CAP VIII

Ottavo Mistero

 

Mea Domina

 

Pietà

“ Oh figlio! Oh Tu, Figlio del Dio Vivente!
… Pur, tu, prediletto figlio della mia carne!
Oh, tu, mio sangue!
Sento il tuo corpo d’uomo,
spezzato e abbandonato su di me;
immoto nel silenzio della morte.
Guardo il tuo volto, reclinato e stanco;
gli occhi tuoi muti, che hanno tanto amato.
Ed il cuore nella pietà sprofonda… e nel dolore.
Annega, così, l’anima mia, estenuata,
nell’infinita solitudine di madre che non può,
né vuole, sopravvivere al figlio che le muore ”

                                                    (Sud)

Senza l’Original Peccato nata in Nazareth da Gioacchino ed Anna, di santità e virtù ricolmi, fui offerta al Tempio da bambina, così trascorrendo gli anni dell’infanzia in edificio che stava lì nei pressi; con amorosi accenti accudita dalle pie donne addette agli arredi della Casa del Signore ed al pregare. Ma fin da allora avvertiva l’anima mia che qualcosa la Grazia di Dio le riservava di doloroso e grande.
A Giuseppe, nazareno falegname, fu poi promessa quando i quattordici anni ebbi compiuto; e già di sangue aveva intriso le mie vesti il mensile pianto del ventre che ad ogni donna dice di non avervi un bimbo, e che, fra nuovo desiderio inconfessato e antica pudicizia tremebonda, invita forte al sensuale abbraccio di colui che, amato, rendere madre la potrebbe.
Ma la promessa un anno richiedeva perché fossi condotta allo sponsale altare; e, dunque, nella paterna casa ritornai per attendervi, casta, il dì festoso.
Fu a quel punto di mia vita che il Padre Onnipotente volle di Transverberazione, per altissimo destino, farmi Sua prescelta; e me come «Piena di Grazia» salutò l’Angelo, annunciandomi al con-tempo che Madre sarei stata del Figlio Ch’è di Dio. Tremò il mio cuore; e sprofondò l’anima mia nella paura; e chiesi come ciò mai si potesse: «Per il Voler di Spirto Santo, e per Sua Azione, sarà fatto ciò che dall’Alto si può sol che si voglia», disse solenne il Divin Messo. Ed io a lui, senza esitare: «Ecco la serva del Signore; si faccia di me secondo Tua Parola»; e tale gli risposi pur se consapevole, per lunghe letture di Scritture Sacre, di quanto doloroso sarebbe stato del Messia il cammin terreno.
Ma creduto avevo! Così; semplicemente. Senza che dubbio alcuno in me insorgesse.
E… fu il deliquio!
La mente mia offuscata, eppure grata, vide a quel punto l’Angelo, tutto di luce circonfuso, estrarre da faretra un dardo… e qui, per dire d’una piccola parte di ciò ch’io vi provai, valga il racconto che mezzo millennio dopo avrebbe dato l’ispanica Teresa della sua singolare Transverbe-razione:

«Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamen-te che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via la-sciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva que-sto enorme dolore che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteci-parvi un po’; anzi molto. È un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento».

Questo ed àncor più, molto di più, io vi provai nel concepire il Figlio che dei mortali afflitti doveva consolare il pianto e della morte spezzar per sempre l’orride catene. Così a quel punto giunta, ed ancòr vergine restando, compresi che «Colui Che È» nel seno mio ormai viveva qual vero uomo, e vero Dio. E come un giorno, nel sepolcro di quel Giuseppe che fu d’Arimatea, la carne morta del Messia nuovamente avrebbe preso vita in altra forma per evento ch’è divino, del pari, e per simile evento all’incontrario, l’Idea del Padre, per Spirto Santo divenuta Azione, nel concepire il Cristo s’era mutata in carne che nel mio ventre viva pulsava e con sem-biante umano. Poi, con doglie e sofferenza, il parto nella grotta e stalla, dove il Creator del mondo vide luce in ossa e carne, verità tolse al dogma imenèo che affanno tanto avrebbe imposto alla Patristica degli uomini.

