Il Quarto Mistero
Gesù di Nazareth ed il Logos : Due Entità o Una Sola?
Dall’incipit del Vangelo di Giovanni apostolo:
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di Lui
e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In Lui era la Vita
e la Vita era la Luce degli uomini;
la Luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
[ . . . ]
Veniva nel mondo la Luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui;
eppure il mondo non Lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non Lo hanno accolto.
A quanti però Lo hanno accolto
ha dato potere di diventare Figli di Dio:
a quelli che credono nel Suo Nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo Si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la Sua Gloria,
Gloria come del Figlio Unigenito
che viene dal Padre,
pieno di Grazia e di Verità.
[ . . . ]
Dalla Sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
Grazia su Grazia.
Poiché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la Grazia e la Verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno Lo ha mai visto:
il Figlio Unigenito, Che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è Lui che Lo ha rivelato.
Lo conobbero come il “Falegname di Nazareth”, l’“Unto del Signore”, il “Gesù Cristo”, il “Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo”; ed agli ultimi tra gli ultimi, vinti ed oppressi, schiavi e prostitute che sostavano un poco ad ascoltarlo lungo le colline delle terre di Galilea, Egli diceva: “Io sono la Via, la Verità, la Vita: chi crede in Me anche se muore vivrà; e chi vive e crede in Me non morirà in eterno”.
Questo messaggio di speranza e di vita eterna Egli mandava ai cuori di coloro che non ritrovavano più in sé la luce per rischiarare il proprio dramma del vivere; schiacciati, in quel tempo, dal tallone di Roma, e vessati, in quei luoghi, da una religione che rispettava più la “Legge dei Padri” che la persona umana.
“Beati gli afflitti – diceva – perché saranno consolati”: così il Cristo offriva conforto alla disperazione ed alla solitudine di tutti gli uomini che, per ogni dove e per ogni età, nella disperazione e nella solitudine si dibattono senza riuscire a liberarsene.
I due più inaccettabili ed insopportabili misteri per la natura umana, la “Morte” ed il “Dolore”, venivano in tal modo riportati dal Salvatore nelle dimensioni dell’accettazione e della sopportabilità grazie alla promessa della “Vita Eterna” per chi in Lui crede e vive, e mediante il conforto della consolazione per chi annega nella sofferenza.
Ma… Chi era; o… Cos’era, dunque, Quest’Uomo chiamato “Gesù” e detto “il Cristo”, ossia l’unto del Signore?
E… Quale “Forza” era in Lui; tale da lasciare, nei secoli, il più forte e rassicurante messaggio di vita e serenità che l’umanità abbia mai conosciuto ?
Si disse: Figlio di Dio.
Egli era nel “Logos”, ed il “Logos” era in Lui; anzi, Egli Stesso era il Logos.
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Entriamo dunque fratelli nel Mistero che tutt’oggi avvolge come nebbia Colui che volle porsi alla testa di quello sconfinato esercito formato da cenciosi e randagi e dimenticati e afflitti della terra e nella cui persona Iddio Stesso volle fare albergo ‘sì che comunione si ebbe tra Logos e Spirito di lui, talché l’Altissimo carne si fece in quell’uomo e l’uomo Dio divenne.
Come comprendere e sfiorare con la ragione l’evento che tuttora d’energia divina fa vibrare la storia dell’uomo?
Se miracolo fu, lo fu per certo perché da Amore spinto; ma qui d’Amor parliamo che ignoto all’uom rimane, e solo d’alte note Colà risuona in unisono accento.
E musica armoniosa d’Amore generò l’incontro tra l’Amor del Logos e l’Amor del Fante Suo: quell’Amor che risuona a lente note nella serenità dell’armonica armonia delle Superne Sfere.
In quell’eccelso Loco fu dal Cristo raccolto l’impegno a cotanta impresa che petita mai gli fu dall’Alto, perché l’Amore, nella Dimensione Somma, è dono solerte a prevenir l’istanza.
Or dunque per cercare di squarciar velami che ci impediscono di cogliere l’idea sul Logos e sul Figlio Suo – che pur sempre diafana rimane alla mente umana -, dovremo qui affrontare le fatiche dello scioglier nodi che serran la ragione ed il pensiero.
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Il “Logos” è l’aspetto della Divinità che agli uomini si manifesta; l’unico ad essi intellegibile, ’ché il “Padre”, ovverosia l’“Idea” di Dio, non è – né mai sarà – conoscibile all’intelletto umano.
Il “Creato” è opera del Logos, il Quale, rappresentazione del “Dio Immanente” come “Figlio”, nel Creato è immerso e tutto lo permea; ‘ché nulla, infatti, è al di fuori di Dio.
Ma Dio è anche “Coscienza” di Sé; e tale aspetto della Divinità è quello teologicamente inteso come “Spirito Santo”.
L’“Inno al Logos” apre l’Evangelo di Giovanni, che possiede un profondo contenuto iniziatico e teosofico che lo differenzia notevolmente dagli altri tre “Evangeli Canonici”.
