PREMESSA
Dalla Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi 12/2:
“Conosco un uomo unito a Cristo che 14 anni fa — se con il corpo o fuori dal corpo non lo so, lo sa Dio — fu rapito fino al terzo cielo. E so che quell’uomo — se con il corpo o separato dal corpo non lo so, lo sa Dio — fu rapito nel paradiso e sentì parole che non possono essere dette e che a un uomo non è lecito pronunciare.”
Qui Paolo nella seconda lettera ai Corinzi racconta in breve la sua stessa esperienza: il rapimento al 3° Cielo. Tale sua personale esperienza e le parole che non possono essere dette e che a un uomo non è lecito pronunciare costituiscono quella che viene definita l’Apocalisse (copta) di Paolo. È un testo che risale presumibilmente al 150-250 d.C., con attribuzione pseudoepigrafa all’Apostolo Paolo.
TESTO
Manca la prima parte
…la strada. Ed egli si rivolse a lui, dicendo: «Per quale strada salirò io a Gerusalemme?».
Qui si presuppone che Paolo abbia incontrato un fanciullo e con lui abbia cominciato a colloquiare.
Paolo cerca la strada per raggiungere Gerusalemme; ma quale? Quella vera o quella Celeste?
Si rammenti che quella vera giace su una distesa pianeggiante; dunque, la Gerusalemme del mondo della materia è piatta, mentre quella Celeste, come ci rivela Giovanni (che assiste alla sua misurazione con una canna), è un cubo; con ciò volendo significare che il passaggio dalla Gerusalemme materiale a quella Celeste è passaggio di dimensione, come dire che si passa dalle due dimensioni alle tre dimensioni.
Il fanciullo gli rispose: «Dimmi il tuo nome perché io possa indicarti la strada». Il fanciullo sapeva chi era Paolo. Ma voleva intrattenersi con lui, con le sue parole, per trovare un pretesto di parlare con lui.
Il fanciullo chiede il nome, ma vuole sapere il suo “vero nome”, cioè non quello umano bensì quello divino.
Il fanciullo proseguì dicendo: «lo so chi sei tu, Paolo. Tu sei colui che fu benedetto fin dal grembo materno.
A questo punto il fanciullo gli confessa che lui sa bene il suo nome e lo chiama Paolo ed aggiunge inoltre che lui sa che Paolo fu benedetto sin da quando si trovava nel ventre di sua madre (dunque lasciando intendere che lo conosce bene e conosce anche il vero nome di Paolo, il nome divino).
Perciò sono venuto da te, affinché tu possa salire a Gerusalemme, dagli apostoli, tuoi compagni. È per questo motivo che io ti ho chiamato. Io sono lo Spirito che ti accompagna. La tua mente (Nous) sia sveglia, Paolo!
Il fanciullo dice a Paolo che gli farà da guida, che lui è lo Spirito che lo accompagna nel percorso e che farà in modo che lui possa “salire” a Gerusalemme (ovviamente quella Celeste visto che lo dovrà accompagnare in alto; la Gerusalemme reale è in basso in pianura). Infine, lo esorta: “Affinché tu possa riuscire ad affrontare il viaggio è necessario che la tua mente sia sveglia”. Cioè: Chi ha orecchie per intendere intenda! Dunque, da aprire non la ragione, ma la mente acché possa rendersi a lui visibile ciò che è oltre la materia.
Mancano sette righe
«…tra gli arconti e queste potestà e gli arcangeli e le potenze e tutta la stirpe dei demoni e la casa di colui che svela i corpi al seme di un’anima». Terminate queste parole, egli proseguì dicendo: La tua mente si sveglia, Paolo! Vedi che la montagna sulla quale stai è la montagna di Gerico, di modo che tu possa conoscere le cose nascoste in quelle che sono manifeste.
Gli arconti, le potestà e gli arcangeli, sono guardiani dei Cieli, gli esattori, come vedremo meglio più avanti.
La “stirpe dei Demoni e la casa di colui che svela i corpi al seme di un’anima” è da intendersi quel complesso di forze egoiche che spingono e guidano un’anima verso un corpo fisico umano permettendole di incarnarsi in esso.
