CAP VIII

Sulla Morte Seconda

Se la morte prima è morte del corpo, è disfacimento del vestito di creta cui forse mi affezionai, ma che, una volta esaurito il compito, devo abbandonare, altro è da dirsi per la cosiddetta Seconda Morte.

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Della seconda morte troviamo un cenno nell’Apocalisse di Giovanni: “Alla Chiesa di Smirne”; “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: il vittorioso non sarà colpito dalla morte seconda” .

 Essa viene citata anche da San Francesco nel Suo cantico:

Laudato si’ mio Signore, per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullu homo po’ scampare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,

ka la MORTE SECUNDA no’l farrà male.

Questa, al contrario della prima, è morte dello Spirito. E’ nave che non fa rientro al porto da cui ebbe varo, ma fa naufragio. Si badi che nell’economia del Tutto non v’è perdita. Poiché di nulla potrebbe impoverirsi il Tutto. La perdita nefasta è eminentemente soggettiva poiché è reale morte del Sé, vale a dire non del Sé quale virtuale partizione di Dio, bensì della coscienza insita nel Sé Medesimo che, così morendo, perde consapevolezza della propria individualità, annullandosi; è morte voluta, scelta dallo Stesso Sé; permessa da Dio per amore della Libertà che Gli concesse.

Nella tradizione religiosa la morte seconda equivale alla condanna finale nel giorno del giudizio universale; per l’anima impura è condanna inappellabile e definitiva all’inferno, alle fiamme eterne, a sofferenze inaudite per sempre.

Così avremo un primo giudizio temporaneo di Dio appena morti, poi un secondo alla fine dei tempi, quello universale (ma non si capisce perché questo doppio grado di valutazione che peraltro non muta dal momento che i dannati nel primo resteranno tali anche nel secondo!). Quindi una condanna feroce, ineluttabile e soprattutto eterna, cioè senza fine, mai! Ma se poniamo a confronto anche i più atroci crimini contro l’umanità commessi dal più feroce dittatore in brevi attimi di vita terrena con la pena alle fiamme eterne, ci sembra che sussista comunque uno squilibrio, Anche seguendo tale logica la vita consisterebbe in una sorta di gioco alla roulette, una riffa; chi pesca il numero fortunato (come dovremmo considerare secondo tale logica i bimbi che muoiono appena nati) avrà il paradiso eterno, chi quello sfortunato (l’uomo che, diventando adulto, e per le circostanze della vita, commette dei crimini), arrostirà nel fuoco senza fine!((2. Ecco l’incongruenza cui ci porta un certo credo religioso per non ammettere il principio della reincarnazione e della legge karmica.))

L’inferno, le fiamme eterne, i diavoli che tormentano altro non sono che visione medioevale e spauracchio per la massa allo scopo di indurla a comportarsi bene e a non commettere “peccati”.  Ma il fine non giustifica la mistificazione. Tale cupa concezione di un Dio feroce e vendicativo mal si attaglia al messaggio d’Amore predicato dal Cristo ed appare come una favola priva di contenuti reali. Il rischio concreto è quello di suscitare un diffuso scetticismo ed incredulità nell’esistenza di un universo soprasensibile.

L’inferno, quello vero, quello dell’ io-sono che rifiutò liberamente la coscienza del proprio essere regredendo via via verso la materia è… eterna, immobile, silenziosa quiete. Nessuna funzione ha ormai il dolore che più nulla ha da risvegliare!

Negli stessi termini si esprimono le elevatissime entità che comunicavano con William Stainton Moses, il famoso medium inglese vissuto nel diciannovesimo secolo: “Coloro i quali non vogliono curarsi di niente di buono, che si avvoltolano nell’impurità e nel vizio sprofondano più e più in basso finché perdono l’identità cosciente, e sono praticamente perduti, per quanto riguarda l’esistenza personale: questo almeno crediamo” (dal libro: “Insegnamenti spiritici” –  vol 1° -).