L’incipit di tale Evangelo esprime, in forma semplice, la pur ermetica definizione che Giovanni tenta di esprimere sul Dio Immanente; ‘ché – vale ripeterlo – del “Dio Trascendente” nulla può essere manifesto all’uomo.
“In Principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.
Il Verbo è identificabile nella Figura del “Figlio”, il Quale – rispetto al “Padre”, “Idea” Unica e Tutta ed Eterna, nonché allo Spirito Santo, “Coscienza” Unica e Tutta ed Eterna – rappresenta l’“Atto” Unico e Tutto ed Eterno.
Ne deriva, con riferimento al Logos ed al giovanneo “Inno al Verbo”, che “tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”; che “In Lui era la Vita e la Vita era Luce degli uomini”; che “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.
È il “Ciclo Sacro dell’Alfa e l’Omega”, la cui compiutezza è realizzata dalla “Trinità” attraverso il Pensiero Divino del Padre, l’Actio Divina del Figlio, il Sapio et Scio dello Spirito Santo.
In altre parole, affinché si possa tentare di capire l’enormità misterica di questo scritto, valga evidenziare che, nell’eterna Opera Divina (da sempre In Fieri, In Atto, eppure tutta Già Attuata), il Padre è Pensiero Creativo Divino, Luce che squarcia la tenebra; il Figlio è Realtà Divino-Umano-Divina Che Giustifica per Amore il caos imperfetto e, caricandosi della Croce, S’immerge nella tenebra per portarvi la Luce; lo Spirito Santo, che è la Percezione Immediata della Coscienza della Conoscenza e della Conoscenza Cosciente, conchiude il Ciclo Sacro dell’Alfa ed Omega ponendo fine al caos malum ed imperfetto, ch’è tenebra, nella raggiunta Sapiente Coscienza Perfetta e Luminosa dell’Universo.
Il “Tutto” mirabilmente riportato in versi dal sommo Poeta Dante Alighieri nella nota terzina del “Canto XXIII” del “Paradiso” de “La Divina Commedia”:
“O Luce Etterna che sola in Te sidi,
sola T’intendi, e da Te intelletta
e intendente Te ami e arridi!”.
“In Principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ”.
Ora, poiché l’“Eternità” è, in re ipsa, eterna e senza principio né fine, non è pensabile un Dio “Immobile” per un’infinita eternità prima della “Creazione” e nuovamente immobile per l’eternità dopo la Creazione. Dunque, con l’espressione “In Principio”, riferita ad un tempo in cui non esisteva il “Tempo” e che può apparire – ictu oculi – un paradosso, l’Evangelista voleva intendere non tanto l’atto generativo del tempo cronologicamente inteso, quanto invece il principio della “Coscienza dell’Universo”.
Non agevolmente esplorabile, il concetto di “Principio della Coscienza dell’Universo” è consequenziale a quello di Coscienza riferita alla singola Persona umana. E, per ciascun uomo, prima la Coscienza di “sé” (minuscolo) e poi la Coscienza del proprio “Sé” (maiuscolo) rappresentano l’unico vero traguardo cui la vita terrena è volta; laddove per sé (minuscolo) sia da intendersi l’autocoscienza del singolo individuo, sinonimo di quel “Cogito, ergo sum”, di cartesiana memoria; e laddove con Sé (maiuscolo) s’intenda la scintilla divina, quell’“Essenza” spirituale, universale ed eterna che fa di ogni Soggetto una creatura concepita ad immagine e somiglianza del Creatore.
Il “Logos”, altrimenti denominato “Verbo” ( ma il sostantivo greco possiede una maggiore pregnanza semantica che induce a conferirgli il più autentico significato di “Pensiero-Idea” del Creato Che, esprimendoSi con la “Parola”, produce “Vibrazione d’Amore”), è la Vibrazione, dalla più alta e risonante, alla media, alla più bassa e sussurrata, che dà origine ad ogni creatura e cosa, e tutte di Sé le permea integralmente.
Ebbene, Cristo e Logos Si comprendono ed integrano, confondendosi quasi in un “Insieme” di “Mistero” e “Luce”, di “Dolore” e di “Salvezza”, che ha segnato per sempre, e profondamente, la Storia del mondo. Ma, al contempo, Dio e Logos sono l’Uno nell’Altro e Questi nel Primo, ed Entrambi nello Spirito Santo, il Quale è Coscienza del Padre e del Figlio; ed i Tre “Divini Aspetti” sono “Uno”, dall’Eternità e per l’Eternità, in un Continuum di Idea ed Atto e Coscienza ‘sì da imprimere sigillum divino in tutto ciò ch’è nella Realtà del Creato.
Continua, poi, così l’Inno al Verbo di Giovanni: “Veniva nel mondo la Luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui; eppure il mondo non Lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non Lo hanno accolto. A quanti però Lo hanno accolto ha dato potere di diventare Figli di Dio: a quelli che credono nel Suo Nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo Si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la Sua Gloria, Gloria come del Figlio Unigenito che viene dal Padre, pieno di Grazia e di Verità”.