La montagna di Gerico da cui si possono vedere le cose nascoste in quelle manifeste potrebbe qui indicarsi molto semplicemente il monte Nebo, (alto circa 800 mt. s.l.m.), che sovrasta in realtà la pianura su cui si stende grande parte della Terra Santa; il Nebo è monte sacro agli ebrei poiché su di esso Mosè avrebbe ricevuto da Dio la visione della Terra Promessa e dove si dice che lo stesso Mosè fu sepolto.
Anche questa è un’allegoria. Viene infatti detto a Paolo che lui sta lì, sul monte dal quale può osservare dall’alto le cose nascoste che stanno entro quelle manifeste. Paolo, quindi, possiede la “mente sveglia” di colui che ha raggiunto il grado iniziatico della “visione dall’alto” o “Epiphaneia” (manifestazione, apparizione); tale capacità gli permetterà di “vedere” all’interno delle cose visibili all’occhio umano quelle invisibili per le quali è necessaria una seconda vista quella spirituale (il famoso terzo occhio).
«Ora tu andrai dai dodici apostoli, poiché essi sono gli spiriti eletti ed essi ti saluteranno». Egli alzò gli occhi e li vide: essi lo salutarono. Allora lo Spirito Santo, che parlava con lui, lo afferrò e lo portò in alto, su fino al Terzo Cielo, e passò oltre fino al Quarto Cielo.
Lo Spirito gli dice che dovrà raggiungere i 12 apostoli, presentarsi cioè agli Spiriti eletti, poiché essi lo saluteranno. Questi Spiriti hanno delle peculiarità che non ci vengono rivelate. Lo stato vibrazionale dei corpi di Paolo gli consentono ora di salire e lo Spirito, – in questo caso definito Spirito Santo perché la condizione vibrazionale attiene comunque al grado di Coscienza di Paolo -, lo sospinge verso il terzo Cielo ed oltre fino al quarto.
Lo Spirito Santo gli parlò dicendo: «Guarda! Sulla terra scorgi la tua somiglianza». Egli guardò giù, e vide quelli che erano sulla terra. Lanciò uno sguardo verso Dio che è al disopra della creazione. Poi guardò su in alto e vide i dodici apostoli alla sua destra e alla sua sinistra, nella creazione. E lo Spirito era davanti a loro.
Da questa condizione Paolo è in grado di percepire un’ampia visione del Creato qui allegoricamente descritta come visione del basso e dell’alto in un’unica veduta che abbraccia l’immanenza e la trascendenza della realtà. Paolo guarda giù e vede l’umanità, vede gli uomini sulla terra, poi lancia lo sguardo in alto verso Dio, ma non vede Dio Padre ovviamente, vede però ciò che sta al di sopra e al di là della materialità e scorge ancora una volta i dodici apostoli, gli spiriti di Verità, che affiancano la Suprema Essenza dell’Essere “nella creazione”: il LOGOS. Non a caso, infatti, viene usata la parola creazione poiché essa è opera del Logos che tutto permea, in alto come in basso.
Guardai :
nel Quarto Cielo, secondo la loro classe, vidi gli angeli rassomiglianti a dèi: questi angeli portavano un’anima fuori dalla terra dei morti. Essi la posero alla porta del Quarto Cielo. E gli angeli la frustavano. L’anima parlò dicendo: «Che peccato ho commesso nel mondo?». L’esattore che siede nel Quarto Cielo replicò: «Non era giusto che tu commettessi tutte le iniquità che sono nel mondo dei morti». L’anima rispose dicendo: «Produci dei testimoni! Indichino, essi, in quale corpo ho commesso quelle iniquità; volete portarmi un libro e leggerle da esso?». Vennero tre testimoni. Il primo parlò dicendo: «Non c’ero io, forse, nel corpo nella seconda ora? io mi levai contro di te fino a quando tu fosti preso dall’ira, dalla rabbia e dall’invidia». E il secondo parlò dicendo: «Non c’ero, forse, io nel mondo? Entrai alla quinta ora, ti vidi e ti ho desiderata. Ed ecco che ora io ti accuso degli omicidi che hai commessi». E il terzo parlò dicendo: «Non venni forse io da te alla dodicesima ora del giorno, quando il sole stava tramontando? Ti ho concesso oscurità fino a quando tu non hai compiuto i tuoi peccati».