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Fin qui può giungere la vista dell’ umano vedere e l’intendimento dell’umano comprendere ‘ché il mistero altrimenti impedirebbe l’accesso a colui che oltre e più in profondo spingersi volesse avvolgendolo in densa nube che vacillare farebbe la sua ragione.
Purtuttavia se al cor senziente si vorrà dar corso sciogliendo le catene che alla ragione l’uom tengono stretto, le nebbie, che al mistero stanno avvolte, dissiparsi vedremmo in un istante per far luogo a stupore e stordimento.
E Dunque tu, temerario viandante che ti accingi a legger oltre e a penetrar quel fumo, prepara  mente e cuore ad ascoltar segreti che alla Madre Santa di Grazia ricolma fanno velo.

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  Era un altissimo spirito buono. Dimorava presso Dio e Lo serviva, l’Ancilla Domini.

Allorché i tempi della realtà fisica della terra furono maturi, e già l’uomo di humus si affacciava ai primi vagiti della coscienza, l’Angelo di Dio, amorevole e mite, chinò il capo ed accettò ed  accolse l’Uomo Creatura di Lui.
Altissimo era il compito, e doloroso:  accettare ed assumere la maternità del genere umano e per intero e per tutti i tempi e, con esso genere, le sue tribolazioni e le sue sconfitte ?
Ma sappiamo bene: Amor che move ‘l sole e l’altre stelle, si sarebbe fatto carico di cotanto fardello; e pietà amorevole, materna, mosse l’altissimo Spirito a commozione per quell’umanità che pronta ormai era al cammino aspro e duro per i sentieri della materialità, del dolore, dell’ingiustizia, dello sconforto.

Ed Egli divenne la Grande Madre!!

Le forze dell’ “ego” però, nell’esercitare il compito di infondere coscienza individuale all’uomo, contrastano da sempre  le forze dell’amore:     «Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. […] Allora il Signore Dio disse al serpente […] ‘Io porrò inimicizia tra te / e la donna, / tra la tua stirpe / e la sua stirpe; / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno’» (Genesi: 3, 1-14-15).
E la Sua protezione amorevole si dispiegò nel tempo e nella storia dell’uomo il quale, nella devozione, volle darle un nome che molteplice fu per via dei molteplici luoghi e dei molteplici tempi in cui il culto vers’ Ella ebbe a dispiegarsi: Iside nell’antico Egitto, Demetra nella antica Grecia, Cibele nella Roma imperiale, Myriam nella cristianità, ed infine oggi,  per tutti i cattolici,  Maria Vergine, l’ Immacolata Concezione.
La Creatura umana nella carne tribolò, soffrì, comprese, si ravvide, morì nel corpo, rinacque nel mondo e riprese il cammino della coscienza contrastata sempre dai pungoli della serpe.
Nostra Signora si dolse per il destino dell’umano genere, pianse, si manifestò, chiamò a gran voce la Creatura al ravvedimento. La scaldò con la sua tenerezza, la salvò col suo cuore colmando d’amore quello di chi ostinatamente rimaneva abbarbicato alla materia.
Una lotta d’amore quasi infinita, eppure destinata a vittoria certa perché così era scritto nelle stelle.

Quante e quante volte nella storia dell’uomo l’Angelo aveva scelto di interpretare il ruolo umano di madre? Quante e quante volte i figli suoi carnali da altissime sfere celesti erano scesi tra l’umana progenie ed avevano, in veste di profeti, combattuto anch’essi per indicare la via del ritorno a quell’umanità cieca, ferita, disorientata, carcerata nel dubbio?
Così pura nel suo virginale candore il Padre ancora una volta volle sceglierla come Sua sposa facendola diventare madre di Lui.

“Vergine, madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu sei colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. 

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.”