Superno ed universale messaggio si cela in questi versi, apparentemente impenetrabili alla ragione umana. Da essi vien dato di sapere, infatti, che il mondo è stato creato dal Logos, pur non avendoLo poi il mondo riconosciuto; che il Logos è in ogni uomo, pur se l’Uomo non L’ha accolto, e che ha dato potere di divenire “Figli di Dio” a coloro che credono nel Suo Nome, intendendo per questi ultimi i loro Sé (maiuscolo), Che non da carne e sangue umani ma da Dio sono stati generati; che il Logos si fece uomo e scese, e visse, tra gli uomini, sfolgorante nella Propria mirabile Gloria di Figlio Unigenito del Padre e ricolmo di Grazia e Verità.
Che cosa vogliamo intendere con ciò?
L’Uomo, “Partizione” di Dio incarnata nella materia, e dunque vera e propria “Immagine” di Dio, è il risultato dell’inestricabile fusione tra la componente fisica ed istintüale della sua materialità (il cosiddetto “Corpo Ordinario”) e quella emozional-animica (il cosiddetto “Corpo Sottile”), entrambe governate dalla componente cosciente e volitiva (l’“io sono”; il “Cogito, ergo sum”, cioè, ch’è rappresentazione diretta del cosiddetto “Corpo Causale”, depositario del libero arbitrio); tutte e tre le suindicate componenti permanendo, nella vita terrena, inscindibilmente unite a costituire il “sé” (minuscolo) che appartiene a ciascuna creatura umana contraddistinguendola irrepetibilmente da ciascun’altra.
Il Logos permea di Sé ogni creatura umana. Il risultato di tale “Impregnazione Divina” è dato dal “Sé” (maiuscolo). Questi presenta un duplice e misterioso aspetto nella propria Divina Natura: se da un canto, infatti, è inscindibilmente correlato ai tre “Corpi” umani (Ordinario, Sottile, Causale) nel corso della vita terrena d’ogni uomo, acquisendo da essi, nel tempo, “Esperienza di Conoscenza” e “Coscienza di Conoscenza”, dall’altro canto Si riflette ed esiste in eterno nell’“Universalità Eterna dell’Uno”, sopravvivendo alla morte fisica di colui che Gli appartiene, ed anzi possedendo facoltà di ritornare nella carne umana per un nuovo ciclo di Esperienza di Conoscenza e Coscienza. E tale Esperienza prende scaturigine dalle libere scelte dell’individuo, vale a dire dal suo cosiddetto “Libero Arbitrio”; quel Dono dell’Amore Divino, cioè, che dà facoltà e capacità di scegliere se indirizzarsi verso le tenebre della materialità (il soddisfacimento egoico, quindi, delle pulsioni terrene), oppure verso la ricerca della Conoscenza e della Coscienza di Conoscenza che approssima alla Luce della Divinità (l’ascolto, quindi, della cosiddetta “Coscienza Morale”, ch’è “Grazia” Divina). Grazie al Libero Arbitrio, l’Uomo, dopo l’immersione nella materialità con il corrispettivo carico di dolore, solitudine e peccato, indispensabili per l’acquisizione dell’esperienza, potrà, volendolo, abbandonare il transeunte e misero “regno delle tenebre” per fare ritorno al grande ed eterno “Regno della Luce”.
Tentiamo ora di immergerci nel Mistero Cristico del Logos (vero Dio) Che Si è fatto uomo (vero uomo).
Partendo dal dato per cui, nell’incipit del proprio Evangelo, Giovanni parla di “Luce”, volendo intendere con ciò una sorta di “Vibrazione Divina”, “alta e sìncrona” per quanto inerisce alle “Cose Celesti” e “bassa ed asìncrona” per quanto attiene al mondo materiale della tenebra, potremmo anche affermare che il Logos è – in un certo qual senso – la “Voce” di Dio nella Sua espressione vibratoria Che produce effetti creativi per ogni dove e per ogni quando nell’Universo. Ciascuna cosa creata, infatti, possiede una propria vibrazione; ed è, così, come se Dio avesse conferito un nome ad ogni cosa e creatura, e, nel proferirne il nome (cioè: proferirne il Verbo), l’avesse tratta “al di fuori” di Sé per dare forma e concretezza ad essa. Così agirebbe il Logos; Ch’è Dio.
Ma il Logos è ancòr’altro: Egli è – si potrebbe azzardare, in paragone comprensibile per l’umana
specie – anche “Sentimento”; ed è anche Sentimento perché percepisce ed avverte tutto il Creato, come
“Filiazione” Propria, e pertanto “avverte” di amarlo. Anzi, di più: perché il Logos è l’“Amore” Che da Dio procede, permeando e sostenendo ogni cosa ch’è ritmata nel susseguirsi d’un’infinita serie di hic et nunc; in un continuum che, senza tempo, include in Sé anche il tempo cronologico noto agli umani incarnati. Dunque, ogni uomo sarebbe la risultante di un’Idea che giunge da Dio e della realizzazione di Essa per mezzo del Logos; di talché, tutta l’Umanità sarebbe “Figlia” del Logos, e, pertanto, ciascun uomo sarebbe, nel proprio Sé (maiuscolo) e grazie al Logos, vera “Partizione” dell’Unico e Grande “Sé” (il Padre) Che, ancorché partitoSi nella “Comunità” dei Sé (maiuscolo), permane Unico pur sempre e per sempre.
