CAP VI

IL SESTO MISTERO

Grazia e Misericordia

De Hominis Libero Arbitrio,

Cum Gratia Et Misericordia Dei

Tutto, Padre Altissimo, ha inizio dalla Tua Misericordia e

 tutto ha termine nella Tua Misericordia;

Ogni Grazia ha origine dalla Tua Misericordia

e l’ultima ora è sempre, per ciascun uomo,

ricolma della Tua Misericordia”

 

 

Il “Tutto” è in Dio, già creato e compiutamente realizzato; eppure Egli non è “Immobile Presente”, ma “Dinamico Presente” che incessantemente crea e rimodella Sé Stesso nell’eguale “Perfezione” Che Gli è Propria, hic et nunc, et in sempiterno.

Dio è Idea d’Amore (in forma inconcepibile per la mente umana) verso Se Stesso. Da tale compiacimento prende realtà il Creato, parto armonioso ed armonico dell’Essere/Tutto, Realtà reale che, pur essendo manifestazione del Tutto Unico, ci appare tuttavia come parcellizzata, immersa nella forma e nella materia-energia, collocata nello spazio e nel tempo della coscienza((1. Deve qui intendersi“Tempo che scorre della Coscienza”; con tale definizione non ci si deve riferire – ad esempio – alle lancette d’un orologio che percorrano un certo spazio del quadrante per indicare alla percezione umana del tempo che sia trascorso un dato periodo cronologico, bensì alla stessa percezione umana del tempo come intimo convincimento dell’“Io Sono” che, umanamente, ritiene di ritrovarsi nell’attüale presente dopo avere vissuto nell’immediato precedente passato e prima di stare per entrare nell’immediato futuro prossimo. Sul versante più segnatamente spirituale, però, sarebbe più corretto riferirsi, con il parlare di “Tempo che scorre della Coscienza”, all’evoluzione (od involuzione) dinamica della Coscienza intesa quale iter che dal non sapere conduce al sapere (o viceversa), e che dal solo sapere conduce alla consapevolezza di sapere (o viceversa).)). Ma se Dio è il Tutto – come è – , in questo Tutto non può non essere anche il Suo contrario: la negazione del Tutto. Dunque l’Uno racchiude il Sé ed il non Sé (Luce ed Ombra) in una fusione senza la quale non vi sarebbe la perfezione.

L’Amore di Dio per il creato (che è Dio stesso nel suo aspetto immanente) non va inteso quale commotio cordis (pulsione sentimentale strettamente legata alla natura umana); esso appare scevro da connotazioni emozionali ed è in qualche modo configurabile come infinito Amore di Sé.

L’Amore di Dio è Misericordia.

Dalla Misericordia scaturisce l’atto creativo per eccellenza del Divino Amore: il fare emergere dall’indifferenziata ed unitaria Perfezione l’individualità dell’Uomo, che Dio crea (in un eterno presente) a Propria Immagine e Somiglianza, e cioè con il Bonum del (piena, assoluta coscienza) ed il Malum del Non Sé (la non coscienza). Crea, mosso da Misericordia verso la Sua parte oscura, attraverso la quale ha coscienza di Sé in toto (ovvero sia del Sé che del Non Sé). Tale creazione dona autocoscienza e libertà alle infinite partizioni di Lui, che sono dunque libere di allontanarsi dall’Uno Tutto Perfetto per entrare nella Realtà dell’Incontrario Imperfetto.

Discesa con l’incarnazione nella tenebra del Non Sé, la creatura è libera di ripercorrere all’inverso il cammino che la riconduce alla Casa del Padre, al Regno luminoso del Sé.

Con la Misericordia, l’Uno Assoluto, Perfetto ed Eterno lancia nell’Universalità del Tutto l’alea della Libertà dell’Uomo con tutte le potenziali consequenze che ne possono derivare.

La libertà comporta infatti un prezzo di dolore: dolore dell’uomo, ma anche di Dio.

In un sublime mistero la Misericordia Divina s’intreccia con la Libertà e con la Giustizia.

A differenza della misera giustizia umana, fondata sulla logica dello stretto diritto (che troppo sovente sfocia nel “summum ius – summa iniuria”), la Giustizia Divina è connotata dalla Misericordia; e la Misericordia, intesa come clemenza, come esercizio clemente della giustizia, è il segno della vera forza di quest’ultima:

La condizione del peccato, frutto della libertà, accomuna l’umanità intera (“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, dice Gesù, ben consapevole che alcuno poteva realmente ritenenrsi privo di macchia). La misericordia solleva tutti, distribuendo amore infinito a tutti, senza distinzione: tutti uguali nella caduta; tutti uguali nell’amore che ci solleva. Così la giustizia, attraverso la misericordia, si arricchisce di carità, si perfeziona e si sublima nel Respiro Divino.

Dunque la Misericordia, frutto del Divino Amore e potenza creatrice, è anche momento di trasfigurazione della Giustizia di Dio, da Dio Stesso resa più rilucente dell’immenso fulgore dell’Eterno Divino Amore ((2. Secondo Aristotele, la “Misericordia Clemente” (“Epikeia”) è proprio il giusto correttivo della Legge, che mai è perfetta.)); e la Misericordia diviene siffattamente la forza reale della Iustitia Dei che cede il passo alla “Clemenza”; sicché l’esercizio clemente della Giustizia Divina le conferisce la sua vera forza e la sua vera perfezione.((3. Ricordiamo la parabola del debitore spietato (Matteo, 18, 23) nella quale il re scopre un servo debitore di diecimila talenti, ma recede, per le sue suppliche, dall’originario proposito di venderlo con la moglie, con i figli e con ogni suo avere, affinché saldi il suo debito. Appena uscito, quel servo ne incontra un altro che gli deve a sua volta cento denari. Lo afferra e lo scuote, pretendendo il pagamento del dovuto. Il debitore spietato non vuole esaudire le suppliche del suo compagno e lo fa gettare in carcere, fino a che non abbia saldato il debito. Venutolo a sapere, il re lo fa richiamare e gli dice: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse avere anche tu pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. E, sdegnato, lo consegna agli aguzzini, fino a quando non abbia restituito tutto il dovuto. Conclude Gesù: “Proprio così il Padre mio celeste tratterà voi, qualora non rimettiate di tutto cuore ciascuno al proprio fratello”. Nell’ottica della giustizia umana il comportamento del debitore spietato è ineccepibile: dal condono del suo debito non deriva affatto alcun obbligo, per lui, di condonare a sua volta. A condannarlo è, invece, la clemente misericordia che gli è stata usata e che egli non è stato capace di interiorizzare e di far propria.))

