisfere le sirene, ciascuna delle quali canta la nota corrispondente ad un pianeta ed in sintonia con esso. (passaggio ripreso da internet. N.d.a.)

La Tetraktis, era per i Pitagorici la figura più sacra:

Essa faceva riferimento alla perfezione divina rappresentata dal numero “10” ed era raffigurata sotto forma di triangolo equilatero costituito da punti: quattro per ogni lato. La figura ottenuta, comunque si orientasse il triangolo, presentava un punto al vertice seguito da due punti sottostanti, poi da tre ed infine da quattro.

Il Quaternario, era il numero perfetto, che costituiva la radice di tutti i numeri e di tutte le cose sul piano fisico. Secondo i Pitagorici inoltre, essa era duplice: vi era la Tetrade superiore attinente al mondo iperuranio e la Tetrade inferiore attinente al mondo della materia e dei quattro elementi suoi propri (Fuoco, Aria, Acqua, Terra). Quest’ultimo, mondo sensibile, era la rappresentazione di una falsa realtà.

La sacralità della Tetraktis, secondo i pitagorici, perveniva dalla sua capacità di contenere il numero della perfezione: il “10” (1+2+3+4=10 )

somma che ricomprende l’intero Cosmo.

Sulla Trinità di Dio

Dio è Uno e Trino. Così ci insegna la Chiesa Cattolica che però a tale affermazione fa seguire il silenzio trincerandosi dietro il mistero; ciò a rischio di subire critiche ad una religione che si professa monoteista, ma che in effetti viene fatta apparire non come tale.

La Trinità, che è fictio umana, è realtà dell’Essere che è. L’idea è Padre; la Forma è Figlio; la Coscienza conosciuta e conoscente di Sé lo Spirito.

L’idea è in Sé e per Sé; ma essa, in quanto in Sé esistente, non manca di forma che ha realtà nel Figlio; e l’Idea e la realtà di essa non manca di coscienza, l’una di essere, la seconda di essere la realtà stessa dell’Essere: la Coscienza del sapere, meglio nota come Spirito Santo.

Il concetto di Trinità è, dunque, una mera rappresentazione mentale che ci consente di accostarci, razionalmente, al Mistero dell’Uno-Tutto nei suoi tre aspetti: Idea, Forma e Coscienza. Ma Dio è e permane una realtà unica ed immutabilmente perfetta. Tutto è ab aeterno in Lui, in un continuum di immobile perfezione al di là del tempo e dello spazio.

Le guide ci comunicarono:

“L’Uno è il Tutto; in Sé comprendendo anche il non Sé.

Non è lotta fra il Sé e sé, in quanto è volontà del Supremo Omnipotere. Né dunque è bene, o male; ‘ché esso, il bene, ed esso, il male, sono soltanto nostre categorie di giudizio. Siffatte sono legate al nostro avvertire bene e male, gioia e dolore, satisfacimento ed insoddisfazione. Ma le stesse non hanno realtà se non nel nostro ragionare ed economizzare per categorie. La Legge è la Legge, ed essa non è figlia dell’Uno, ma Essa Stessa è l’Uno.

L’evolvere non è tale; ‘ch’è non v’è da evolversi nulla nell’Uno. Bensì noi, che dell’Uno, Uno, Unico ed Indivisibile, siamo parte impartibile, abbiamo sensazione e cognizione di essere il non Sé.

Il Dio trascendente è un “Io Sono” inimmaginabile ed inconoscibile per l’uomo. Ma il Dio immanente, che si manifesta nel Figlio attraverso il creato, è accessibile ai nostri sensi ed all’umana conoscenza.

Se Dio è il Tutto, nulla è al di fuori di Lui. Anche il male e il dolore, che vediamo regnare nel mondo ed in cui si dibatte la nostra esistenza, restano comunque in Lui. Dio conosce la Sua parte di ombra, il contrario del Sé, quel che sarebbe la Realtà se Egli non fosse, attraverso l’esperienza della creatura, che ha fatto una scelta egoica, di libertà, e vive dunque una realtà illusoria di apparente “non essere”, nella quale sembra che Dio non ci sia. Ma la creatura rimane nel seno di Dio. L’uomo comune non se ne rende conto. L’iniziato lo vede e, quindi, lo sa.E’ colui che vede l’uomo che sa.  Non v’è sapere per mezzo di ratio, ma esso sapere è, previo visus, immediato, appercettivo”.

Da una comunicazione del  2000

Tutto è in Lui e nulla è da Lui creato poiché tutti in sé e per sé creato in un continuum di immobile perfezione che non ha né vostro tempo né vostro spazio.

La mente chiede: come si articola il gioco? E’ difficile dire; pur non di meno proverò.

(…) Se l’uno, uno ed indivisibile, tutto in sé e tutte le cose in lui, deve, rectius, è, il tutto, deve, rectius, vuole essere non solo l’idea del tutto, ma la realtà di esso, e così, non creando, poiché avendo creato avrebbe prodotto qualcosa che prima non v’era, è anche il reale essente di sé. Ciò è possibile vedere in ogni cosa. La realtà è energia che a seconda dei livelli è più o meno in quiete; il minerale è più in quiete del vegetale. Ma non v’è un mondo sensibile ed uno ultramondano: unico è, il reale, solo la capacità di avvertirne e conoscerne il rapporto idea-forma denuncia ed indica il confine dicotomico tra le vostre categorie mentali.

La mano è idea e funzione del prendere, ma le sue ossa e tendini e muscoli sono la forma attuata dell’idea e il cervello, che ne conosce attraverso le vie sensitive la presenza, può imporre ordini motori ad essa. Il conoscere la vostra mano e la sua funzione tertium est!

Il discorso si complica allorché vogliamo comprendere come e perché il reale è tale. Esso è perché è, e della certezza che non è illusione del nulla, v’è il capire: io sono e certo so di essere. In ciò la chiave poiché ogni cosa è in sé e per sé l’uno: sì, proprio Iddio. Il quale non guarda il suo creato dalle altissime lontananze, ma è il creato, ed in ogni cosa ripete tutto Se Stesso; non una parte che è distinta dal tutto, ma tutto se stesso. Infatti l’idea è il tutto, ma il tutto è formato in attuazione della stessa idea attuata. Da ciò discende che, ove, come è, l’idea reale – e non fictio – voglia essere pregna di sé in quanto si conosce e sa di essere, essa deve, rectius, vuole, conoscere ogni parte del Sé che altro non è che l’Uno. Ma non vi sarebbe onniscienza se non vi fosse conoscenza di ogni elemento costitutivo del Sé, che si proietta nel sé.