 

Il medesimo concetto ci fu illustrato, con similitudini atte a facilitare la nostra comprensione, in una comunicazione del 2 novembre 1998:

 “Immaginiamo allora di riportarci ai sensi umanamente noti. Se qualcuno è nato sordo non saprà che l’onda sonora percuotendo il timpano gli può trasmettere suoni e da essi messaggi. Ma se egli non è sordo e lentamente perde l’udito avrà cognizione e darà pregnanza affettiva ai suoni e di essi saprà tradurre messaggi. Ciò fino a quando, perdendo l’udito, sarà anch’egli sordo, ma un sordo ben diverso. Nella terza posizione v’è colui che, nato sordo, attraverso un delicato intervento chirurgico incomincia ad avvertire suoni all’udire i quali viene poi educato, unitamente al tradurli in messaggi.

(…) Fissiamo allora nella nostra mente un punto e diciamo che esso è l’hic et nunc. Parleremo un tempo di ciò che sta in avanti; al momento tentiamo di dire ciò che v’è all’indietro (non prima o dopo, ma all’indietro ed in avanti). Tenuto conto dell’udente e del sordo nato nonché del sordo acquisito, all’indietro dell’hic et nunc v’è la perdita che può essere di due tipi: avevo e perdo; avevo poco e pur perdendo non ho coscienza della perdita.

La perdita – ove non fosse già chiaro – chiamasi Morte; e non morte.

(…) Bene, se io conosco e mi sforzo di conoscere acquisisco più udito; sentirò dei suoni, e più mi sforzerò più legherò essi a messaggi. Se all’incontrario non mi sforzo di conoscere e dunque di sentire, il mio timpano lentamente si atrofizza. Alla fine non udrò. Attenzione: io posso avere coscienza del non voler sentire; e vieppiù sarà il mio dolore della perdita, sapendo, poiché odo, o meglio – udii un tempo – ed ora non odo più.

(…) La morte (qui si intende la morte prima del corpo – n.d.a. -) è ben piccola trasformazione che punto occupa i nostri e – dovrebbe – i vostri interessi; la Morte (qui si intende la morte secunda, quella dello spirito, – n.d.a.-) invece, è – attenti – l’immergere il Sé che è in sé nella nebbia della materialità .

(…) Questa la Morte, il ritorno all’indietro nell’indifferenziato, nella perdita del sé nel ritorno al Sé che non è qui Porto, ma naufragio, lido di dispersa energia.

Solo una cosa – che sennò comunque in un periferico quartiere dell’Essere regnerebbe il caos – solo qui interviene la (non vi desti meraviglia) Grazia! (…).

La seconda Morte, dunque, è l’annientamento del sé cosciente, la perdita dell’ “io sono”, la scomparsa dell’individualità sprofondata nell’incoscienza, il tutto come conseguenza di condotte pervicaci volte all’indietro, tese a soffocare ogni residuo barlume di spirito, in una vita o in una successione di vite sempre più abbrutite e volte al male. Doloroso percorso a ritroso! Ancor più penoso per chi aveva un tempo avvertito il richiamo dello spirito, richiamo che, sempre più flebilmente percepito, si era poi ostinatamente rifiutato di ascoltare, fino a non udirlo più.

Nel Tutto dovrebbe pertanto esistere un angolo remoto, un luogo (non luogo spazialmente inteso, ovviamente) in cui l’energia spirituale, deprivata della individualizzazione, affonda e, come goccia nel mare, ritorna indistinta e si reimmerge confondendosi in Dio.

In questo caso non è ritorno del figlio al Padre, non è, come si disse, rientro nel porto, bensì naufragio.

Ma è mai concepibile che, in un sia pur remoto angolo del Tutto, si realizzi un fallimento? E’ possibile che il Buon Pastore rinunzi a ricondurre all’ovile l’ultima pecora dispersa? “Proprio questo è il volere del Padre vostro che è nei cieli: che neanche uno di questi piccoli si perda”. (Matteo, 18, 14)

A questo punto si presenta a noi un ulteriore mistero: il fondersi mirabile in un unicum tra Giustizia, Amore e Libertà di Dio, come meglio vedremo nella trattazione sulla Gratia et Misericordia Dei .