Dio è il Tutto.

In questo Uno-Tutto era, è e sarà, da sempre ed in sempiterno, l’Alfa e L’Omega d’ogni Realtà Reale.

Ma tempo e spazio sono soltanto categorie del pensiero umano, prive di una reale esistenza propria. La “Realtà Reale” è essa stessa l’ “Uno Dio”, che occupa l’unico tempo e l’unico spazio possibili come esistenti: l’Hic et nunc Divini.

Da ciò consegue che l’Alfa e l’Omega, intesi come simbolo dell’inizio e della fine di ogni cosa, non debbono essere collocati in una realtà spazio-temporale comprensibile alla ragione umana, ma in quel Ciclo già Perfetto (cioè già concluso) eppure eternamente “essente” nel suo eterno divenire della Realtà Divina.

Con la creazione, atto d’Amore (di Misericordia), ha inizio il Tempo, tempo della Coscienza – si badi – e non tempo cronologicamente inteso!

In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio”. Ecco perché il Cristo (Logos) dice di Sé: “Io sono l’Alfa e L’Omega”. Tutto da Lui ha inizio; tutto in Lui si chiude. Come ci ricorda l’incipit del Vangelo di Giovanni, il Verbo, fattosi carne, discese nelle tenebre. E le tenebre non lo riconobbero. Il nostro mondo è la tenebra.

Ma perché l’uomo non sceglie sempre di confarsi alla parte luminosa di Dio e così permanere in tale lato luminoso dell’Essere, ma si volge verso l’ombra?

Perché l’uomo vuole essere come Dio: vuole cioè conoscersi e conoscere – così come Dio conosce – Il Bene e il Male. Peraltro potrà apprezzare appieno la “Parte Luminosa” solo quando, dopo avere attraversato la tenebra, avrà appreso, col gelo della Sua assenza, il valore di ciò che ha perduto. Ma tale opzione, pur libera, è scelta che separa, che allontana dalla Fonte. Tale aspirazione di conoscenza implica la discesa nel lato oscuro dell’Essere: il morire quindi alla Coscienza dell’Essere/Tutto per passare alla coscienza dell’individuale, singolo ego. In altre parole, la goccia si allontana dall’Oceano del Quale perderà perfino memoria; questo non per punizione, ma per concessione misericordiosa di Dio alla creatura che, così facendo, diviene arbitro di se stessa; cosa inattuabile se mantenesse il ricordo di Dio il Quale eserciterebbe un’attrazione, per essa porzione, irresistibile, con conseguente inficiarsi del dono di libero arbitrio.

Scegliendo di incarnarci, noi scegliemmo di conoscere il lato di ombra di Dio, di entrare così in una realtà apparentemente lontana da Lui e di vivere in un mondo apparentemente senza Dio. Questo mondo di materia e tenebra è incapace autonomamente di riconoscere ed accogliere la Divinità.

Di qui l’allegoria del Paradiso Terrestre, la volontà dei proto-uomini di cogliere e mangiare il frutto proibito che dà la conoscenza del bene e del male e la conseguente “cacciata” dal Gan Eden (che tale non è, invero, poiché l’allontanarsene è conseguenza di libera scelta).

Tutti noi, dunque, siamo portatori del peccato originale per il fatto stesso d’avere matrice divina. Tutti noi siamo contravventori nell’aver liberamente scelto di conoscere il lato oscuro dell’Essere, ponendo il nostro piccolo sé come centro autonomo in opposizione alla grande armonia del Tutto. Il peccato originale non si identifica con detta libertà, ma da questa scaturisce. Esso consegue alla facoltà di realizzarsi in totale opposizione all’Uno, alla possibilità di allontanarseNe fino all’autoannullamento.

Il ciclo delle rinascite costituisce chiave essenziale del percorso di ciascun individuo verso la Luce. E di certo ogni rinascita, che è governata dalla legge del Karma, è dono di Dio e dunque della misericordia del Padre, dono che mai è disgiunto da quello della libertà.

Il libero arbitrio dell’uomo potrà poi indirizzare la sua condotta verso il bene o verso il male, cioè verso la Luce o l’ombra di Dio. In quest’ultimo caso l’equilibrio turbato implicherà la necessità del “risarcimento” del danno prodotto. Interviene qui la “Grazia”, espressione anch’essa dell’Amore Divino.

La Grazia.

La Gratia Dei va intesa quale «Dono» dell’Altissimo per il «Risarcimento» del Male che la creatura umana ha prodotto. In definitiva, sarà Dio Stesso, quasi «contra Legem», a sanare quella porzione di Male che l’uomo, da solo, non sarebbe in grado di risarcire e che altererebbe l’equilibrio del «In Pondere et Mensura Dei», presupposto di quell’armonia di cui necessita il Tutto Perfetto per essere Tale. Dunque Dio, entrando nella storia attraverso il Cristo/Gesù, fa salva la Legge col Suo sacrificio riparatore: la Grazia del Padre ha comunque un prezzo di dolore che viene pagato dal Figlio, e non solo sul Golgota, ma ogni giorno, fino alla fine dei tempi, fino alla salvezza dell’ultimo smarrito.