Così a modesto e lontano paragone: provate a pensarvi vostra mano, quale che sia. Poi provate a far pensare la vostra mano come elemento a sé stante dal corpo. Difficile! Poiché è così intimo il rapporto tra una vostra mano e voi che non riuscite a darvi conoscenza della autonoma indipendenza di essa da voi. Ma essa non ha, dunque, da voi, dono di conoscenza e coscienza di sé. Eppure siete, rectius, siamo Iddio, né Sua parte, ma realtà di Esso che in, e verso, Esso protende.

Non è semplice il rapporto del TRE, ma è in ogni cosa. Se scrivi, è l’idea graphos a dare impulso alla penna che è mezzo per il graphos, ed ha una larvata coscienza nella quiete che le molecole che ne formano la materia hanno avuto imposta dal progetto di chi la costruì.

E’ un modo per dire del complesso. Ma la visione è ben più ampia,

Invero non è che Iddio fa Sé realtà per poi conoscersi, come alcuni lontani Padri della Chiesa ipotizzarono, nel Figlio e nello Spirito Santo. E’ il Padre che, Idea di Sé, è realtà di Sé e si conosce come idea e realtà in un tutt’uno che mai aggiunse cosa alcuna a Sé, poiché tutto aveva, né alcuna tolse poiché non necessitato da alcunché che non è, né sarebbe al di fuori di Lui.

Dunque, dove va questo motore immobile? Non è motore poiché ciò comporta l’idea di movimento e dunque di spostamento nella spazio, categoria mentale, né è immobile poiché ciò implica il concetto di spazio e di tempo: T2 dove è giunto il corpo e T1 dove esso era prima. Ciò è solo nuovamente fictio mentalis. In verità la realtà assume livelli diversi di forma e di coscienza. Essa è unica senza spazio né tempo e voi non crediate di comunicare da una vostra a una nostra dimensione, ‘ché non v’è dicotomia dimensionale se non nella vostra categorizzazione mentale.

Io, tu, egli, voi, sono categorie poiché ogni cosa presenta individualità che è idea di essa, materialità che è forma attuata dell’idea e spirito che è conoscenza di sé, ripetendo la formula del tre. V’è chi avverte più o meno la possibilità di comunicare verso e da realtà individuali più o meno quiete energeticamente: chi ha capacità di medianità ben conosce. Ma a tutti è dato ciò e tutti arriveranno a ciò. Quando la morte (il cui conoscere la realtà è il vero trauma dell’infante) sorprende, v’è solo rapida trasformazione della forma attuata in idea del sé che assume conoscenza di sé. In pratica il Figlio, carne, si sacrifica per la conoscenza del Padre. Ed il Padre, che si conosce, ma in ogni parte di sé, che, rectius, non è parte (anche se per ora accettate l’apparente contraddizione ‘ché lo dovete), dicevamo il Padre ha offerto dono di conoscenza che non era prima assente e poi presente dopo esperienza di incarnazione, ma lo era già prima dei secoli della mente dell’uomo e lo sarebbe stato, in quanto non può esserci un prima del fare e un risultato per l’avere fatto. Se no avremmo un migliore Uno dopo un precedente che, nello statu quo ante, mancava di quell’esperienza. Vi pare?

Ordunque non v’è sforzo di divenire, ma solo realtà dell’essere che conosce sé nella sua realtà completando la sempre completata armonia dell’Uno.

 

Dio Creatore

Da una comunicazione del 07/08/1990

Dunque come pensò Iddio l’universo?

Egli non poteva, poiché non voleva, contraddicendo la propria natura, pensare Se Stesso immobile per infinito eterno prima di creare, né poteva, poiché non voleva contraddicendosi, pensare di creare e terminare di creare per altrettanta eterna immobile infinità.

Così, dunque, Egli creò folgorando Sé Stesso da sempre, come creerà sempre.

E’ visione lineare ipotizzare inizio e fine. Carcerare Dio in un “e” (matematico) è tipico del ragionamento lineare.

Ma Dio non diede creazione a ciò che è differente da Sé; né diede creazione a ciò che già era.

Nel primo caso avrebbe creato ciò che non può essere in quanto nulla vi è al di fuori di Esso né è pensabile in non-essere. Nell’altro caso avrebbe creato per sezionarsi o per degradarsi: assurdo il primo poiché Egli perfezione assoluta; assurdo il secondo poiché non degradabile, pur potendo, ciò che è perfetto, in quanto negazione della perfezione stessa. Ed allora?

Da sempre, malo avverbio per definire ciò che con pensiero lineare pensate il “sempre”, Egli crea per atto d’Amore. Ma cosa vuol dire? Egli, Uno Assoluto, può folgorare da sempre Sé, Trinitizzandosi in unico Trino Eterno Solo. Difficile a comprendersi senza infinitesimo esame dell’infinito particolare che converge integrandosi nell’Eterno Unico assoluto. Egli così genera da Sé Se Stesso che, compreso in Sé per atto d’amore, definisce libero nel Pensiero Creativo, offrendo possibilità di scostarsi da Sé per filiazione e parte assolutamente integrante.

Assurdo definire il Sé senza il sé extrapolatum. Eppure così è. Ma la libertà di crearsi spazio nella trina sede di Colui che è risulta sforzo acciocché essendo, Egli diviene per Lui  (riteniamo debba intendersi per mezzo di Lui) sé pensante e distante quanto Egli consente, Egli vuole ed impera a sé. Ciò in eterno. In quanto non v’è logica lineare a piccoli passi su di una funzione costante; ma integrazione infinitesimale su grande insieme universale.

 Così lasciate alla logica umana i percorsi dall’inizio alla fine di un percorso a tappe: tale percorso, reincarnazioni comprese, è una piccola superficie su assi cartesiani, che definisce “a” area di lato noto e l’altro infinitesimo, e chi sa di ciò in numeri può comprendere.

Ma colui può comprendere come sia detta superficie, infinitesima da chiudere in integrale tra infinito a capo ed infinito a pèdice.

Difficile soluzione, oh chi si intende sa! Eppure il piccolo infinitesimo di lato noto e lato puntiforme, racchiude più e più vite!. E (…) per intanto cercate quella superficie.

Iddio volle creare non le infinite superfici ma l’integrale universale delle leggi che governando l’universo, in quanto da Lui governate, sono governanti di se stesse. Da tali leggi giungono le nostre appena intraviste: esse eterne ed immutabili nell’universo.

Dalle leggi l’Energia d’amore prende obbedienza e governo poiché Se Stessa impera a Sé di obbedire al parto proprio. L’energia, per passaggi che tentai farvi intravedere, prende forma e corpo. Là ove forma e corpo voi ritenete fisici essendo però tutto fisico in quanto reale.