Il Logos, che tuttavia Gesù chiama “Padre” perché ogni cosa per mezzo del Logos ebbe origine, è dunque Amore; è cioè l’incommensurabile ed inconcepibile Amore per il “Sé” Proprio e per i “Sé” (maiuscolo) da Lui partiti per mezzo di Lui. E, poiché “Tutto” fu fatto per mezzo di Lui, Tutto è irradiato dal Suo Amore (e Dante si riferisce proprio al Logos quando canta dell’“Amor che move ‘l sole e l’altre stelle”).
Ora, l’Uomo, ch’è connubio inscindibile di Sé (maiuscolo) e di sé (minuscolo ), è cioè “Immagine” di Dio quale armonica integrazione, pur apparentemente antitetica, fra “Spirito” e materia, fra Bene e male, possiede invero Amore in Sé (maiuscolo) ed in sé (minuscolo). E ciascuno Spirito incarnato come uomo, eppure creato ad immagine e somiglianza di Dio, ha ricevuto il dono dell’“Autocoscienza”; il dono, cioè, del cosiddetto “io sono”, che, se da un lato appartiene al Sé (maiuscolo), dall’altro è anche sé (minuscolo) che si appalesa sul versante materiale attraverso l’iter delle incarnazioni.
Immerso nella realtà terrena, ch’è regno della tenebra definito anche come del “non sé”, l’Uomo ignora però la propria origine divina e dunque non riconosce il proprio Sé (maiuscolo), il quale, originato dalla Pars Luminosa di Dio, lo accompagna comunque silenzioso in attesa di essere scoperto, rinvenuto, accolto, invocato. Quel Sé (maiuscolo), ch’è “frammento” della Divinità e “riflesso” luminosissimo di Essa, giunge dal Logos, ed è Logos; quel Logos Che, nonostante Si riparta in infiniti Sé (maiuscolo), in Verità mai si fraziona perché è Dio, permanente Uno nella Propria Trina Unità di Padre, Figlio (o Logos), Spirito Santo.
Ecco, allora, il conflitto dilacerante che si presenta ad ogni creatura incarnata: avvertire, da un lato, pulsioni e richieste della propria materialità egoica che vorrebbe assecondare, e dall’altro possedere nel profondo, il Sé (maiuscolo), ovverosia il Logos, ma non averne Coscienza; non avere, cioè, la consapevolezza della possibilità di comunicare con Esso, né tampoco la capacità di accoglierLo.
Eppure,è questo il vero punctum dolens nel quale si addensano le nebbie che avvolgono il mistero della scelta umana fra Bene e male, fra Cielo e terra, fra Dio ed “Isola dei Morti”((1. Titolo del dipinto di A. Bocklin – più volte citato nei libri 2° – che rappresenta l’isola infernale ove trovano sepoltura eterna le anime di coloro che sono stati preda della seconda morte: quella dello spirito.)); ma, per contro, è questo il momento dal quale possono diradarsi tali nebbie, perché proprio dal conflitto in discorso emerge la sintesi che concilia, nella Persona umana, il suo Libero Arbitrio, l’“Accoglienza” del suo Logos, la “Grazia” e la “Misericordia” di Dio che su ciascuno dei mortali intervengono suasive eppure mai cogenti.
L’uomo incarnato è, per “Dono” Divino, libero di scegliere se proiettarsi verso la Pars Luminosa di Dio o verso la regione della tenebra. La via verso la Luce è quella dell’Accoglienza((2. Sull’Accoglienza si è ampiamente trattato nel libro 2° “La Luce sul Sentiero”.)). L’uomo potrà compiere tale percorso soltanto se porrà in essere la volontà di accogliere i “Fratelli”, e dunque di “Operare in Amore”; perché chi accoglie il Fratello accoglie Cristo (Ch’è il Logos), e chi accoglie Cristo accoglie il Padre Celeste. E l’accogliere i Fratelli come tali, dimenticando sé stessi (minuscolo) come porzione separata dal Tutto (non cadendo, cioè, nell’inganno dell’egoità e dei sensi materiali), consentirà al Logos di penetrare nel sé (piccolo); cosicché, quest’ultimo, facendosi accogliente verso il Sé (grande), potrà operare in armonia ed in comunicazione con il Logos.