Il Quarto Cielo è descritto come il Cielo in cui avviene il giudizio dell’anima al termine della sua vita terrena.
Qui si fa esplicitamente riferimento alla “reincarnazione” tant’ è che l’anima chiede in quale corpo avrebbe lei commesso delle iniquità.
Siamo in una fase drammatica del racconto di Paolo nel quale egli ci riferisce di ciò che accade ad un’anima che ha pervicacemente reiterato, in molteplici incarnazioni, esistenze di peccato. Un’anima che è rimasta sorda allo Spirito e si è resa responsabile di continue nequizie. Un’anima che nonostante abbia ricevuto dall’Alto e dal suo Sé grande più e più opportunità, si è pasciuta di ego e di vizio.
L’anima, al momento del distacco dal corpo fisico, viene dapprima raccolta dagli angeli[1] nella terra dei morti, cioè nel mondo terrestre, per essere poi accompagnata forzatamente al quarto Cielo dagli stessi angeli che, frustandola, la presentano innanzi all’Esattore per il giudizio finale. A Lui l’anima si rivolge e chiede che cosa mai abbia commesso di male nel mondo. L’esattore le rimprovera le tante ingiustizie compiute nel mondo dei morti. A questo punto l’anima nega e chiede che vengano prodotti testimoni e anzi che sia prodotto il suo libro; qui si riferisce al libro della Vita, libro in cui è annotato tutto il percorso, spirituale e non, di ciascun essere umano nel mondo. È il libriccino di cui parla Giovanni nella sua Apocalisse, il “libriccino dolce e amaro”.
Il testimone che accusa l’anima peccatrice è il suo grande Sé; è in realtà l’auto giudizio che formula il Sé grande (ossia lo Spirito) al sé piccolo (ossia l’anima). Chi la accusa è dunque un fanciullo, quel fanciullo che, nel caso di Paolo, è guida e compagno dell’anima di Paolo nei piani superiori della Coscienza (i Cieli).
Lo Spirito rimprovera all’anima di essere stato presso di lei e di essersi palesato a lei in più incarnazioni terrene: nella seconda ora, nella quinta ora e nella dodicesima ora quando il sole stava tramontando. Ciò nonostante, l’individuo aveva continuato nella strada del vizio e del peccato fino all’ultimo, fino a quando “il SOLE” era giunto al tramonto ed anche oltre, cioè fino a che non vi era stata più luce, ovvero fino a quando i canali di scambio tra l’anima e lo Spirito si erano spenti del tutto. Anzi dice il Sé: Ti ho concesso oscurità, ma invano, ossia ancora ti ho lasciato vivere e chiamato mentre eri nell’oscurità, ma inutilmente perché continuasti comunque a peccare. Qui vengono sottolineate TRE CHIAMATE.
(da una comunicazione)
“““Tre volte così lo (Giuda) chiamai; due volte a gran voce vi ho chiamato! Ma egli sordo non rispose; voi?
Ora io vi chiamo a Me dall’alto dei Cieli e dalle profondità del mio dolore. Chi obbedisce al mio richiamo è amico e non servo, poiché conosce la mia parola che è quella del Padre. Due volte vi ho invocato; due volte siete stati vinti dal sonno. Perché?”””
Allora l’anima, udite queste cose, abbassò gli occhi molto triste; poi guardò verso il cielo, ma fu respinta in basso. Allorché fu respinta in basso questa anima, andò in un corpo che era stato preparato per lei. Ed ecco, le sue testimonianze erano finite.