Qualora prendeste la vostra terra e toglieste i vuoti, essa si ridurrebbe ad un pomo di materia di massa enorme. Materia che è energia: quanto più si acquieta il sistema tanto più definite materia il reale. Quanto più è eccitato il sistema tanto più sfugge alla misurazione che è di voi credendo voi trattare di spirito od altro. Tutto invece è reale quanto è. Così ciò che è assume stati che per comodità di economia povera umana diciamo per voi materia o spirito: unica cosa indivisibile di un unico Uno Solo. trino e partito (leggi: ripartito) in quanto vuole e comanda creando.

Onda è materia: unico efflusso d’amore creativo da cui proviene ogni cosa per ogni dove di ogni tempo.

E’ il limite vostro nemico.

Cosa credete essere eterno? Una quantità di tempo? E’ una quantità che, incommensurabile, ha un limite. E l’infinito? E’ colà dove termina il vostro pensiero di pensare. E’ un limite. L’infinito è là dove non c’è più spazio pensabile ma l’integrazione dell’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande senza limite. Così tempo e spazio.

Ma a cosa questo organismo infinito ed eterno?

Dio potremmo pensar essere necessitato a produrlo. Ciò non è poiché è volitivo l’atto che dando leggi che governano, rendono Dio pieno di Sé, Essere pensante immobile e creativo, Sé restando immoto e perfetto nel trino Suo creare ripartito in Se stesso diveniente sé medesimo creato. Dalla libertà di Sé divenire sé pensante e libero obbediente alla legge da Sé creata viene lo spirito come lo conoscete d’ogni uomo e d’altri che non sapete avere. Ma nel partire Sé, creando sé pensante e libero, Egli vuole e non deve, poiché nulla deve se non a Se Stesso, nulla non a Sé richiedente poiché perfetto.

Se dunque, dicevo, Sé creante sé creato vuole dare a sé la libertà di volere per fruire di ciò che Egli è, egli deve perfezionare sé fino alla coscienza di Sé.

Un infinito, eterno disegno di libertà. Sarebbe molto semplice comprenderlo se teneste nella mente la comprensione di un immediato reale: la Trinità del Sé.

Il dolore giunge conseguente anche in logica lineare: chi ha sofferenza prende coscienza poiché nell’errore e nel vedere l’errore di sé , si accosta alla conoscenza di sé e di Sé.

Lontano dai bagliori del mondo l’uomo ritrova Sé, riunendosi a Sé.

Ecco il semplice significato del dolore, da Lui concesso a Sé perché il sé potesse essere libero di ricongiungersi nella partizione infinita e trina. Così il Figlio dimostra la operante realtà del potere ciò e lo dimostra da sé e da Sé, carcerando il Sé nel sé.

Ma…fratelli lontani, lontani salvo qualcuno, come essere Sé e non soltanto sé, se non si crea?

Ma creare è amore di Sé per sé.

 

Giustizia e misericordia di Dio

In Dio mirabilmente si sposano, come abbiamo visto in altre sedi, i due concetti di giustizia e di misericordia apparentemente inconciliabili tra loro.

“Omnia in pondere et mensura posuit Deus” : Dio creò e tutto pose secondo pesi e misure acconce. Dunque Egli creò secondo criteri di armonia e perfezione.

La stabilizzazione dell’armonia riposa perciò nelle leggi che la sorreggono.

L’uomo che gode del dono di libero arbitrio è per ciò stesso anche responsabile delle sue scelte e quindi di quelle sue azioni che turbano l’armonia del tutto. Di qui la necessità di leggi che ripristinino l’armonia violata. (v. legge del Karma)

E’ concetto consolidato nella maggior parte delle religioni di tutti i tempi e latitudini che l’uomo, al termine della sua vita terrena, venga giudicato per le opere compiute nel corso della sua esistenza e, a seconda del suo comportamento, venga o condannato ad una pena o assolto e gratificato con un premio.

In tutte le religioni il potere di giudicare è proprio di Dio stesso che è per definizione “Summa Iustitia”.

In questa sede noi sosteniamo che, al contrario, Dio non giudica nessuno, anzi ama, ed ha misericordia, potremmo dire, per il figlio che ha sbagliato e, peccando, si è contrapposto alle leggi universali che, violate, impongono il risarcimento che si traduce in dolore.

Sorge allora conseguenziale il quesito: chi formula il giudizio ?

Il giudice del comportamento tenuto da ognuno di noi in vita siamo noi stessi! E’ cioè il nostro grande Sé, pars divina, che giudica il comportamento del piccolo sé.

Ma quale sarà il criterio di giudizio? Quale il metro adottato? Una misura elastica e benevola o rigida e rigorosa? L’una o l’altra a seconda di come noi fummo in vita; così come giudicammo in vita così saremo giudicati! E se fummo benevoli e tolleranti verso il prossimo lo saremo anche verso noi stessi, ma se fummo rigidi e severi, tali saremo anche verso noi stessi. E se, non giudicammo, non saremo giudicati (come ci insegna Cristo). Dunque legge del Karma che mirabilmente si adatta all’individuo e, adattandosi, opera in piena ed esauriente IUSTITIA DEI. Se inoltre saremo capaci di perdonarci, saremo perdonati e se sceglieremo liberamente di ritentare ancora la prova del mondo saremo accontentati, perché è proprio a questo punto che la misericordia del Padre Santo interviene con la Grazia!

 “ Tutto , Padre Altissimo , ha inizio dalla Tua Misericordia

e tutto ha termine nella Tua Misericordia ;

Ogni Grazia ha origine dalla Tua Misericordia

e l’ultima ora è sempre , per ciascun uomo ,

ricolma della Tua Misericordia ”

 

Peccato originale

Dagli insegnamenti dei Maestri nascosti:

(…)

La Grazia si collega al PO che, non è blasfemia, è in Dio. E’ IN DIO,  perché solo così viene denominata quella che indistintamente avete fino ad oggi definito parte oscura o male di Dio. Se Egli è il Tutto, ben lo sapete, in questo Tutto deve esservi anche la negazione del Tutto. Dunque l’Uno contempla Sé ed il non Sé.

E come in una vecchia comunicazione fu detto che solo il bene v’è ed il male appare dall’assenza del bene, del pari diremo che il male appare dall’allontanarsi da Dio come bene assoluto. In pratica – ed è altro concetto che svilupperete in contraddittorio con quello dell’Actio in amore – tutti i peccati, che appartengono agli spiriti, sono commissivi in proprio attraverso omissione: è il non factum che diventa l’alium factum, poiché io condurrei ogni mio agire secondo volere di Dio e solo per libera scelta posso allontanarmene, ben sembra ch’io faccia qualcosa di male, ma quel fare qualcosa di male è solo l’avere omesso di fare il bene e per volontà mia – se sto dentro Iddio come unità –  avrei compiuto.