Il lungo e doloroso percorso dell’Uomo, che dall’oscurità della tenebra della materia risale liberamente verso la Luce, continua anche attraverso molteplici incarnazioni che aiutano il Sé (maiuscolo) ad affinarsi sempre più; ciò, fino a quando l’umano sé (minuscolo) riuscirà ad identificarsi completamente nel suo luminoso Sé (maiuscolo), accogliendoLo in toto così da confondersi in Esso, e con Esso. Da ultimo, il Sé (maiuscolo) sboccerà ad un nuovo inizio di “Vita”, in cui coscienza individuale e “Coscienza Cosmica” coesisteranno. E sarà allora che un “Nome Nuovo” verrà conferito al Sé (maiuscolo), perché il vecchio nome del sé (minuscolo) sarà ormai dissolto, mentre il Sé (maiuscolo), immerso in pleniutudine nel seno del Grande Sé (il Logos, e cioè il Figlio), avrà preso Coscienza di essere “Figlio della Casa”; sarà entrato così nella “Comunità dei Sé”: il “Regno”; il Regno che rappresenta il felice ed estremo approdo per chi abbia scelto di dirigersi verso la Pars Luminosa della Divinità. E chi giungerà al Regno avrà realizzato quella che nell’“Apocalisse” di Giovanni è definita come la “Prima Resurrezione”.
All’incontrario, il sé (minuscolo) che permanga con pervicacia, per propria libera scelta, nella Pars Tenebrarum (denominata anche come la “regione del non sé”) andrà via via perdendo gradualmente, nel tempo, la propria capacità di percepire il Logos e di poterLo ascoltare e seguire. In tal guisa, il sé (minuscolo) andrà perdendo, del pari, la Coscienza stessa del Sé (maiuscolo); e tale perdita potrebbe condurre, infine, alla cosiddetta “Mors Secunda”; una “Morte” che – si badi –determinerebbe la scomparsa della Coscienza del Sé (maiuscolo) correlato all’individuo, e non già la scomparsa del Sé (maiuscolo). Questo, (il Sé – maiuscolo), infatti, rimane in Dio ed alla Divinità appartiene, e dunque al Tutto che nessuna perdita può mai subire.
Ebbene, qui sta la chiave che può aprire lo scrigno in cui è custodito il Mistero Cristico; che, poi, è Mistero del Logos.
L’uomo terrestre in cui, nella Storia umana, il Logos s’incarnò doveva possedere speciali qualità e, soprattutto, speciale attitudine all’Accoglienza. Il suo nome fu Gesù, Gesù di Nazareth, Che fu poi detto “il Cristo”, vale a dire “l’Unto del Signore”.
Il Mistero dell’impresa salvifica si imperniava e si impernia ancor oggi su tre condizioni: la Libertà dell’uomo, intangibile per l’Alto volere del Padre; la Legge divina che impone le condizioni per il riequilibrio dell’armonia turbata, ossia la legge del Karma; l’Amore quale forza creatrice e quale insopprimibile sentimento del Logos per le proprie creature. Come conciliare l’una senza violare o disattendere l’altra?
Dio avrebbe potuto, se avesse voluto, mutar d’un balzo l’oscura parte libera in pars luminosa, ma avrebbe così imposto il Suo volere soffocando quella libertà da Lui Stesso sancita per le sue creature, ed avrebbe al contempo infranto la Sua Legge ed i meccanismi in essa insiti per il riequilibrio dell’armonia. E allora?
L’Amore mosse Colui che già vibrava in altissime note all’unisono col Padre Celeste: il Sé luminosissimo del Cristo. Egli si fece interprete dell’Amore del Padre, ossia del Logos per il Suo creato e dunque per le Sue creature, ed entrò nella storia facendosi uomo e incarnandosi in Gesù per indicare la strada del ritorno ai fratelli dispersi e soffocati dalla materia, abbreviando così i tempi del loro ritorno alla Luce ed alleviando altresì il carico immane di dolore dell’umanità il cui peso ora, come allora, poggia in grandissima parte sulle spalle Sue, quel dolore generato dal male del mondo, generato dal peccato dell’umanità intera: il Peccato Originale. ((3 Beninteso non già quello tradizionalmente inteso e che appartiene al mito di Adamo ed Eva. Sul Peccato Originale v.si Appendice “B” del 2° libro.))
L’Amore, una forza che attrae, ma senza imporre alcunché se non scelto; l’Amore che per lasciare inviolata la Legge accetta il sacrificio più alto acché il prezzo della sanzione sia pagato! Dunque nessuna costrizione, dunque nessuna violazione della Legge.
Gesù incarnato ha vibrato in perfetta sintonia col suo Sé (Maiuscolo) già sincrono in Amore col Logos. Dal che, si può proclamare a gran voce che Gesù Cristo fu – sì – vero uomo, ma fu anche – sì – vero Dio : Unus Deus Unus Homo In Christo.