Attraverso la Grazia Dio dispensa all’uomo speranza ed opportunità di Salvezza. E, se la Misericordia rappresenta il “Momento Creatore” di Dio, la “Grazia” Ne è il momento – per così dire – “Armonizzatore”; quello, cioè, mediante il quale l’Altissimo interviene direttamente nelle vicende umane, e più in generale nella Storia dell’Uomo, al fine di ricostituire la perfezione turbata. La Grazia è, pertanto, “Forza Divina” che entra in opera allorquando la Libertà dell’Uomo ((4.  In estrema sintesi, può dirsi che è Bene ciò che avvicina a Dio, ed è Male ciò che Ne allontana; e, nell’àmbito dell’umano vivere quotidiano, può affermarsi, per analogia, che è Bene ciò che migliora la Vita Spirituale propria e dei Fratelli, ed è Male ciò che la peggiora. E Dio, che è “Bene Assoluto”, non è Tale perché sceglie tra il Bene ed il Male, ma perché – si potrebbe anche dire – “Naturalmente” sceglie sempre il Bene; e cioè, la “Parte d’Amore” di Sé che guarda con Misericordia verso la parte opposta di Sé (vivendo in Dio, Unico e Tutto, entrambe le Parti).))  lo abbia fatto sprofondare nell’abisso della Realtà imperfetta dell’Essere, e ve lo abbia radicato così profondamente, da rendergli pressoché impossibile l’autonoma risalita.

Atteso ciò, vien fatto di chiedersi quanto spazio sia in effetti concesso al cosiddetto “Libero Arbitrio” dell’Uomo; posto che la Gratia Dei potrebbe, con la propria “Forza Salvifica” condizionarlo in melius. Anche perché, a volere analizzare attentamente il concetto di Libertà, va rilevato come questa, che è il più prezioso dono dato da Dio alla Sua creatura che Ne è immagine, permetta di scegliere, con atto autonomo ed incondizionato di volizione, e di volta in volta, ciò che è Bene o ciò che è Male. Ed affinché le scelte siano effettivamente libere, è necessario che l’Uomo abbia disponibilità del proprio “Libero Arbitrio”, il quale, però, dovrà essere a ciò connotato da tre condizioni essenziali: la “Possibilità” di operare (e cioè, l’“Io Posso Fare”); la “Volontà” di operare (e cioè, l’“Io Voglio Fare”); l’“Attuazione” dell’opera (e cioè, l’“Io Faccio”).

Della non semplice questione si occuparono profondamente (ed animatamente), tra il quarto ed il quinto secolo dopo Cristo, due giganti del pensiero teologico: Agostino di Ippona e Pelagio il britannico. Essi concordavano sul fatto che la possibilità di vincere il male dipendesse unicamente dalla Grazia;((5. Sant’ Agostino e Pelagio si combatterono, sul piano intellettüale, nei seguenti termini: da un canto, il britanno sosteneva che soltanto il potere (e cioè, la possibilità che si ha di volere operare per il Bene e poi di fare il Bene) fosse dato all’Uomo attraverso la Grazia di Dio quale Suo Dono – per l’appunto – “Gratuito”, mentre egli affermava che il “volere” ed il “fare” giungessero all’Uomo dal mero suo Libero Arbitrio pur se supportati dalla Grazia Divina attraverso la Legge e la Dottrina date da Dio, ma solo nei casi in cui l’Uomo si fosse reso meritevole di aiuto per avere reiteratamente tentato di vincere la propria “mala” natura (e, peraltro, Pelagio si chiedeva, retoricamente, come avrebbe potuto esser fatto salvo il Libero Arbitrio, e dunque il merito dell’Uomo, se la Grazia fosse stata così intrusiva da permettere di rinvenire in Essa stessa l’origine d’ogni cosa buona fatta dall’Uomo); dall’altro, l’ipponate sosteneva, invece, che tutti e tre gli elementi in discorso dovessero essere supportati dalla Grazia Divina, senza la Quale l’Uomo sarebbe stato in balìa della propria “mala” natura e non avrebbe avuto possibilità, né volontà, né tampoco capacità d’azione, di agire nel Bene (e, peraltro, Agostino si chiedeva, retoricamente, come fosse possibile – ove nel giusto la tesi di Pelagio – che i fattori puramente umani avessero tanta forza da potere fare operare nel Bene pur senza la Grazia, mentre la possibilità di fare il Bene, che ci proviene da Dio con la creazione, avesse tanta debolezza da non potere esprimere la propria potenzialità senza il supporto costante della Grazia).)) ma secondo Agostino Questa era altresì necessaria affinché anche la volontà e l’azione seguissero retto sentiero. Il libero arbitrio dell’uomo, pertanto, si fondeva misteriosamente con l’intervento salvifico di Dio nel corso dell’esistenza umana.

Accogliendo la tesi di Agostino, v’è però da chiedersi come sarebbe mai ipotizzabile che solo taluni fossero, per Grazia, predestinati alla salvezza, laddove altri (forse i più, non ricolmati da questo inestimabile dono) sarebbero figli della perdizione? Ed in base a quale arbitrario parametro Dio sceglierebbe la salvezza per taluno, la dannazione per altri? Quale sarebbe il criterio di tale predestinazione?

Deve invece ritenersi che il dono della Grazia, a sostegno della volontà e dell’azione dell’uomo, sia offerto a tutti indistintamente. Se così non fosse si produrrebbe un grave vulnus alla iustitia Dei.

La illuminazione della Grazia, che consente la metànoia (il cambiamento di mente) diviene allora elemento necessario affinché l’uomo, peccatore per la sua stessa natura e condizione, scelga liberamente di risalire la china, di percorrere l’erto sentiero che lo riconduce alla Casa del Padre.