(Dante – La Divina Commedia – Canto XXXIII del Paradiso)

      Qui riposa il mistero sommo della  kekaritomene, la “Piena di Grazia”: Maria.

Il grande Sé di lei, l’Angelo, che Gabriele vollero poi appellare, annunziò alla fanciullina il grande compito che Lui aveva già assunto e le chiese: “Io, che di Sole son vestito ((1. Qui il riferimento è rivolto al brano apocalittico “La Donna vestita di Sole”.)), ho accettato la maternità, vorresti farlo anche tu Maria per il tempo terreno che ti è dato? Tu, per mio tramite,  fosti prescelta, vorresti  ricevere nel tuo ventre l’Altissimo Spirito che nella carne vuol discendere divenendone madre sua?”.  Ed ella mite e serena accondiscese ad accoglier il divino seme e con esso ad accettare il destino di dolore.
Due i calici di amaro fiele colmi: uno, quello di Lui il Cristo/Gesù, Sposo e figlio di lei, l’altro, quello di Maria, sposa e madre di Lui. Entrambi nella condivisione dell’amore e del dolore per l’umanità fino alla fine, fino all’ ultima ora che è sempre, e per ciascun uomo, ricolma della misericordia di Dio.

Con l’ultimo suo figlio si fusero in lei  l’essenza di madre carnale dell’uomo e quella di madre spirituale dell’umanità; avvertì il dolore struggente per la perdita del frutto delle viscere sue straziato ed innocente,  e quello del cuore per l’umano genere che, pur nell’afflizione, sordo tenacemente rimaneva alla voce del Padre.
Una madre è immersa nel dolore, sempre, perché il figlio si perde, si allontana, non vuole comprendere, non vuole far tesoro dell’esperienza maturata nell’incedere greve della vita. Ma lei  è lì, ad aspettare la Creatura che ritarda, quella Creatura figlia di Dio Padre che sono poi  i figli di Dio Padre; lei è lì ad aspettare anche per l’intera notte, lucerna accesa, i figli che per sentieri e destini misteriosi ed incerti s’inerpicano fino a che… fino  a che essi, gli uomini  tutti, alla fine dei tempi non facciano ritorno per risorgere alla Vita!

Ma ecco che nel grande libro del tempo è scritto l’epilogo della storia dell’umanità:

Oh qual gioia, qual tripudio in Cielo! Oh qual gioia, qual tripudio nell’ immenso, sconfinato cuore di Lei, la Madre Grande!
La Creatura che esanime appariva a causa della stretta mortale alla terra, alla materia che tomba era in realtà, è risorta! E’ risorta l’umanità intera a nuova, gloriosa Vita!
Non più dolore, non più tribolazione, non più sofferenza l’attende, ma labbraccio tenero e dolce di Chi con ansia ne aspettava il ritorno alla paterna casa. Nessun timore ormai del morso infetto della serpe, il suo capo è per sempre reso innocuo dal tallone di lei e le sue spire immote ed esangui.
Questo futuro dell’uomo fu preconizzato e segnato in un tempo trascorso e lontano tra i flessuosi pendii di Palestina con un evento straordinario di cui solo i secoli a venire avrebbero rivelato la portata: il Cristo risorto!

Oh qual gioia di Myriam, qual meraviglioso sollievo al cuore – reso dal lutto pesante e triste – nell’apprender che la famelica tomba di pietra, squassata dalla luce di gloria, nulla aveva potuto sul trasumanato figlio suo Gesù, che in quel lampo tornato era al suo Regno ed al Logos divino ricongiunto.

La fine dei tempi vedrà, la Nostra Signora, la Mia Signora, Mea Domina, ricongiungersi al Suo Signore e Sposo, il Cristo/Logos, che ella, fedele, rimase ad aspettare per l’intera notte rischiarata soltanto dalla flebile e tremolante fiamma della lucerna, fino alle prime luci di quell’alba radiosa testimone dell’Amore Superno che unisce e che consola.

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