A questo punto il giudizio ha avuto termine, l’anima è triste, volge per un attimo lo sguardo verso l’alto, verso il Cielo e percepisce ciò che ha perduto, ma subito viene ricacciata verso il basso nella terra del non-Sé per entrare in un ben determinato corpo: in un corpo preparato per lei. Quale sia questo corpo non è detto esplicitamente, ma è da ipotizzare che sia un animale; in questo caso, infatti, l’anima non è sospinta da colui che sta nella casa che svela i corpi al seme di un’anima, quell’entità cioè preposta ad accompagnare e guidare un’anima in un corpo umano. L’anima prima di entrare in quel corpo ha orrore, orrore di ciò che ha perduto, orrore del destino cui va incontro[2]. È questa la fase in cui lo Spirito (ossia l’autocoscienza, l’Io Sono) abbandona l’anima e torna all’Origine Sua, torna al Padre. L’anima ha desiderato più la materia che lo Spirito, ad essa volgendosi sempre più e sempre più restandovi avvinta, avviluppata. È il momento in cui l’individuo precipita nella seconda morte (la mors secunda), ossia viene abbandonato dallo Spirito che cede difronte alla scelta libera in favore della materia e si distacca.
“Oh, uomo, eri libero, libero di scegliere tra il Cielo e l’abisso e hai scelto quest’ultimo; potevi scegliere tra la coscienza dell’Angelo e quella del bruto e hai scelto sempre il fango, ed allora ti incarnerai nel corpo di un maiale e così nel fango da oggi potrai rotolarti a tuo piacere! “
Allora guardai in alto e vidi lo Spirito, che mi disse: «Vieni, Paolo! Avanza verso di me». Allora io andai. La porta si aprì, ed io giunsi in alto al Quinto Cielo. Vidi gli apostoli, i miei compagni, che camminavano con me, mentre lo Spirito ci accompagnava. Nel Quinto Cielo, vidi un grande angelo che stringeva nella sua mano un bastone di ferro. Con lui c’erano altri tre angeli. Io osservavo il loro viso. In mano tenevano delle fruste e rivaleggiavano tra loro eccitando le anime ad andare verso il giudizio. Ma io camminai con lo Spirito, e la porta mi si aprì. Allora noi salimmo al Sesto Cielo. Vidi gli apostoli, miei compagni, che camminavano con me, e lo Spirito Santo che mi conduceva davanti ad essi. Guardai su in alto e vidi una grande luce che splendeva in basso, giù nel Sesto Cielo. Parlai all’esattore che era nel Sesto Cielo, e gli dissi: «Aprimi!». E lo Spirito Santo era davanti a me. Egli mi aprì. Allora salimmo al Settimo Cielo.
L’ascesa di Paolo continua. Lo Spirito lo conduce e lo invita a proseguire mentre all’ingresso di ogni Cielo lui vede gli Apostoli che lo seguono ad ogni passaggio. A questo punto Paolo giunge al settimo Cielo.
Ed io vidi un vegliardo la cui luce faceva risplendere i suoi abiti bianchi. Il suo trono, nel Settimo Cielo, era sette volte più splendente del sole. Il vegliardo parlò dicendomi: «Dove vai, tu, Paolo? O benedetto, che fosti posto da parte fin dal grembo di tua madre!». Ma io volsi lo sguardo verso lo Spirito, ed egli mi fece un cenno del capo, dicendomi: «Parla con lui!». Allora io risposi al vegliardo: «Sto andando al luogo dal quale sono venuto!». Il vegliardo mi replicò: «Donde sei venuto?». Io gli risposi: «Discendo verso il mondo dei morti per fare prigioniera la prigionia che è stata fatta prigioniera nella prigionia di Babilonia».
Qui incontra un vegliardo luminosissimo che possedeva un trono che Paolo descrive come sette volte più lucente del sole. La peculiarità che si rileva è che a guardia del settimo cielo non stia un esattore, ma un vegliardo risplendente. È come se Paolo fosse giunto ad un livello, il settimo, che è come uno spartiacque; ipotizzo: sette Cieli, sette stati della Coscienza, sette sigilli del Libro apocalittico di Giovanni. Il vegliardo chiede dove stia andando e aggiunge: “o benedetto che fosti posto da parte fin dal grembo di tua madre”; da interpretare: oh uomo che sei stato protetto, guardato, accudito sin dal momento del tuo concepimento e dunque sin da quando iniziasti la tua vita terrena. Paolo gli risponde e gli dice che sta per fare ritorno in terra (il mondo dei morti) con lo scopo di “fare prigioniera la prigionia”, è un gioco di parole con cui Paolo vuole intendere “per liberare l’uomo dalla sua prigione di carne”, impedire cioè alla carne di rendere schiavo l’uomo, e lo farà insegnando agli uomini e operando tra di essi, diffondendo cioè la Parola del Cristo. Ed aggiunge “prigionia che è stata fatta prigioniera dalla prigionia di Babilonia”, intendasi: l’uomo, che è stato fatto prigioniero e reso schiavo dalla materialità del mondo e dai suoi vizi: il mondo della materialità qui indicato col nome di Babilonia (il luogo della perdizione delle anime). Dunque, da interpretare: “voglio liberare gli uomini resi prigionieri dal mondo della materia”.