Allora Dio partisce Sé, ricordate, negli spiriti umani ; ma così come l’idea di Dio viene all’umile uomo fatto di terra da Dio, gli viene anche donata la parte del non Sé di Dio. Questo e solo questo è il PO perché in sé e per sé origine della creatura in quanto espressione ed immagine di Dio. Ma mentre Dio sceglie Sé e sempre Sé – non perché sia giusto scegliersi ma perché va da se che sia così in Sé e per S – l’uomo ha –  e qui è la Grazia che si sposa ed aderisce alla parola – Libertà di scegliere se confarsi e quindi agire secondo la parte di Dio che è in Sé o di non agire ed omettere la condotta che dovrebbe avere aderendo a Dio, facendo sì che di fatto agisca altrimenti con il non agire secondo Dio.

Bene. Dati questi spunti di riflessione, viene da illustrarsi il problema dell’Isola dei morti   ((1. Si riferisce al dipinto di A. Boëcklin quale rappresentazione simbolica dell’inferno, del luogo cioè in cui sarebbero sepolti gli spiriti morti alla coscienza.)) come momento perenne, sganciato dal tempo e dallo spazio  e chiaramente allegorico, della Misericordia di Dio e della richiesta del perdono. Quando uno spirito che ha seguito il non agire secondo Dio ha – di fatto omettendo ciò che era il dettame della parte di Dio in Se – ha agito, si diceva, in malo modo, allora egli ha praticamente cambiato rotta e si è – potremmo dire per intenderci – autoannullato portandosi così verso la dissoluzione della parte di Dio che, non potendo essere distrutta, sfugge e fugge da LUI cacciata.

Solo un atto d’amore può ridarti la coscienza, ma attraverso l’unica chiave che dà la coscienza della conoscenza e la conoscenza della coscienza : il dolore della Croce, dove il Logos  incarnato ha preso su di Sé i Peccati Originali del mondo. Ed ecco la discesa agli inferi/limbo coloro che prima del battesimo, intendendo per battesimo il momento in cui entri nella coscienza, dicono i cattolici della chiesa. Ma ciò vale per tutti coloro che, pur non appartenendo ad alcun rito e ad alcun credo, volgano verso l’alto il proprio sguardo a Dio.   Cristo da quella Croce ridona la coscienza perché ristora lo Spirito e ricongiunge – cacciato dalla volontà dell’uomo – nell’uomo ridando ancora la possibilità di scegliere tra il guardare la parte bona e la parte mala . E’ questo il meccanismo che dobbiamo pur sempre intendere come un momento che viene vissuto al di là del tempo e dello spazio e senza parametri che possano aderire al nostro tempo ed al nostro spazio che si ritrovano sull’isola  ((2. Qui fa riferimento allegorico al dipinto di A. Boecklin “L’isola dei morti” più volte richiamata in altre occasioni.)) . Quando un’anima sceglie, e sceglie di riprendere la parte di spirito di Dio che ritorna a permearla, vede… vede l’orrore dell’avere da sé cacciato Sé, come in una sorta di cupio dissolvi e da lì la sofferenza per la perduta   realtà. Da questo momento ancora la scelta perché ancora vige, persiste, impera il Peccato Originale ma senza il quale non vi sarebbe la grazia e la libertà di poter scegliere. E solo accogliendo la Parola del Cristo si può, dal Suo respiro verso il Cielo spinto, giungere alla Nube ((3. Nube: immagine allegorica è sinonimo di Ade, luogo di pausa, di riposo, di riflessione per le anime di coloro che sono morti nella carne.)) e solo da codesto altissimo loco che poi – ma appartiene ai grandi misteri tra i grandi – può, sarà, si verificherà quella che avete impropriamente per l’isola definito come Resurrezione. Ma di ciò si parlerà in altro tempo.

Quando Luca, a differenza di Matteo, scrive che un padrone aveva 10 servi cui diede 10 mine, una cioè a testa. Essi ritornarono chi avendole moltiplicate ed uno portando la stessa; quel padrone dirà che chi ha molto sarà dato, ricordate, chi ha poco sarà tolto anche quel poco. Perché quel colui avrà non fatto nulla; il non avere agito cioè secondo dettame  della propria legge interna divina in quanto egli stesso parte di Dio, ma avere obbedito all’inane torpida pigrizia del non agire in amore omettendo dunque di seguire la legge divina che è legge che egli stesso si è dato. “E coloro che non vorranno seguire le mie leggi e che non vorranno da me essere governati siano fracassati da pietra”. Così Luca. Il “fracassati da pietra”, termine durissimo, viene utilizzato perché è lo spirito che se stesso annulla allontanandosi, portandosi verso un nihil di nulla che solo nei sepolcri tenebrosi dell’isola troveranno – fino a possibile pur sempre nuova scelta – albergo triste ed oscuro .

Dal Vangelo apocrifo di Giovanni:

L’inesprimibile Uno

L’ Uno governa tutti. Nulla ha autorità  su di Esso. È il Dio. È Padre di ogni cosa, Santo.

L‟invisibile su tutto. È pura luce incontaminata, in cui nessun occhio può guardare.

L’Uno è l‟invisibile Spirito. Non è giusto pensare a esso come un Dio o come Dio.

È più di un Dio giusto.

Nulla è sopra di esso.

Nessuno governa Esso. Dal momento che tutto esiste all’interno di esso non esiste all‟interno di nessuno.

Dato che non è dipendente da qualsiasi cosa, è eterno.

È assolutamente completo e non deve quindi niente a nessuno.

È la perfetta luce.

L’Uno è senza confini nulla esiste al di fuori delle sue estremità, l’Uno non può essere indagato.

Nulla esiste a prescindere dalla sua verità.

L‟Uno non può essere misurato poiché non esiste nulla di esterno che misura Esso.

L’Uno non può essere visto, poiché nessuno lo può immaginare.

L’Uno è eterno poiché esiste da sempre.

L‟Uno è inconcepibile poiché nessuno lo può comprendere.

L‟Uno è indescrivibile, poiché nessuno può mettere tutte le parole su di esso.

L’Uno è luce infinita, Purezza, Santità, Immacolato.

L‟Uno è incomprensibile. Perfettamente libero dalla corruzione.

Non è “perfetto”, non è “santo”, non è “divino”, ma superiore a tali concetti.

Né materiale né immateriale, né immenso, né infinitesimale. È impossibile specificare per quantità o qualità poiché va oltre la conoscenza.