Vale evidenziare come non vi sia differenza tra il Sé (maiuscolo) di Gesù e quello che vive in ciascun altro uomo: Quello e Questo sono la Stessa Cosa (essendo pur sempre Logos), lo stesso identico “riflesso” dell’Unica Unitaria Divinità, con la differenza che Quello di Gesù era già pervenuto ad altissimo livello di Coscienza di Conoscenza (alla consapevolezza, cioè, di essere la Divinità; e, non a caso, nella simbologia apocalittica, Giovanni descrive il Sé di Gesù come un agnello con sette occhi, laddove l’occhio è il simbolo della Coscienza ed il numero sette quello della piena e completa totalità). In ciò sta anche la ragione per la quale, a colui che avrà raggiunto un alto grado di aderenza al Logos, sarà possibile compiere miracoli; così come Gesù Cristo fece, posto che non era Gesù di Nazareth a compierli ma il Cristo con il Logos Ch’era in Lui. Invero, la fusione con il Logos, così come avvenne in Gesù, è potenzialmente realizzabile in ciascuno di noi. Lo Spirito Santo (cioè, Dio inteso come Coscienza di Conoscenza) aveva conferito al Sé (maiuscolo) di Gesù la massima plenitudine di Coscienza di Conoscenza (simboleggiata dall’ultima lettera dell’alfabeto greco: l’“Omega”), mentre il Sé (maiuscolo) della gran parte degli altri uomini Ne possiede una piccola parte iniziale (simboleggiata dalla prima lettera dell’alfabeto greco: l’“Alfa”); per questo il Cristo poteva affermare: “Io Sono l’Alfa e l’Omega”; e cioè, l’inizio della Coscienza di Conoscenza ed il suo pieno completamento.
In forma d’uomo, Gesù di Nazareth ebbe il proprio sé (minuscolo), con le sue stille di sangue di “ego”, ed il proprio Sé (maiuscolo), con la sua Luce di Logos che Lo permeava. Fu, dunque, vero uomo che, accogliendo pienamente il Logos nel corso della propria esistenza terrena, prese consapevolezza piena del proprio Sé (maiuscolo), il Quale S’identificò, pertanto, ed in toto, nel Logos. Così, Egli Si conformò totalmente al Logos (Ch’è il Figlio), talché la sua volontà (di uomo; del sé – minuscolo) non ebbe più voce, mentre, forte ed ormai unica, quella del Logos (Figlio) risuonò in Lui: “Padre, la Tua Volontà sia fatta, non la mia”.
In quel momento del tempo della Storia, nella profonda sofferenza dell’orto del Getsemani, le stille di sangue dell’egoità del sé (minuscolo) di Gesù colarono lente, come narrano gli Evangeli, lungo la sua fronte già madida di sudore, e lì Egli scelse di abbracciare la Croce non tanto e non solo per confarSi in toto alla Volontà del Padre, quanto perché Egli riteneva “giusto” operare in Amore fino all’estremo sacrificio, ossia operare non secondo la Legge, ma secondo l’Amore, ovvero secondo il Logos !!
IlFiglio sceglieva allora di morire caricando su di sé (e su di Sé) tutta la tenebra, tutto il dolore, tutto il peccato del mondo.
Invero, per risarcire (nel senso letterale di “ricucire”) lo strappo che ciascun uomo produce (produsse e produrrà) nella “Comunione dei Sé” (maiuscolo) con il proprio peccato v’è un prezzo da pagare, prezzo necessario per ricostituire l’equilibrio turbato((4. A ripristinare l’armonia turbata del Cosmo v’è la Legge meglio nota come “Karma”.)). Al tempo di Gesù l’umanità era sprofondata a tal punto nella tenebra e nell’egoità, che, per quanto lungo ed aspro e doloroso potesse configurarsi il suo percorso di risalita, essa non sarebbe riuscita a tornare alla Luce senza ausilio dall’alto: troppo superiore alle sue forze sarebbe stato il prezzo da pagare per saldare in toto il suo debito. Ecco dunque il sacrificio del Figlio, che porta sulle Sue spalle la Croce di Dolore dei Peccati del Mondo che Egli è sempre pronto a risarcire. Il che sarebbe impossibile per il singolo peccatore con le sue sole forze; per cui, se abbandonato dal Salvatore, egli sprofonderebbe, schiacciato dal peso insopportabile dell’incolmabile debito, perdendosi nel gorgo abissale della mors secunda e dissolvendosi, con il proprio Sé (maiuscolo), nell’oblio della “non-Coscienza” del Sé (maiuscolo), che equivarrebbe al “non essere” mai più. Il Redentore (Gesù, Logos), però, non dimentica né abbandona alcuno, e scende agli “inferi” (simbolicamente rappresentata nel dipinto l’“Isola dei Morti”), anch’essi parte (quella “tenebrosa”) del Tutto-Uno, e nelle latebre dell’oscurità cerca e ritrova la Sua pecora smarrita, donandole, attraverso la Grazia, nuova Coscienza e quindi nuova Vita.
Gesù dunque ha interpretato appieno la parte del figlio carcerandosi nel “sé”, ma anche quella del Figlio aderendo in pieno al Logos, seconda persona, di Cui ha colto totale Consapevolezza lasciandosi completamente permeare ed anzi divenendo Egli Stesso Logos Solare Universale, perfettamente identificato in Dio.
Con la morte corporale di Gesù v’è l’esplosione del “Sé” che si libera dalla prigione di materia e che trasforma il cadavere di Gesù in fotoni di luce (Sindone).