Senza il costante ausilio della Grazia il percorso di acquisizione della Coscienza sarebbe eccessivamente gravoso e difficile, ove non impossibile, per la creatura umana; da un lato attratta dal forte richiamo verso la miseria che forma ed energia-materia hanno per essa; dall’altro richiamata verso l’Alto dall’intrinseca Natura pur sempre Divina che vive in sé. Il conflitto è dilacerante e non pochi scelgono liberamente di assecondare gli umani richiami per invischiarsi in una mota di cupi egoismi, sordide cupidigie, orribili nefandezze. Altri, poi, nel dubbio, e nel timore di oscuri castighi avvenire, s’inchinano alla Legge di Dio, rispettandola – sì – ma non comprendendola; siffattamente, in effetti, mai scegliendo fra Bene e Male, né tampoco acquisendo Coscienza alcuna di conoscenza, ma soltanto eseguendo pedantemente((6. Se io sono nella possibilità di esercitare il mio libero arbitrio e vorrò eseguire e quindi eseguirò pedissequamente le disposizioni della Legge di Dio sarò un mero esecutore di essa, ma non ne avrò compreso il senso né la necessità. Come potrò scegliere il bene – e dunque compiere ciò che è giusto – se non ho acquisito la coscienza di conoscenza che mi permette di fare tale distinzione? Se – avendolo appreso dal Padre – seguo pedissequamente la Legge privo di tale coscienza, non avrò scelto in realtà, ma solo eseguito. Occorre infatti che io comprenda compiutamente il senso della Legge fino a condividerla per intimo convincimento. Ma come farò? Ecco allora intervenire ancora la Grazia che mi “dona” la coscienza e dunque mi illumina. Tale opera è compiuta dallo Spirito Santo che completa e chiude il ciclo.)). Altri ancòra, paghi del poco che il breve viaggio nella corporeità ha dato loro, rinchiudono ogni porta del cuore che dia verso l’esterno, cercando di vivere al meglio per sé il tempo concesso. Altri, infine, scelgono di confarsi alla voce morale che alberga nel loro animo, tentando di assecondare e fare il Bene, e cercando Dio nel cuore dei Fratelli che camminano nella solitudine e nella sofferenza.

Ebbene, su tutti la Grazia interviene, generosa ed eguale per tutti, dispensatrice di Luce e Coscienza per tutti. Ed Essa ristà nel profondo dell’animo umano, come Luce Divina che impronta di Sé l’Uomo quale creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Sì, perché la Grazia di Dio è lì, donata ad ogni bimbo che nasce con il suo primo apparire sulla scena del mondo; donata nella possibilità che egli avrà di fare il Bene; donata nella volontà che egli eserciterà di fare il Bene; donata nelle azioni che egli porrà in essere per fare il Bene. La Grazia è lì, soltanto da ascoltare, da cogliere, da assecondare; è lì, pronta a fugare i dubbi nei giorni dell’incertezza; è lì, pronta ad alleviare la pena nei momenti della tristezza; è lì, pronta a lenire la sofferenza nell’ora del dolore; è lì, pronta ad accompagnarci nella partenza per l’altra sponda. Ma, soprattutto, è lì, nel profondo del nostro cuore, ad illuminarci di nuova Coscienza ogniqualvolta guardiamo all’altro con occhi nuovi e stupefatti per avere intravisto in lui il Fratello ed il Cristo che geme sulla Croce. Ecco la Grazia: illuminazione della Coscienza che dà nuova Coscienza, e che consente la “Metànoia” (il cambiamento della mente), dono necessario ed a tutti offerto indistintamente. Così, alla peccatrice di Magdala vennero rimessi i molti peccati perché molto aveva amato; ed avendo molto amato riconobbe in sé molti peccati. Invero, a nulla sarebbe valso il suo chiedere perdono se non avesse assecondato la Grazia, da Dio concessa, di poter prendere quella piena consapevolezza, e cioè Coscienza, dei molti peccati, Coscienza che le permise di riconoscersi in grave torto nei riguardi della Legge dell’Amore.

La Grazia rende consapevoli, ed in Sé e per Sé conforta e perdona, ma va accolta con lo stesso cuore aperto di coloro che, peccatori, incontravano Gesù. Egli non diceva loro di pentirsi e fare penitenza, né li minacciava con paure per castighi ultramondani, ma li invitava ad accogliere la Sua Parola e fare festa con Lui perché una pecora smarrita era stata ritrovata; non intimava loro di fare esercizi spiritüali per purificarsi, ma chiedeva di sentire quanto grande fosse l’Amore che Egli provava per loro. Non è, dunque, la Grazia, imposizione o tocco miracoloso che ricompone l’ordine nel caos, ma richiesta continua d’ascolto che Dio rivolge agli uomini, a ciascun uomo, cui dice: “Senti quanto è grande il mio Amore per Te? Ascolta, dunque, la mia voce di Pastore che ti cerca senza posa, ed Amami come io ti amo!”. Se, allora, avrò saputo ascoltare la Sua voce, avrò preso nuova Coscienza, la vera Coscienza, della mia e della Sua Natura, che è poi unica Coscienza nell’ Unico Tutto Io sono.

Se, invece, non avrò saputo ascoltare, sarò come il moscone che cerca di riguadagnare lo stato di libertà continuando a sbattere contro il vetro della finestra chiusa che gli impedisce la fuga e ripetendo insistentemente lo stesso percorso (privo di esperienza-coscienza) nell’immodificabile convincimento che colà, da dove giunge la luce, si ritrovi l’uscita per l’esterno; e l’insetto continuerà a battere fino a cadere a terra, in un misero suicidio consequente al tentativo di raggiungere in modo insipiente la propria libertà. Anche l’Uomo può cadere in analoga situazione: l’erroneo cammino intrapreso sarà così per lui scaturigine di “Dolore”, quale segnale di pericolo per la sua vita spirituale; ma egli, illuminato dalla Grazia che bussa sempre al suo cuore attraverso la voce della Coscienza, potrà, se vorrà, se comprenderà, correggere la rotta per dirigersi verso più alte mete.

Sebbene appaia come un fluire costante di energie salvifiche che dal Padre giungono a noi acché si renda possibile il ritorno, La Grazia, dunque, nulla impone, nulla toglie al libero arbitrio dell’uomo, che comunque potrà, se vorrà, scegliere pur sempre di volere o non volere.

Se vorrà, udito il Padre, ogni uomo potrà sentir crescere in sé la “Volontà” di operare nel Bene, consapevole di poter realizzare l’Actio in Amore. E qui ancòra opera la Grazia, la quale aggiunge un Quid Pluris Divino alla facoltà del libero arbitrio.