Nel linguaggio apocalittico per Gerusalemme Celeste va inteso il mondo dell’Essere in contrapposizione (anzi direi meglio in complementarità) con Babilonia la grande, il mondo del non-Essere.
Il vegliardo mi replicò:
«Tu come potrai sfuggirmi? Guarda! Osserva gli arconti e le potestà!».
Il Vegliardo a questo punto chiede a Paolo come gli sarà possibile passare oltre il settimo Cielo. Gli indica a tal proposito gli arconti e le potestà, ossia i guardiani che sono incaricati di vigilare l’ingresso, i quali gli impediranno il passaggio.
Rispose lo Spirito e mi disse:
«Dagli il segno che hai, ed egli ti aprirà». Allora gli diedi il segno. Egli volse lo sguardo verso il basso, alla sua creazione e alle sue autorità!
La peculiarità in questo livello sta nella circostanza che Paolo non potrà passare oltre il settimo Cielo; il vegliardo glielo dice chiaramente: Non supererai i controlli dei guardiani, non basterà la semplice presenza del suo Sé, occorre qualcosa di più: un segno da mostrare.
Qual è il segno che possiede paolo? Quale sarà il “lasciapassare che gli consentirà di procedere oltre così come lo Spirito gli suggerisce? Qui non è detto in maniera esplicita e il lettore non può sapere, non può capire; di certo non si tratta di un oggetto materiale, ma di qualcosa di immateriale, dunque una qualità specifica di Paolo, una qualità che attesti il suo grado di elevazione spirituale che lo rende pronto e in grado di procedere ancora più in alto verso l’ottavo Cielo. Immagino, ma è solo un’ipotesi, che Paolo venga invitato dallo Spirito a mostrare la sua pietruzza bianca, quella pietruzza bianca cui si fa cenno nell’Apocalisse di Giovanni in cui è detto: “al vincitore della Chiesa di Pergamo io darò la manna nascosta (manna= manas) e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve” (è infatti il nome dell’Io Sono, corrispondente al grado di Auto-Coscienza raggiunto che solo chi lo possiede conosce).
Si aprì allora il Settimo Cielo e noi salimmo all’Ogdoade. Allora vidi i dodici apostoli: essi mi salutarono. E noi salimmo su al Nono Cielo. Salutai tutti coloro che erano nel Nono Cielo.
A questo punto Paolo riesce a passare e entra nell’ottavo Cielo: l’Ogdoade, ovvero il luogo dove, nella mitologia dell’antico Egitto, ha sede il Regno delle Otto Divinità primordiali ( Amon, Amaunet, Nu, Naunet, Eh, Hauhet, Kuk, e Kauket; i primi quattro chiamati Tetrade e gli otto Ogdoad), gli archetipi che forse possiamo identificare negli ELOIM ossia coloro che, secondo il racconto biblico, presiedettero alla creazione dell’universo. Paolo procede e saluta i dodici Apostoli e anche coloro che abitano il nono Cielo.
E salimmo al Decimo Cielo. E salutai gli spiriti miei compagni.