L‟Uno non è un essere tra gli altri esseri. È di gran lunga superiore, ma non è “superiore”.

È al di fuori dai regni dell‟Essere e tempo.

Tutto ciò che è all’interno dei regni dell‟Essere è stato creato e tutto ciò che è nel tempo è stato assegnato ad Esso.

L‟Uno non riceve nulla dal nulla, ma apprende semplicemente se stesso nella propria luce perfetta. L’Uno è maestoso. L’Uno è l‟incommensurabile maestà. Capo di tutti i reami. Creatore di tutti i regni.

È Luce. Creatore di luce.

È Vita. Creatore di vita.

È Beatitudine. Creatore di beatitudine.

È Conoscenza. Creatore di conoscenza.

È Bontà. Creatore di generosità.

È Misericordia. Creatore di misericordia.

È Generoso. Creatore di generosità.

(E non “possiede” queste cose) Emette fuori la luce oltre misura, oltre ogni comprensione.(Che cosa posso dire?) Il suo regno è eterno, tranquillo, silenzioso, di riposo, innanzi a tutto.Egli è il capo di ogni reame sostenendo ciascuno di essi attraverso la generosità.

Dio è immanente o trascendente?

Egli è entrambe le qualificazioni. Egli non potrebbe essere solo immanente poiché carcereremmo Dio in una realtà panteista, e peraltro non potremmo estromettere Dio dal suo stesso creato e pertanto non possiamo non dire che Egli lo permei interamente con la sua presenza. Né potrebbe essere solo trascendente, ossia non è accettabile una divinità distante e staccata dalla sua stessa creatura. Un Dio lontano che guarda dalle sue altezze il prodotto della sua azione creatrice.
Dunque dobbiamo concludere che Dio è trascendente ed immanente insieme. Tutto il creato è in Lui ma Egli non si identifica con esso; Egli è ancora di più ed oltre il creato.
Dio è Amore nell’espressione inconcepibile umana che lo porta ad amarsi così tanto e così intensamente e così teneramente da – potremmo osare di affermare – autofecondarsi e partorire  (cosa altrettanto inimmaginabile per mente umana) il Figlio. E attraverso il Figlio amato che Egli si conosce e prende piena coscienza di Sé: la massima espressione di coscienza che supera ogni immaginazione, si volle appellare Spirito Santo.
E il Figlio e lo Spirito Egli Padre racchiude ed abbraccia in Se medesimo. Da cui l’errore di una triade divina che  tale non è poiché fusa in un unicum: l’unica unitaria unità, cioè Dio!
Qui si innesta il grave problema dell’uomo (la creatura che ha coscienza di sé) che racchiude in sé scintilla divina. Essa suprema scintilla possiede ogni potenzialità che la parifica a quel Dio cui aspira ricongiungersi. Più l’uomo percepisce Dio più lo conosce, e tanto maggiore dovrebbe accendersi in lui il desiderio di assomigliargli. Dunque imitare Dio nella parte che conosciamo ci consente di essere come Lui (sia pure per quella parte a noi nota). Ecco il percorso. Tanto più ci comportiamo in modo difforme, tanto più ci allontaniamo, e se ci allontaniamo del tutto possiamo giungere all’annichilimento della nostra autocoscienza (la seconda morte: quella dello spirito).

Prendendo a prestito la terminologia kantiana che indicava Dio come “Cosa in Sé” potremmo concludere affermando:

 

 

 “LA COSA IN SE’

LA   COSA   IN   E’    IDEA  .
ED  E’ IDEA   IDEATIVA  E  COSTITUTIVA  ,
UNICA  E  SOLA  :
D I O  .

LA   COSA   IN   SE’  SI  PENSA  ;
ED  E’ FORMA  E  CONTENUTO  ;
ED  E’ GIUDIZIO  DI   SE’  ;

ED  E’  REALTA’  CHE  E’  UNIVERSALE  ,
NEL  TEMPO  E  NELLO  SPAZIO  ,  SENZA  TEMPO  E  SENZA  SPAZIO  .

E  DELLA   C O S A   IN   SE’   SIAMO  PARTE  ,
COLORO  CHE  NELLA  VITA  VISSERO  ED  OLTRE  LA  VITA  VIVONO  ,
COLORO  CHE  NELLA  VITA  VIVONO  ED  OLTRE  LA  VITA  VIVRANNO  ,
COLORO  CHE  NELLA  VITA  VIVRANNO  ED  OLTRE  LA  VITA  CONTINUERANNO  A  VIVERE  ;

TUTTI  ,  QUALE   IDEA   DELLA   COSA   IN  SE’  COME   IDEA   DI   SE’  UNICA  E  SOLA  .

I N   U N O  :
D I O

L’interpretazione è strettamente correlata alla terminologia adottata dal grande filosofo E. KANT. Facciamo alcune premesse che torneranno utili appresso:

1^) Consideriamo due elementi:

a) La Realtà;
b) L’osservatore della Realtà. Potremmo descriverli schematicamente così:

Fig. n. 1 L’osservatore della realtà
Fig. n. 1 L’osservatore della realtà

Ovviamente l’osservatore è racchiuso nella Realtà facendone integralmente parte, ma al contempo è da dire che egli, proprio in quanto osservatore, deve indirizzare la propria attenzione verso tutto, Tutto, dunque anche verso se stesso.

Allora l’osservazione non potrà essere solo esterna al nostro soggetto ma anche interna.

2^) Altra premessa: se la Realtà possiede una sua obbiettività, non per questo è detto che l’osservatore la percepisca come tale, anzi, egli la percepirà secondo (e limitatamente) i propri mezzi o, se si preferisce, secondo la capacità di osservazione di cui dispone. Kant stesso fa l’esempio dell’individuo che indossi un paio di occhiali – che non può togliere – le cui lenti siano colorate: costui vedrà il mondo circostante filtrato dal colore di quelle lenti.

3^) Terza premessa: L’uomo ha sempre pensato di dover conformare e dunque adattare la sua mente alla percezione degli oggetti (visione in cui la mente è passiva mentre gli oggetti sono attivi); al contrario è necessario ribaltare tale concezione e concludere che sono gli oggetti – ossia la percezione che abbiamo di essi e dunque della realtà – ad adattarsi agli “schemi aprioristici” della mente umana (ossia mente attiva ed oggetti passivi).

L’oggetto diventa il frutto di un’attività mentale; l’uomo non è una spugna che assorbe passivamente il contenuto della realtà; non è infatti una “tabula rasa”; l’uomo e le sue strutture mentali intervengono attivamente a creare l’immagine degli oggetti. Dunque una rivoluzione copernicana: non sono gli oggetti a produrre un certo effetto nella mente passiva, ma è la mente attiva a produrre gli oggetti, i quali sono passivi in relazione a tale produzione mentale.