Se non vorrà e rifiuterà di ascoltare deliberatamente la voce di Dio ed il Suo richiamo, impegnandosi con ostinazione a combattere quel Quid Pluris di forza che pur a lui la Grazia conferisce, quell’infelice non sentirà crescere la “Volontà” di operare nel Bene, ma si volgerà con propria determinazione verso il Male, attuando così un percorso inverso nella coscienza. ((7. “Ma Dio, ricco di Misericordia, per il grande Amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per Grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche resuscitati e ci ha fatto sedere nei Cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua Grazia mediante la sua Bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Saulo di Tarso: Lettera agli Efesini, 2, 4-7).))

Non possono, ad ogni buon conto, chiudersi le riflessioni sulla Grazia, ove non ci si soffermi anche sul valore che Essa assume quale estrema possibilità di salvezza anche per coloro che – ormai del tutto confusi con la corporeità ed il mondo di forma ed energia-materia – si sono pressoché spenti alla vita spirituale e rischiano di annichilirsi annegando per sempre nel caos del Non-Sé.

E’ pertanto necessario soffermarsi sul significato del “Dolore”, sia umano che Divino, e sulla valenza della Croce del Cristo.

Il dolore umano assume, guardandolo nella prospettiva vita-morte-rinascita, aspetto e significato diversi da quelli che l’apprezzamento comune gli conferisce; e, non a caso, esso è strettamente fuso con l’Amore, di Cui costituisce aspetto speculare. Ed il mio dolore, umanissimo dolore, è, in tale ottica, anche il dolore di Dio che, in quanto Tutto, non potrebbe rimanerne estraneo. Dal che, può farsi di ogni uomo l’invocazione: “DOLOR MEUS DOLOR MUNDI; DOLOR MUNDI DOLOR DEI; DOLOR DEI SPES MEA; SPES MEA PAX MEA”. Sicché, la speranza dell’Uomo di non essere abbandonato trova concretezza nella Croce e nel Cristo, ossia in Dio che entra nella Storia: e qui nuovamente ricompare la Grazia quale medicina del Padre per il dolore umano, che è dolore del Mondo e, quindi, Suo.

Amore e Dolore. Questo il mistero del loro intrecciarsi: Cristo che per dono d’Amore sceglie la Croce e così permette a me, proprio a me, creatura umana, attraverso la Grazia, d’identificarmi con Lui Che si è fatto “Uomo del Dolore” e può comprendere il mio dolore vivendolo direttamente mediante la Sua Compassione. Ma, al contempo, Gesù mi permette di comprenderLo, e quindi di accoglierLo come Dio; dal che, la possibilità di scelta, finalmente consapevole, che avrò di lasciare che Egli mi accolga e mi indichi la via per intraprendere il giusto percorso che mi riconduca al Padre. Non solo: chi accoglie il Cristo, ottenendo di potersi identificare con Lui, può contribuire all’opera di recupero di coloro che più si dibattono nelle tenebre; ed in tale chiave di lettura va interpretato il “Regno Millenario” descritto nell’“Apocalisse” di Giovanni: Spiriti, ormai salvi, potranno incarnarsi soltanto per amore dei Fratelli rimasti indietro, così da poterli aiutare ad abbandonare la regione dell’ombra per approdare finalmente nei lidi della Luce.

Purtuttavia una desolata legione di uomini rifiuta deliberatamente di ascoltare la Vox Dei ed il Suo amorevole richiamo, impegnandosi con ostinazione a combattere quel Quid Pluris di forza che pure a loro la Grazia conferisce: quegli infelici non sentiranno, così, crescere in loro la volontà di operare nel Bene, ma si volgeranno con proprio libero atto di volizione verso il Male, realizzando in tal modo un percorso inverso nella Coscienza. E come colui che, una volta udente, è divenuto nel tempo sempre più sordo, dapprima conservando solo il ricordo vago e pur dolce del tempo in cui percezione aveva dei suoni per giungere infine alla sordità totale, parimente l’individuo che, usando del proprio libero arbitrio, scelga di non ascoltare la Voce di Dio, l’udrà sempre più fievolmente e procederà pervicacemente lungo l’insidioso sentiero del Male fino all’inevitabile fine di se stesso. Ma, ancòra, Iddio, che S’offre a tutti, ma ad alcuno mai s’impone, porgerà a costoro il dono della Grazia. E costoro, fruendo della propria Libertà, potranno rifiutare e rifiutare, e nuovamente rifiutare il dono; ed al pari del sordo ormai insensibile al suono, alla fine costoro, resisi torpidi nella Coscienza, non riusciranno più a udire la Voce che amorosamente li chiama, sprofondando in tal guisa nel nulla del non essere mai più: è la temibile “Morte Secunda” che li farà giungere alfine al porto estremo dell’“Isola dei Morti”((8. Il famoso dipinto “Toteninsel” (“Isola dei morti”) che lo svizzero Arnold Böcklin (1827 – 1901) dipinse e che oggi, dopo essere passato, per ironia del destino, dalla cancelleria di Adolf Hitler alle truppe sovietiche che lo portarono in Russia, è esposto nell’Alte Nationalgalerie di Berlino. )), il tranquillo inferno della speranza dove tutto cessa ed ogni cosa ha termine per sempre! Ma ancora, instancabilmente, la Grazia di Dio giunge anche in quel remoto angolo dell’Essere, ad estremo recupero di chi è già morto nello spirito, attraverso l’intervento del Redentore che, dalla Propria Croce insanguinata, invoca il Perdono del Padre per la pecorella perduta. Ed è questa la più grande, ed estrema, valenza della Grazia: il Figlio Si carica dei peccati del mondo ed attraverso il Proprio “Misericordioso Dolore”, umano, umanissimo Dolore, pone nelle Mani di Dio il pagamento per il debito contratto dall’Umanità con la Iustitia Dei (l’“Omnia in Pondere et Mensura”), offrendoGli a ciò il Proprio Sangue e chiedendoGli, con invocazione implorante ma fermissima (“Padre Perdonali! Perdonali, perché non sapevano quello che facevano!”), di accogliere, per il “Principio di Giustificazione”, coloro che caddero nel Male. Per il tramite del Sangue della Croce, costoro possono (pur sempre liberi di rifiutare) ricevere il Perdono da Dio Padre che ancora per Sua Grazia offre loro dono di Vita e di autocoscienza.