Gesù in realtà non resuscita tornando ad essere ed apparire in forma umana identica a quello stesso individuo di prima, ma RISORGE (cosa ben differente). La “resurrezione” è completa trasformazione che proietta verso un livello superiore di Coscienza. Cristo che appare a Maria di Magdala non è riconosciuto in prima battuta, ma è scambiato da questa per l’ortolano; i discepoli Lo riconoscono non dalle fattezze del fantasma, ma da come spezza il pane; Tommaso crede solo dopo aver “toccato” e cioè dopo un processo complessissimo sopraggiunto grazie al “dono” conferitogli da Cristo. Dunque il “sé” (minuscolo) morendo dona vita cosmica a quel Sé (maiuscolo) di Gesù che è ora per noi vero uomo e Vero Dio.
Come parte del Sé, e dunque porzione di Dio, Egli ha aderito compiutamente al piano salvifico; come uomo la Sua scelta Lo ha legato karmicamente ai Sé di tutta l’umanità e quindi di ciascun uomo.
Egli allora – dobbiamo credere – rimarrà al fianco dell’ultimo uomo finché anche questi non sarà salvo. Nessun uomo, dunque, sarà mai realmente solo… Anche quando sopraggiungesse il momento più desolante o il dolore più devastante, non rimarrà inascoltato, non sarà abbandonato.
Cristo, pertanto, non ci ha accolto, ma ci accoglie sempre, in ogni momento della nostra esistenza. L’Amore, quello vero, non è costrizione. Egli non ci impone nulla. Così, solo se e quando lo vorremo, potremo a nostra volta accogliere Lui. Solo allora si verificherà l’abbraccio che ci trasformerà.
Egli accompagna chi L’accolse vivendo in Lui e con Lui; accompagna chi non L’accolse, attendendolo pur sempre con l’ansia del padre che attende il figlio che non imbocca la via del ritorno, del ritorno verso casa, la Casa. Egli ama d’amore infinito i figli della Casa del Padre, coloro cioè che aprirono il loro cuore all’inondo del Logos; ma ama altresì d’amore infinito chi non Lo ha accolto: infinito è pari ad infinito. E così sceglie di restare al nostro fianco, anche al fianco di coloro che rimangono ignari della Sua amorevole presenza.
In conclusione, Egli può affermare “sono l’Alfa”, il principio, perché il Logos nella Misericordia divina si fa carne; può altresì affermare “sono l’Omega”, la fine, poiché il Logos per Misericordia Divina giunge alla croce ed attraversa la morte così come la attraversano tutti gli uomini incarnati. Con la morte fisica chiude il ciclo, ma per aprirne uno nuovo che si palesa all’uomo attraverso la Sua resurrezione.
Dunque Gesù è il primo uomo risorto, ma è anche nunzio di resurrezione per l’umanità intera quando i tempi saranno giunti a maturazione.
In Gesù abbiamo la prima rappresentazione di ciò che potenzialmente ciascun uomo possiede: la capacità di “risorgere”, di giungere alla sublimazione della materia che dal “sé” (male perché egoica rappresentazione della separatezza dal tutto) si “trasferisce” nel “Sé” (Bene), aprendo in tal modo un nuovo ciclo.
Tutto ciò è reso possibile attraverso l’accoglimento interiore del Logos o, se si preferisce del Cristo ‘ché, per identificazione altissima, accogliere l’Uno o l’Altro non fa differenza alcuna per uomo, ecco il grande Messaggio che, forse mal compreso, volle lanciare Giovanni nell’incipit del suo evangelo.
Oggi questa rivelazione ci permette di comprendere come Dio non guardi all’uomo dalle Sue lontanissime ed irraggiungibili altezze, ma, al contrario, quanto sia vicino ad esso e quanto sia partecipe del suo dolore. Ci permette altresì di comprendere che ci è stata offerta per Misericordia di Lui la chiave per il conseguimento della nostra stessa emancipazione sol che lo si voglia: accoglienza del Logos, accoglienza del Cristo, accoglienza del fratello!
Giuda Iscariota: Uomo Della Perdizione?
Gv. 17/12 “… io ho guardati coloro che Tu mi hai dato, e nessuno di loro è perito se non il figliuol della perdizione, acciocché la scrittura fosse adempiuta”.
Appare opportuno ben interpretare a chi si riferisce Gesù e a che cosa.
In questo passo la interpretazione tradizionale vuole ravvisare Giuda quale “figlio della perdizione”.
Interpretazione però assai opinabile e discutibile: sulla sua sorte post mortale infatti nulla sappiamo né potremmo sapere, poiché non sappiamo, né potremmo sapere, quale giudizio egli volle darsi.
Ma davvero dobbiamo credere che Gesù, il Cristo fatto uomo (cioè la Divinità che si identifica con l’uomo), sia venuto sulla terra per salvare tutti all’infuori di Giuda, solo lui, affinché le scritture si adempissero? Ma a quali scritture si riferisce il passo? Quelle che preconizzavano l’arrivo di un Messia salvatore? E se pur vero fosse, è da ritenersi che le scritture vadano così interpretate e cioè in definitiva che esse superino il valore della salvezza stessa di Giuda? Qualcosa non torna anche su un piano eminentemente razionale.