Egli giunge al decimo ed ultimo Cielo; è il punto massimo cui Paolo può spingersi, non andrà oltre. Colà, in quella dimensione egli trova gli Spiriti suoi compagni. Attenzione, qui non si parla di uomini o di anime, ma si parla di Spiriti compagni; non Spiriti fratelli, perché gli Spiriti sono tutti fratelli; è da ritenere che per spiriti compagni si debbano intendere gli spiriti di coloro che sono dotati di affinità con lo Spirito di Paolo. Un’affinità tra Spiriti di pari livello, saldati da un legame di condivisione e somiglianza, ma anche di complementarità e amore non umano. Potremmo dire, mutuando un termine caro a Pietro Ubaldi, che essi formano una NOURI, cioè producono, in unione tra loro, un unico grande flusso di Coscienza. Egli incontra, potremmo dire in altri termini, i musicisti di quella orchestra di cui egli stesso fa parte e con cui suonerà sinfonie celesti.
Conclusione
Ma allora? Quale sarà il destino di Paolo e quello di tutti coloro che, come lui, cresceranno sul piano della Coscienza? È forse Paolo destinato a scomparire con la sua anima per fondersi e confondersi nel suo Spirito che a sua volta si unirà agli Spiriti compagni? O forse no? Forse Paolo, una volta perduta la sua corporeità (ormai superflua per avere portato a termine la sua missione terrena) guadagnerà la super Coscienza spirituale in unione col suo Sé grande, non subendo in questo caso perdita alcuna, ma mutandosi in uomo angelicato, pienamente divinizzato. Così mi piace sperare, così mi piace desiderare, così mi piace immaginare che sia.
LEGENDA:
- Fanciullo – Spirito che accompagna – Spirito Santo
È la Coscienza di Paolo, dunque, è il “Sé grande” di Paolo qui rappresentato sotto forma di fanciullo;
- Anima
È il “piccolo sé” di Paolo o di altri uomini citati nel testo;
- Gerusalemme
È da intendersi allegoricamente la Gerusalemme Celeste cui fa riferimento anche Giovanni nella sua apocalisse, città divinizzata che si contrappone a Babilonia la città della corruzione e del peccato;
- Cieli
Sono i piani vibrazionali sempre più sottili a mano a mano che Paolo sale di livello;
- Apostoli tuoi compagni
Sono tutti coloro che hanno diffuso la Parola del Cristo e che hanno testimoniato la Via, la Verità e la Vita; dunque, un’altra allegoria per indicare lo Spirito di Verità di cui lo stesso Paolo è permeato poiché è stato in terra testimone ed apostolo della Verità. Non sono da intendersi pertanto gli apostoli di Gesù strictu sensu, bensì apostoli di ogni tempo e di ogni credo religioso diffusori della Parola di Dio;
- Arconti, Potestà, Arcangeli e Potenze
Sono i cosiddetti “esattori” di ciascun Cielo, sono le forze che impediscono a coloro che non ne hanno le qualità di accedere a quel piano vibrazionale. Dunque, quello che in altre dottrine viene indicato come “il Guardiano della Soglia”. (V.si appresso al nr. 11);
- La Casa di Colui che svela i corpi al seme di un’anima
E’ quel “luogo” dove agiscono le forze egoiche le quali operano opportunamente acché l’anima – che necessita di esperienza reincarnazionale – trovi un corpo ad essa appropriato per le finalità che l’anima stessa (il sé piccolo) si prefigge;
- La montagna di Gerico da cui si possono vedere le cose nascoste in quelle manifeste
Potrebbe qui indicarsi, sia pure sotto forma simbolica, del monte Nebo, (alto circa 800 mt. S.l.m.), che sovrasta in realtà la pianura su cui si stende grande parte della Terra Santa; il Nebo è monte sacro agli ebrei poiché su di esso Mosè avrebbe ricevuto da Dio la visione della Terra Promessa e dove si dice che lo stesso Mosè fu sepolto.
È indubbiamente un’allegoria. Viene infatti detto a Paolo che lui sta lì, sul monte dal quale può osservare dall’alto le cose nascoste che stanno entro quelle manifeste. Paolo, quindi, possiede la “mente sveglia” di colui che ha raggiunto il grado iniziatico della “visione dall’alto” o “Epiphaneia” (manifestazione, apparizione);
- La terra dei morti.