Il peccatore redento potrà “scegliere”, finalmente consapevole, di lasciare che Cristo lo accolga e lo accompagni lungo il percorso di salvezza.

 

 

Fig. n.1    L’isola dei morti
Fig. n.1 L’isola dei morti

 

L’incontro con il Cristo avviene, come un lavacro purificatore((9. Il vizio terreno, tra i quali il peggiore è il non aver sufficientemente amato , deturpa l’anima! Incide sull’anima come spada incandescente su cera, ma la luce divina incide maggiormente fluidificando la cera e così cancellando le piaghe per riplasmare a nuova vita.)), attraverso l’immersione nel Suo Sangue. Ed è immersione dolorosa in pena inenarrabile e profonda, che però dà Luce di Conoscenza e Consapevolezza di tutto il Male fatto: ancora ed ancora il dono munifico della Coscienza che, per Gratia Dei, lo Spirito Santo conferisce, con Essa donando la possibilità e la capacità di avviarsi verso la Nube((10. Anche la Nube – dimensione dell’accoglienza divina – attiene alla Grazia di Dio che, sotto forma di Spirito Santo, dà, in quella stazione di riposo, ma anche di riflessione, spazio alla coscienza per arricchirsi. La Nube è accoglienza di Dio che non lascia passare coloro che muoiono nell’ordinario verso l’Isola senza che in un porto ci si sia fermati per riposare, attendere, capire.)) (l’Ade). Qui si riapre per il redento il Ciclo Divino dell’Alfa e l’Omega, in un nuovo percorso di espiazione e di dolore lungo la via del Ritorno al Regno.

In conclusione, si può affermare che soltanto ascoltando il Padre, che a noi parla attraverso la voce della coscienza, saremo in grado di seguire la strada indicataci da Cristo.

Come dovrebbe dunque agire ogni giorno la Grazia per la presenza di Dio, pur attraverso la mediazione del Logos? Essa opera solo se Le consentiamo di agire, solo se porgiamo orecchio alla voce della coscienza, e ciò può attuarsi amando molto, come ci suggerisce il passo evangelico della peccatrice di Magdala. Se si ama molto (e si segue quindi la Parola di Cristo) si ode sempre più chiaramente la voce del Padre e si consente alla Grazia di operare in noi.

Dio è perenne Misericordia. Nonostante le scelte operate dall’uomo, che lo conducono incessantemente verso l’ombra, Dio continua a replicare la Realtà (trinitizzandosi), creando in un continuum eterno che trova la sua ragion d’essere esclusiva nell’Amore, cioè… nella Misericordia!

Ed ancora Misericordia v’è nel “dono” del Cristo.

Nell’opera – per così dire – di recupero di coloro che rimangono imprigionati nell’ombra del non-Sé, non si spinge il Padre, bensì il Figlio Stesso, cioè quella Parte che, trinitizzata nell’autofolgorazione, fu lasciata “libera” ((11. Da una Comunicazione dell’agosto 1990: “Perché cercare? E cosa cercare? Tutto e tutto. Dio è tutto. Non v’è distinzione tra micro e macro. Soltanto occhi avvezzi al piccolo ed al grande. Mutare gli occhi è prima necessità. Voi vivete e morite sovente con gli stessi occhi. Ma se guardate ad una curva e ragionate su di essa, mano a mano questa aumenterà la propria direzione in un senso od in un altro. Mai riuscirete a calcolarne gli incrementi senza quel salto logico dalla teoria lineare a quella infinitesimale. Essa, mirabile scoperta della mente umana, proviene da Dio. Così ragionarono coloro che vollero sondare gli abissi della conoscenza. Una curva può essere identificata su piano cartesiano da infinitesimi piccoli punti la cui possibilità di misurazione è realizzabile. Con opportuni calcoli si può integrare la serie di misurazioni fino a completare la misura di quella curva. Così è nella conoscenza del vero. L’ottica del pensare va mutata. La sequenza logica vostra è lineare per incrementi lineari: manca di integrazione, non vedendo le derivate dei punti che compongono l’obliquo e pure armonico pensiero del vero.

Dunque come pensò Iddio l’universo?

Egli non poteva, poiché non voleva, contraddicendo la propria natura, pensare Se Stesso immobile per infinito eterno prima di creare, né poteva, poiché non voleva contraddicendosi, pensare di creare e terminare di creare per altrettanta eterna immobile infinità.

Così, dunque, Egli creò folgorando Sé Stesso da sempre, come creerà sempre.

E’ visione lineare ipotizzare inizio e fine. Carcerare Dio in un “e” (matematico) è tipico del ragionamento lineare.

Ma Dio non diede creazione a ciò che è differente da Sé; né diede creazione a ciò che già era.

Nel primo caso avrebbe creato ciò che non può essere in quanto nulla vi è al di fuori di Esso né è pensabile in non-essere. Nell’altro caso avrebbe creato per sezionarsi o per degradarsi: assurdo il primo poiché Egli perfezione assoluta; assurdo il secondo poiché non degradabile, pur potendo, ciò che è perfetto, in quanto negazione della perfezione stessa. Ed allora?