Per certo Gesù/Cristo nessuno lascerebbe indietro, foss’anche un solo uomo. Foss’anche per lui soltanto, si adopererebbe per salvarlo. Non ha forse Egli predicato che il buon pastore lascia le 99 pecore per andare a ritrovare quell’unica che si è smarrita? E non si è Egli forse definito il Buon Pastore di noi tutti?
Il dare credito alla interpretazione tradizionale non costituisce forse un peccato di fede? Fiducia in Dio. Si può forse ritenere che Dio abbandoni qualcuno per quanto colpevole?
Ma, si potrà obbiettare, egli peccò contro Dio, Lo tradì e Lo portò a morte sulla croce! Se anche così fosse, v’è da chiedersi, tuttavia, quanti di noi peccatori hanno in ogni giorno del proprio incedere sulla terra dei viventi tradito il Cristo col proprio agire. Eppure essi sono già salvi! Perché Giuda no?
Non dobbiamo dimenticare il principio intangibile di Dio: la Libertà dell’uomo (Dio si arresta volontariamente dinanzi alla scelta dell’uomo che Egli Stesso volle libero); né va dimenticato il principio dell’autogiudizio.
Giuda era un discepolo amato, amato più degli altri, amato sopra tutti da Gesù poiché, tra l’altro, era chiamato al compito più odioso: il Suo tradimento. Due erano i prediletti (se così possiamo dire) Giovanni e Giuda. Entrambi iniziati ai Misteri. Il Primo dotato di carattere contemplativo, docile e sognante, il secondo più determinato, combattivo e incline all’azione.
Forse il passo evangelico va inteso nel modo seguente:
“Tutti, Padre, ho custodito ed a tutti ho indicato la Via della salvezza; solo il figlio della perdizione non ho potuto salvare: colui, cioè, che volle, per propria libera scellerata scelta, proiettarsi verso la materia anziché verso la Luce, fino all’ottundimento dell’ “Io Sono”, fino alla cessazione graduale della Vita (leggasi della Coscienza), fino alla tomba infernale della palude dell’isola dei morti: la morte seconda”.
Che Giuda sia già perdonato da Dio è implicito e non occorrono disquisizioni in merito, ma il perdono sappiamo essere anche di ciascuno di noi verso noi stessi.
Se Giuda avesse liberamente scelto di non perdonarsi ritenendo troppo grave ed imperdonabile il suo peccato? Ecco che l’ottica si sposta non più al Cristo bensì all’individuo ed al suo autogiudizio che “liberamente” si dà.
Giuda si sentì tradito, lui sì, da Gesù: quando, deluso, si rese conto che la speranza della rivoluzione attesa e preconizzata per il popolo ebraico si spegneva con la morte di Gesù e che su di Lui ed il Suo nome calava implacabile l’ignominia del tradimento. Avrebbe voluto tornare indietro, cancellare tutto… ma ormai era troppo tardi. Disperato, perduta la fede nelle parole di Gesù, coperto di vergogna, pensò di uccidersi. Conosciamo il racconto dei Vangeli. E la storia a venire avrebbe guardato a Giuda come la figura più odiosa del cristianesimo, sarebbe divenuto l’esempio in negativo di ciò che di più abietto si possa commettere: il tradimento dell’innocente, di più: il tradimento dell’Uomo/Dio.
Due le figure che si pongono all’origine della storia del Cristianesimo: quella di Gesù, circonfuso della gloria del Suo martirio sulla croce e quella di Giuda, la cui memoria richiama il ludibrio ed il disprezzo dell’umanità intera, perennemente additata come quella del traditore per eccellenza! ((5. Dante colloca Giuda nel punto estremo del Cocito (ove espiano nel ghiaccio coloro che tradirono i benefattori dell’umanità) denominato “Giudecca” proprio dal nome di Giuda. E’ l’ultima delle quattro zone concentriche, dove si trova Lucifero, immerso nel ghiaccio fino alla cintola. Le altre tre parti del Cocito sono la Caina, dove vengono puniti coloro che tradirono i propri parenti (nome derivato dal primo fratricida della storia: Caino); l’Antenora, dove vengono puniti coloro che tradirono la propria patria, (nome derivato da Antenore personaggio dell’Iliade) ed infine la Tolomea, dove vengono puniti coloro che tradirono i propri ospiti (nome derivato dal personaggio biblico Tolomeo di Gerico ).))
Giuda va compreso e quindi rispettato. Rispettato nel suo autentico disperato dolore, compresa la sua scelta sebbene da non condividere e da non giustificare ovviamente.
Così come si chiude il libro di Giuseppe Berto vorrei concludere questa pagina che sempre suscita in noi profonda emozione….:
“De profundis ad Te clamavi Domine… Signore, non ascoltare la mia voce!”