Essa indica il mondo terreno. Si potrebbe definire anche “terra dei dormienti” poiché gli uomini incarnati sono addormentati nello Spirito, ovvero nella Coscienza. “Lascia che i morti seppelliscano i morti”, dice Gesù al giovane che lo vuole seguire, ma che prima vuole andare a seppellire il padre defunto;
- “Discendo verso il mondo dei morti per fare prigioniera la prigionia che è stata fatta prigioniera nella prigione di Babilonia”
Sto rientrando sulla terra col compito di liberare l’uomo ossia di liberare l’anima dalla prigione di carne, quella carne (prigione) schiava, cioè prigioniera a sua volta di una prigione ancora più grande rappresentata dal luogo delle passioni e del peccato (Babilonia) ove si commettono tutte le più atroci iniquità; mi piace sottolineare ancora una volta la simbolica contrapposizione tra Babilonia, capitale delle iniquità e la Gerusalemme Celeste, approdo per le anime che, avendo vinto il mondo, hanno appetito il Cielo ed ora abitano nella Città Santa.
- Esattore
È così chiamato il guardiano posto a vigilare acché nessuno, ancora impreparato, varchi quel Cielo. Pertanto, non potrà accedere, ovvero sarà impedito l’ingresso, a colui che dovesse risultare con un grado non appropriato di elevazione;
- Libro
Ha lo stesso significato che ritroviamo nell’Apoc. di Giovanni nella quale si parla inizialmente del grande libro dell’umanità e dei suoi sette sigilli, e più avanti del libriccino di Giovanni. Per libriccino Giovanni intende il suo personale libro, quello stesso richiesto dall’anima peccatrice nell’Apoc. di Paolo. Nel libro è annotato tutto e ci racconta, con rigore, il percorso di ciascun individuo, non sul piano materiale, bensì racconta il progresso spirituale e lo stadio nel quale l’uomo intestatario del libro si trova;
- “Tu come potrai sfuggirmi? Guarda! Osserva gli Arconti e le Potestà!”
Tu come farai a passare oltre? Non vedi i guardiani della soglia che vegliano ed operano?
- “Dagli il segno ed egli ti aprirà”
Qui non è dato conoscere quale sia il “SEGNO” che permetterà a Paolo di passare oltre; sarebbe da ipotizzare che il “segno” in questione sia la “pietruzza bianca” in cui è inciso il nome, il vero nome, che solo chi la riceve conosce; quella pietruzza bianca che è citata in Apocalisse di Giovanni. Non va sottaciuto che all’inizio dello scritto, il fanciullo-Spirito dice a Paolo “io ti conosco io so CHI sei tu Paolo”. Infatti, è da intendersi che “Paolo” è semplicemente il nome umano e non il suo “VERO NOME”.
- Ogdoade
Questo termine sta ad indicare le otto divinità primordiali come è indicato nella mitologia dell’antico Egitto. Dunque, l’ottavo Cielo è il luogo dove risiedono le otto divinità primordiali, gli Archetipi (forse non a caso trattasi di “ottavo Cielo”).
- Gli Spiriti miei compagni
Chi potrebbero essere costoro? È da presumersi che per “spiriti compagni” debbano intendersi gli Spiriti legati a Paolo da affinità. Un’affinità fraterna di Spiriti di pari livello tra cui vi è condivisione e somiglianza, ma anche complementarità. Potremmo dire, mutuando un termine caro a Pietro Ubaldi, che essi formano una NOURI, cioè producono, in unione tra loro, un unico grande flusso di coscienza.
Si potrebbe inoltre fare riferimento, secondo la dottrina cattolica, al Corpo Mistico di Cristo, quell’organismo immateriale, trascendente che, al pari di quello fisico costituito da cellule, è, in questo caso, formato da un complesso di Spiriti elevati.
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- Paolo parla di angeli simili a dei, secondo la loro classe; il che ci fa comprendere che tali esseri gli appaiono come esseri superiori, divinizzati, ma che appartengono evidentemente ad uno specifico livello, lasciando intendere che vi siano angeli inferiori e angeli superiori. ↑
- Accade ciò che viene rappresentato simbolicamente da Böcklin nel suo dipinto: “L’isola dei morti”. ↑