Da sempre, malo avverbio per definire ciò che con pensiero lineare pensate il “sempre”, Egli crea per atto d’Amore. Ma cosa vuol dire? Egli, Uno Assoluto, può folgorare da sempre Sé, Trinitizzandosi in unico Trino Eterno Solo. Difficile a comprendersi senza infinitesimo esame dell’infinito particolare che converge integrandosi nell’Eterno Unico assoluto. Egli così genera da Sé Se Stesso che, compreso in Sé per atto d’amore, definisce libero nel Pensiero Creativo, offrendo possibilità di scostarsi da Sé per filiazione e parte assolutamente integrante

Assurdo definire il Sé senza il sé extrapolatum. Eppure così è. Ma la libertà di crearsi spazio nella trina sede di Colui che è risulta sforzo acciocché essendo Egli diviene per Lui  (riteniamo debba intendersi per mezzo di Lui) sé pensante e distante quanto Egli consente Egli vuole ed impera a sé. Ciò in eterno. In quanto non v’è logica lineare a piccoli passi su di una funzione costante; ma integrazione infinitesimale su grande insieme universale.”))

. Dunque il Figlio è libero di allontanarsi dalla Fonte, ma Esso Stesso si sacrifica nella parte più elevata, rappresentata dal Cristo, per ottenere la Grazia da parte del Padre acché ripristini la vita della coscienza in chi volle perderla. Ciò è reso possibile dall’invocato principio di giustificazione che porta al perdono.

 

In conclusione e sintesi:

Tutto ha inizio dalla Misericordia, tutto ha termine nella Misericordia”.

Inizio e termine sembrerebbero richiamarsi alla dimensione temporale, ma così non è.

L’inizio fa riferimento non al tempo cronologico, ma al tempo della coscienza e, con essa, del libero arbitrio, l’una e l’altro espressione della munificenza divina. Dunque dono di libertà accomunato a quello della coscienza di Sé. Ma la coscienza di Sé altro non è che l’Io Sono nella porzione che Dio ha elargito all’uomo, cosicché Essa è trattenuta dal sé nella parte di ombra: qui il sacrificio di Dio per la Sua creatura. Segue un’attività che è connubio tra dono del libero arbitrio e “perdono” degli strappi prodotti dall’uomo all’armonia del Tutto; Perdono che trova il suo culmine nella Grazia: l’estremo recupero dell’individuo dall’isola per il tramite del principio di giustificazione del Cristo in croce (quell’uomo non poteva sapere e va giustificato, va perdonato).

Posto infine che Dio (V.si com.ne del /08/1990) crea sempre e da sempre, per atto d’amore – ossia di misericordia – si deve concludere che ogni “momento” creativo è un tutto armonico, impossibile da percepire per l’uomo che è immerso nel “divenire”; divenire che comunque è in Dio il Quale, in quanto Tutto, non potrebbe non contenerlo. Dio genera perennemente (trinitizzandosi in Pad. Fig. e Sp.S.) Se Stesso Cui dona, per atto di filiazione, libertà di discostarSi pur rimanendo porzione integrante del Tutto. L’universo è una realtà che scorre grazie al continuo susseguirsi, istante dopo istante, dei cicli Padre, Figlio, Spirito Santo e cioè: Idea Creatrice, Forma che vive ed evolve, Forma che muore e prende coscienza.

Dunque per l’uomo (che rimane inconsapevole) ogni atto creativo è un inizio ma anche – nella reiterazione infinita – un continuum: tale inizio o – per meglio dire – tale sequenza infinita di inizi rappresenta il prodotto della Misericordia poiché Dio reitera ciò nonostante il male e benché l’uomo si volga verso l’ombra. Ma ad ogni atto creativo segue un atto conclusivo che è dello Spirito Santo. Anche quest’ultimo “momento” è dono di misericordia, poiché ogni ciclo che si chiude comporta incremento della coscienza da parte del sé, costituendo mezzo di avvicinamento del sé al Sé.

E l’ultima ora è sempre, per ciascun uomo, ricolma della Tua Misericordia”.

Al momento finale, il momento del transito, l’uomo (perduto ormai ogni aggancio all’ordinario e dunque attraverso il corpo sottile) non sarà “isolato” come in vita, ma sarà “solo” (Dio è Solo ma non Isolato); ecco perché quell’ora è ricolma della Sua Misericordia: …nel momento del passaggio tutti gli eventi vissuti passano, come in un lampo senza tempo, suonando un’unica nostalgica sinfonia; essa è abbracciata da Dio che la prende paternamente a Sé…; in quell’attimo estremo di Misericordia si è “soli”… con Lui !   L’abbraccio conferirà consapevolezza e coscienza poiché la morte è “di competenza” dello Spirito Santo che chiude il ciclo: il Padre concepisce e crea, il Figlio vive e sperimenta la forma, lo Spirito Santo chiude l’esperienza con la morte fisica e la trasforma in coscienza, cioè in vita spirituale!

Ed ecco allora che in quell’estremo attimo, separato dal fluire degli eventi umani, taluno vedrà la grande luce, tal altro l’Angelo. Poi, pienamente consapevoli del male e del bene compiuto in vita, ci sottoporremo all’autogiudizio il cui termine di misura sarà perfetto, giusto ed inflessibile, poiché sarà il medesimo che noi abbiamo usato in vita con i nostri fratelli!

Così ci fu infatti preannunziato :

Nell’ultimo momento della vita Michele Arcangelo, Capo delle Milizie di Dio, manda a voi il suo messo, l’Angelo della Morte. Ed egli non è come l’iconografia vostra lo rappresenta. Egli è bellissimo angelo, i tratti disegnati di grigio scuro, le ali nere, un drappo col cucullare in capo che ne copre il sembiante. Quando scende verso voi lentamente dall’alto si pone innanzi a voi giganteggiando con altissima figura ed ha sulla mano destra falce lucente e sulla sinistra una bilancia. Dinanzi a lui vedrete allora emergere da voi il vostro Sé grande, il quale si porrà con Egli a dire: cosa vuoi? Voi dal vostro piccolo, nel momento in cui il Sé ha deciso di staccare l’ordinario, chiederete: voglio questo, vorrei questo, io chiedo questo. E sarà il vostro Sé grande, giudice severo, inflessibile di voi stessi a porre sulla bilancia dell’Angelo della Morte, che guarderà con occhi di ghiaccio verso di voi, belli ma tristi, malinconici, perché portato al compito di vibrare il colpo della falce contro l’ordinario. Su quella bilancia verranno posti i vostri sì, i vostri no, il vostro aver agito o non agito in amore. Ma Voi giudicherete voi. Posto che sia stato il dialogo compiuto, vedrete una lacrima scorrere lungo il viso dell’Angelo della Morte, il quale, angelo d’amore come tutti gli altri, vorrebbe ancor lasciare tempo all’ordinario per riparare ai torti. Ma il vostro Sé prenderà la mano dell’angelo che tiene falce e l’angelo infine darà l’ultimo strappo all’ordinario. Da qui il percorso verso la Nube((12. L’Ade.)). E se la goccia che lacrima dall’Angelo della Morte cade, essa è goccia che dalla brocca scende ancora giù. ((13. La Brocca: il Seno di Dio, in senso figurato.))