Richiamo l’esempio del tramonto. Un gatto rimane indifferente ad un tramonto particolarmente suggestivo contrariamente a quanto accade ad un uomo adulto. Quest’ultimo ne percepisce la bellezza dei colori, il gioco di luce con le nuvole che si stagliano contro di esso, i riflessi del sole morente sul mare… e si commuove. In realtà il tramonto è identico sia per il gatto che per l’uomo, anzi, il tramonto di per sé non è né bello né brutto e neanche suggestivo… Ma allora?

I bambini hanno la capacità, (grazie alla loro fantasia – dicono i grandi-) di conferire ad un oggetto connotazioni diverse: un bastone diventa per es. una spada, un barattolo un pallone da rincorrere e prendere a calci, etc.

Tutto quanto precede rafforza il ragionamento che ci porta inevitabilmente ad una conclusione: ciò che noi osserviamo non è Realtà autentica ma una rappresentazione di essa filtrata da… noi stessi, ossia dalle nostre categorie mentali! Ciò perché la nostra coscienza opera sulla realtà un processo di mediazione che impedisce necessariamente l’accesso alla fonte autentica della Realtà. La mente opera sulla Realtà in sé una serie di interpretazioni secondo le proprie caratteristiche. Tali interpretazioni impediscono di fatto di attingere alla reale conoscenza della Realtà. Perfino i testimoni di un medesimo accadimento racconteranno lo stesso episodio in modo simile ma mai uguale.

Kant ha operato una vera e propria radiografia della struttura e del metodo che l’uomo segue nel processo conoscitivo ed una parte del suo studio ci può soccorrere attraverso la seguente schematizzazione:

Estetica Trascendentale      (studia le forme a-priori)

1) Intuito : Spazio e Tempo (intuizioni pure o forme della sensibilità; esse sono forme a priori del soggetto/osservatore). Spazio e tempo dunque non esistono in sé ma sono soltanto in noi. Concludiamo dicendo che la “forma” della conoscenza sensibile dipende da noi, il “contenuto” no, ci è “dato”.

Logica Trascendentale       (studia l’origine dei concetti ed i concetti a-priori)

  • Intelletto : Analitica Trascendentale (facoltà di giudicare, cioè unificare il molteplice sotto una rappresentazione comune).
  • Ragione : Dialettica Trascendentale (facoltà di sillogizzare, cioè l’intelletto si spinge oltre l’esperienza possibile); critica dell’intelletto nel suo uso iperfisico.
    1. Psicologia razionale che ha per oggetto l’Anima ed i suoi paralogismi;
    2. Cosmologia razionale che ha per oggetto il Mondo con le sue antinomie,
    3. Teologia razionale che ha per oggetto Dio quale ideale della ragion pura.
Fig. n. 2 Realtà Trascendente ed immanente
Fig. n. 2 Realtà Trascendente ed immanente

La Realtà autentica rimane inconoscibile alla mente umana.
La Realtà inconoscibile è chiamata da Kant : “La Cosa in Sé”.

Il Noùmeno (dal greco noòumenon = ciò che viene pensato) rappresenta una sorta di Idea ed indica tutto ciò che non può essere percepito nel mondo tangibile. Il Noùmeno si riferisce ad una realtà inconoscibile ed indescrivibile che si trova al fondo dei fenomeni che osserviamo al di là delle apparenze (di come cioè le cose ci appaiono).

Per Kant il termine Noùmeno e quello di Cosa in Sé non sono sovrapponibili poiché Noùmeno è idea della ragione, e come tale risiede nella mente umana; esso è il modo in cui il pensiero cerca di rappresentarsi  ciò che va oltre la sua capacità di conoscere.

 

La Cosa in Sé è ciò a cui il Noùmeno si riferisce.
Così inteso il Noùmeno diviene il messaggero, il tramite, il medium, tra la Cosa in Sé e la mente umana (Ragione/pensiero).

Già nel pensiero dell’antica Grecia era stata concepita nel Pantheon degli dei una divinità di grande rilevanza: Ermes. Egli aveva la funzione di messaggero degli Dei, era cioè il tramite tra il mondo iperuranio e la terra dei mortali, ma non solo; egli si muoveva in uno spazio comprensivo di più realtà: l’Olimpo, gli uomini e l’Ade. Ermes era portavoce felice e psicopompo, guida benefica agli ordini dell’Olimpo, ma anche garante dell’irrevocabile legge del trapasso.

Il concetto profondo che volevasi rappresentare in passato – e che con Kant è stato illustrato nel pensiero filosofico moderno – trova in Ermes la figura più calzante. Il Noùmeno/Ermes viene così raffigurato dal pensiero dell’antichità nel modo più adatto e comprensibile per l’uomo attraverso un semplice processo immaginativo: la divinità dotata di velocità fulminea (viene infatti raffigurata in dipinti e sculture con ali ai piedi) che porta messaggi dall’Olimpo all’uomo.

Alla luce dell’antica saggezza dovremo allora collocare il Noùmeno portatore dell’Idea – ma anche nunzio (l’Ermes) del divino trascendente – nel c.d. corpo Sottile, quello cioè che si frappone tra il corpo Causale e l’ordinario e ne media l’interscambio.

Ciò che nell’antichità era accettato su un piano religioso non poteva certamente essere inquadrato da Kant la cui sublime indagine non voleva si estendesse al di là della mente e del pensiero umani; sarà necessario allora apportare una variante sostanziale – e di non indifferente portata – alla tesi dell’eminente filosofo:

proveremo ad aggiungere una nuova “categoria” che inseriremo però non nella mente umana – e dunque nel corpo fisico talché si sommi alle già formulate ed elencate da Kant – bensì nel corpo sottile o eterico. Essa Categoria speciale – ed unica fra le altre – del Sottile è quella che definiamo della “Super-percezione” o “Appercezione”; è questa categoria che dà contezza e percezione immediata della Cosa in Sé. E’ questa categoria che spesso riesce a comunicare con il corpo fisico (la mente) travalicando le dubitanze della ragione ed offrendoci sprazzi di verità, di certezza.

Del resto se l’Idea di Dio appartenesse al pensiero, come risultato della elaborazione della mente, tutti gli uomini farebbero professione di fede in una Entità superiore; ma ciò, come sappiamo bene, non è; non pochi sono gli atei che si professano tali e che confutano, con argomentazioni razionali  talvolta anche vigorose, l’esistenza di una divinità.