Il giudizio del nostro Grande Sé non va inteso quale passaggio punitivo, poiché ancora in quell’attimo estremo v’è dono di coscienza, dono di consapevolezza, acché noi si possa comprendere la valenza negativa del nostro non aver agito in amore ((14. Non è poi così difficile fare la cosa giusta, è difficile sapere quale sia la cosa giusta da fare; è su tale difficoltà  che poggia il principio di giustificazione del Cristo innanzi a Dio a favore del genere umano.)). Ecco perché possiamo affermare con forza che anche “l’ultima ora è sempre, per ciascun uomo, ricolma della Sua Misericordia”. Perché ancora, come sempre, la Grazia di Dio ci consente di ritentare e di scegliere il volere ed il non volere, liberi, così come Egli ci concepì, così come Egli ci volle. Liberi perfino di non percepire il Suo pianto silente per il non averci accanto!

Dunque, la consapevolezza donatami per Grazia dallo Spirito Santo mi dà ancora l’opportunità di nascere a nuova vita: son libero di accoglierla o meno, ma l’accettarla implica anche espiazione: questa  non è castigo, bensì scelta libera del “rinato” che, ormai consapevole, perseguirà progetti incarnazionisti idonei a ricucire – sia pur in parte e per ciò che potrà – lo strappo prodotto.

Se proviamo, allora, ad ampliare la nostra visuale comprendiamo che la Grazia opera secondo parametri globali… nessuno è escluso da Essa, mai, poiché salvo ha da rimanere il principio della Iustitia Dei.

Tutto questo ci riporta al concetto di “Riconciliazione” dell’uomo con Dio e dunque del Mondo con Dio. Qual è il segno della raggiunta presa di coscienza? L’avvertire Pace! Essa è sigillum di nuova acquisizione del Vero: è il momento in cui il cuore non è più “inquietum”.((15.  “Cor meum inquietum est donec in Te requiescat, Domine” – Sant’Agostino.))

Sin qui la Grazia che Dio Padre ci offre attraverso lo Spirito Santo. Tuttavia il dono non si esaurisce in ciò. Altra ancora è la Grazia che ci giunge attraverso un altissimo Spirito che è stato da Dio incaricato di operare in tal senso nei confronti dell’uomo: la Donna/Madre!

Il mondo si salverà attraverso la Donna rappacificatrice!”. Così ci fu annunziato nel corso di una comunicazione di tempo ormai a noi tanto lontano. Ella è “piena di Grazia” poiché così volle Iddio che fosse, ed è “plena” poiché elevatissimo è lo Spirito da Dio ricolmato. Ma la Legge dell’Amore divino è tale per cui chi trabocca di ricchezza dona, dona sempre ciò che possiede, e Maria che tanto ha della Grazia di Dio, tanto dona di Grazia all’uomo che si dibatte nel dubbio della ragione e soffre nel carcere della materia.

Profezie, apparizioni inspiegabili, miracoli, carismi sono doni in sovrappiù che da Lei vengono profusi acché la Fede dell’uomo si manifesti o si corrobori e non avvenga che egli abbandoni la via che porta alla Luce, affinché si ricomponga in Unità la “Famiglia” umana (la generazione) dispersa per le strade oscure della materia e del peccato che la uccide!

Alla luce di tutto ciò dovremo pervenire alla conclusione che tutti noi siamo già potenzialmente salvati, poiché tutti siamo destinatari della Misericordia salvifica che sempre ci accompagnò, ci accompagna ed accompagnerà, Misericordia che nella Grazia Divina trova il suo culmine: il perenne dono grazioso di Coscienza che attraverso lo Spirito Santo si realizza e ci permette di conoscere e di comprendere il Vero, aiutandoci ad abbandonare le false immagini che gli specchi ingannevoli della realtà materiale ci rimandano. Sta però a noi comprendere e quindi scegliere: permanere nella plaga oscura del dolore e del pianto finché, vinti dall’Amore del Vero, cercheremo faticosamente la via erta del ritorno, o, di contro, affrettarci a rompere le catene e i lacci che ci serrano e ci tengono separati dalla Realtà di quel Paradiso ove ad attendere è l’abbraccio del Padre?

Così, sulle ali del vento, con note flautate, giunse dalla Regione dell’invisibile questa melodia:

Or i’ vi canto de la Luce che spenger mai si puote.

 I’ non la tegno accosta ma vers’Ella ognor procedo.

 A voi, fratelli nella terra carca di dolore e pianto,

dico di mai obliare in cuor l’Amor che mai abbandona.

A vostro conforto e salvamento sappiate che la Morte vi sorveglia.

Essa dolor però non porta ch’ a l’umano, misero sembiante.

Nullo timor, fratelli, abbiate d’essa, poiché del Padre Altissimo

l’abbraccio, poi, v’attende eterno.

E pure, ‘n tenebra o nel pianto, lo mio poeta errò nel dire :

 “…non isperate mai veder lo Cielo!”.

Tutto vedrà domani, al fin, la Luce.

Non disperdete, però, le mie parole

ne la mota de li peccati immondi,

poiché immenso, ed arduo, e forte, ed aspro,

sarebbe come ‘l mio, lo vostro camminar verso salvezza.((16. L’entità che dettò lo scritto si presentò a noi come Farinata degli Uberti, personaggio citato da Dante nell’Inferno.))

Torna su