La Cosa in Sé rimane inconoscibile su un piano fisico perché va oltre l’esperienza, ma non va confusa con il Noùmeno, poiché si cadrebbe nella illusione di conoscere ciò che per definizione sta fuori della conoscenza. Il pensiero non può mai uscire da se stesso per verificare la congruenza delle proprie rappresentazioni con le cose rappresentate. Qualsiasi appello alla realtà come indipendente dal pensiero si svolge inevitabilmente dentro al pensiero stesso.

Dunque come fare? Tutto ciò ci porta inevitabilmente verso le filosofie e le tecniche o discipline che cercano di raggiungere il “non-pensiero”; ciò proprio per eliminare quel filtro o, se si preferisce, quegli “occhiali” dalle lenti colorate che si frappongono fra la Realtà Metafisica – ma anche fisica – e il c.d. osservatore.

Per Kant Dio appartiene alla Cosa in Sé e quindi rimane inconoscibile all’uomo (affermazione che comunque ci ricorda la tesi di Dionigi l’Areopagita). Di Dio non potrà dimostrarsi né l’esistenza né l’inesistenza: Egli è semplicemente al di là della possibilità conoscitiva umana; non si manifesta a noi come fenomeno sensibile; se esiste, esiste come entità a Sé, e quindi “relegata” al mondo dell’oltre-sensibile, inconoscibile ai sensi; certo ai sensi, poiché sono essi deputati alla percezione del mondo fenomenico.

Se è vero, come è vero, che l’osservatore guarda ad una realtà velata, pure non può sottacersi che tale realtà, percepita attraverso i sensi fisici – e dunque percepita in modo parziale o addirittura deformato -, può evocare in lui una sorta di “ricordo” che potremmo definire “MNESIA”.

Se ascolto una sequenza di rumori fatta di vibrazioni, percussioni e suoni, potrò percepire questi e non altro; ma se dette vibrazioni si susseguono in sequenza ritmica ed armonica potrei definire tali rumori musica ed avvertire magari sensazioni che provocano in me piacere fino a indurmi uno stato sognante. Del pari l’osservazione di un bel panorama. Esso potrebbe lasciarmi indifferente o suscitarmi ammirazione, o infondermi una condizione estatica, tanto da non potere fare a meno di dire: “ Che bello”!

Ma, a ben riflettere, sia il primo che il secondo caso, ossia la musica ed il panorama, non hanno alcuna valenza propria positiva o negativa; essi sono neutri nella loro essenza, eppure sono stati produttivi di effetti.

La bellezza o meno che l’osservatore riscontra non è posseduta da ciò che ammira o ascolta, bensì è insita in lui; egli crede che la bellezza sia nel tramonto e nella musica, mentre al contrario questi – che, si ribadisce, sono neutri nella loro essenza – si sono limitati ad evocare lampi di qualcosa che è già dentro di lui e che per brevi attimi egli ha ricordato: grazie alla musica ed al tramonto si è verificata nell’osservatore una MNESIA. In altre parole, tali eventi esterni hanno funzione di stimolo che induce l’osservatore a porli inconsapevolmente a confronto con una sorta di modello astratto insito nel suo intimo. Egli, dunque, nel formulare il giudizio: “che bello”, ha espresso il risultato di quel confronto; operazione che avviene in poche frazioni di secondo senza che l’osservatore ne abbia magari consapevolezza.

Dunque, l’osservatore vive nel mondo degli specchi che gli rimandano l’immagine di qualcosa che è dentro di lui; e l’osservatore – inconsapevole ancora di ciò – corre rapito verso quella cosa bella che vuole prendere per possederla. E poi corre per cercare di prenderne un’altra ed un’altra ancòra, inseguendo all’infinito l’illusione di appagare la sua brama col possedere l’oggetto del piacere. Non comprende, invece, che egli si comporta come il bimbo che, affascinato dai minuscoli frammenti di vetro che brillano al sole, vuole prenderli, convinto di potere, con essi, afferrare l’astro splendente; e non si accorge che quei pezzetti di vetro altro non fanno che riflettere la luce di quel sole che è in lui e che egli già possiede! E’ in fondo il mito di Narciso (Νάρκή = torpore) che si innamora della sua stessa immagine riflessa nel lago e che, resosi conto di nutrire un amore impossibile si uccide (o annega nella fonte). Così l’uomo innamorato della luce riflessa, nel cercare di afferrarla nel mondo muore allo spirito! Nel mito è altresì detto che dal corpo di Narciso nascerà il fiore omonimo. Non è un fiore qualunque, esso affascina ed addormenta; non a caso è citato da Omero nell’Inno a Demetra .

Ma, in conclusione, quale risultato abbiamo dalla osservazione della realtà, pur deformata da noi stessi e dalle nostre categorie mentali? Dirò subito: essa ci porta l’idea di Logos. Se il Noùmeno ci porta l’Idea di Dio che, relegata al mondo trascendente, rimane inconoscibile alla mente umana, la natura o, se si preferisce, la realtà in cui l’uomo crede di vivere, ci racconta e ci evoca il Genio, l’Intelligenza insita in essa e ci parla del Logos di Cui, forse troppo di rado, ravvisiamo l’ Impronta, il Sigillo.

“Inno al Padre” LC. 10/22 : “Tutto mi è stato donato dal Padre mio e nessuno conosce chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.”

“La fede in Gesù ed i suoi effetti” GV. 14/6-9 : “Gli dice Gesù: “ Io sono la via la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non attraverso di me. Se voi mi aveste conosciuto, anche il mio Padre conoscereste, e fin d’ora voi lo conoscete e l’avete visto”. Gli dice Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta”. Gli dice Gesù: “ Da tanto tempo sono con voi e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire mostraci il Padre?”.

“La preghiera per la Chiesa” GV. 17/25 : “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, io invece Ti ho conosciuto e costoro hanno riconosciuto che Tu mi hai mandato. Io ho fatto loro conoscere il tuo Nome e continuerò a farlo conoscere, affinché l’amore con cui tu mi hai amato sia in essi ed io in loro.

“Prologo” GV. 1/18 . “Dio nessuno l’ha mai veduto, il Dio Unigenito che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato.

L’idea di Dio ci giunge dal Noùmeno, ma Egli, il Padre, è e rimane a noi inconoscibile; essa idea è assimilabile ad una tela bianca, non possedendo noi uomini facoltà o capacità atte ad imprimervi anche solo qualche pennellata di colore; Egli può essere però conosciuto attraverso il Figlio. Solo Lui può rivelarcelo. Il Padre rimane ignoto a noi che ne cogliamo solo l’idea tramite il Noùmeno, ma possiamo conoscerlo attraverso il Figlio/Logos/fenomeno.

LA COSA IN SE’

 LA   COSA   IN   SE’  E’  IDEA

Questa Idea che ci giunge attraverso il Noùmeno rimane inconoscibile alla razionalità dell’uomo.

ED  E’   IDEA   IDEATIVA  E  COSTITUTIVA

Essa idea è somma e sintesi di tutte le idee concepibili, siano esse appartenenti ai mondi sottili invisibili all’uomo che a quelli a lui visibili e percepibili attraverso i sensi: ossia le prime, quelle del Padre, e le seconde, le idee “realizzate” dal Figlio quali Idee costitutive, ossia produttrici della Realtà sensibile. (Il distinguo è eminentemente concettuale, ma sostanzialmente insignificante).

UNICA  E  SOLA  :
D I O  .

Non sussiste in verità differenziazione alcuna, poiché la Realtà è Unica e Sola, uguale a Se stessa, non duplicabile; Un Essente di SE’ assoluto ed esauriente. Nulla al di fuori  o al di là poiché perfino il Non-Essere è in Essa Cosa. Essa racchiude e contempla nel Suo seno il Tutto quale Sé/NonSé.

LA   COSA   IN   SE’   SI  PENSA  ;

Azione riflessiva della coscienza. La Cosa in Sé è equiparabile al numero “1”. Tale numero non sarebbe, secondo taluni, il primo numero dispari che invece è considerato il “3”.  L’ Uno è Uno uguale solo a se stesso. Per uscire da tale stato l’Uno – che potremmo indicare come il Padre – deve uscire da Se Stesso e divenire Due (il Figlio); solo così facendo prenderebbe coscienza e consapevolezza di se medesimo (lo Spirito Santo) divenendo “3”. Ecco che la Cosa in Sé si pensa ed è cosciente di Sé, ma poiché la Cosa in Sé è il Tutto, diviene (ovviamente non v’è divenire ma il termine è usato per facilitare l’esposizione) cosciente del Tutto. (le varie fasi sono la risultante di una categorizzazione della nostra mente poiché in Dio non v’è separazione in “persone” (Padre, Figlio e Spirito S.) né un processo graduale (uscita da Sé, creazione del figlio, conoscenza di Se Stesso). Egli è così poiché così è la Sua Essenza da sempre e per sempre poiché oltre il tempo.

ED  E’ FORMA  E  CONTENUTO  ;

La forma è l’idealità trascendentale, è cioè il contenitore (o anche lo stampo) attraverso cui può trovare attuazione il contenuto. Così l’idea del fiore è lo “schema”, il “progetto”,  che troverà realizzazione nel contenuto, cioè il fiore stesso. Così se Dio è Forma, è Forma di Tutto e se è contenuto (ossia attuazione dell’idea), è contenuto di tutto; in altri termini – e per soddisfare l’economia mentale umana –  la Forma è Dio Padre ed il contenuto è Dio Figlio.

ED  E’  GIUDIZIO  DI   SE’  ;

Vale a dire è conoscenza cosciente di Sé senza la quale non può esservi giudizio.

Nel “Genesi” al termine di ogni fase della creazione è scritto : “Dio vide che era cosa buona”. Detta espressione ci conferma quanto detto e cioè che tutto ciò che da Lui era stato generato (il Figlio ossia il Creato) era cosa buona; ma tale giudizio presuppone l’aver preso coscienza (nella massima espressione concepibile, quella che noi indichiamo come Spirito Santo) del Creato.
Va ribadito tuttavia che quando si parla di Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo), di prima, seconda e terza Persona, facciamo ricorso ad una categorizzazione umana che aiuta la nostra comprensione ma che non esiste nella Realtà dell’Essere che è e permane un Tutto Unico assoluto Perfetto.

ED  E’  REALTA’  CHE  E’ UNIVERSALE  ,
NEL  TEMPO  E  NELLO  SPAZIO  ,  SENZA  TEMPO  E  SENZA  SPAZIO  .

La realtà della Cosa in Sé abbraccia tutto ciò che esiste, tutto il pensabile, ma anche il suo contrario. Di tale realtà fanno parte anche le dimensioni spazio e tempo ; esse non ineriscono alle cose ma sono “forme della intuizione sensibile” dell’uomo, dunque non attengono al tutto permeandolo ma ne fanno parte al pari dell’uomo. In conclusione l’impermanenza, come la definì il Buddha, o, se si preferisce, il divenire, si svolge e si sviluppa all’interno del Tutto senza che Esso ne sia alterato, ma anzi ottenga il mantenimento dell’armonia su cui da sempre (in realtà fuori dal tempo) riposa.

E  DELLA   C O S A   IN   SE’   SIAMO  PARTE  ,
COLORO  CHE  NELLA  VITA  VISSERO  ED  OLTRE  LA  VITA  VIVONO  ,
COLORO  CHE  NELLA  VITA  VIVONO  ED  OLTRE  LA  VITA  VIVRANNO  ,
COLORO  CHE  NELLA  VITA  VIVRANNO  ED  OLTRE  LA  VITA  CONTINUERANNO  A  VIVERE ; TUTTI  ,  QUALE   IDEA   DELLA   COSA   IN  SE’  COME   IDEA   DI   SE’  UNICA  E  SOLA  .
I N   U N O  :
D I O

Noi facciamo parte della Cosa in Sé, né potrebbe essere altrimenti: non potremmo ovviamente concepire il tutto se questo fosse privo di qualcosa.

Qui la definizione si sofferma più specificatamente sull’uomo. Gli uomini che si sono incarnati (idee divenute forme-uomini)  che hanno vissuto nella materialità e che non sono più tali  (che hanno perduto quella forma) pur vivendo oltre la vita terrena; coloro che secondo i parametri del tempo umano vivono ma che, esaurita tale esperienza, continueranno a vivere oltre il tempo umano; coloro infine che vivranno l’esperienza terrena e che poi comunque, al termine di essa, continueranno a vivere. Costoro, generazione dopo generazione, sono parte del Tutto essendo ciascuno una delle infinite idee (divenute, o divenienti, forma umana) che traggono origine dalla sintesi dell’unica idea che tutte le contiene: Dio.

I Mantra

Quanto segue, iscrizioni lapidarie e sintetiche, ha funzione di traccia per la meditazione profonda. Come dei mantra potranno essere recitate ad alta voce o nel silenzio del proprio cuore:

Me n’andrò,
qual nebbia
che dilegua al vento,
qual solco in mare
d’agile carena;
a me poi resterà
quel che di me
io avrò donato.

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dolor meus
dolor mundi.
dolor mundi
dolor dei.
dolor dei
spes mea.
spes mea
pax mea

    ▲   ▲   ▲

 F   I   N   E

 

 

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