Un uomo dalle doti medianiche intuì. Uno svizzero. Egli fu quasi ossessionato dall’idea della Morte (la seconda Morte) e volle rappresentare quel luogo, l’inferno dello spirito, in un suo dipinto che realizzò in più versioni. Una di esse, la più significativa ed evocativa, rimase a lungo, per uno strano e beffardo destino, nel bunker di A. Hitler. Quell’uomo si chiamava Arnold Böcklin ed il dipinto si intitola “Toten Insel”, ossia “L’isola dei morti”.

Così da una comunicazione ci venne detto:

“Ma che cos’era quest’inferno ?

Era negazione dell’altro loco ove risiede il Tutto; la non presenza dell’Altro Essere che a questo, immondo ma libero, oh, sì, libero, dà facoltà di negarLo.

Così, in definitiva, se scelgo la libertà, svincolata dall’Uno, è come se scegliessi il non Essere, il non Divenire, il non potere – badate potere – essere mai! Cioè, l’INFERNO!

Non il tormento – ‘ché esso è vita ! – non la torturante punizione di Chi con il dolore mi rende cosciente e dunque mi salva; ma la quiete, tranquilla ed infernale – non date a questo attributo significazione di fuoco e tormentato divenire urente, ma la calma immobile d’una palude – dell’isola dei morti.

E non i morti, intese il pittore, che sono morti nella carne, ma che sibbene morti nella carne resuscitabili; gli altri, questi – quelli dell’isola – son morti per sempre.

Ecco perché il capo che impugnò la spada di Sigfrido sapeva, vedendo i colori sulla tormentata tessitura del colore, sentiva il presagio del divenire di ciò che non sulla testa gli era piombato, ma dalla sua testa e spirito era da lui stato scelto !

Attenzione, dunque, poiché adesso viene la parte più difficile.

Ricordate,… “Ed egli scese nel Regno dei Morti… “: ben sapete di CHI voglio dire. Ma per certo non sapete che in quell’isola Egli fu Redentore. E l’intuizione della figura coperta dal sudario non fu vista mai, né mai – né adesso – dall’uomo della grande Germania.

Egli si tormentava e tormentò dinanzi a quel paesaggio nulla intravedendo che vi fosse di salvifico. Guardate – e poi vi dirò perché dovete guardare dal vero – come contro l’acqua immota vi sia uno sciabordio dei remi del legno che la solca; sciabordio e rilievo d’acqua pur minimo: ma v’è! Oh, sì che v’è !

Non solo, ma le pareti pietrificate dall’imponenza solenne e sinistra sono scavate da piccoli loculi…. o porte..?

Se porte, ma per dove?

No, non porte, ma sepolcri !

E tutto è pervaso d’un tanfo di morte… sicuro ? Tutto è immobile nell’inferno tranquillo della speranza. Ma vide il Capo del Reich che le cime degli alberi appena impercettibilmente si muovon nel quadro al vento ? O non lo notò mai ?”

Fig. n.1 L’isola dei morti

Ecco dunque la spiegazione di quel vago accenno all’intervento della Grazia. La Grazia del Padre si realizza attraverso il sacrificio del Figlio e la Redenzione da Lui operata. Egli, dopo la morte, prima del terzo giorno, come ricorda il nostro Credo, “discese agli Inferi”. A coloro che sono morti nello Spirito il Cristo offre dunque (ieri, oggi e domani, fino alla fine dei tempi) la possibilità di ricominciare il doloroso percorso verso la Luce. La Grazia è il dono dell’autocoscienza in chi l’aveva perduta, è il dono della volontà di volere ricominciare, è la mano tesa che consente di riprendere quel cammino, aspro e doloroso, che alla fine ricondurrà comunque al Padre, al Porto Sicuro.

Cristo con il Suo Sacrificio ha eluso la legge di causa-effetto che avrebbe dovuto condurre all’annientamento finale gli spiriti che avessero liberamente, responsabilmente, pervicacemente operato tale scelta. Il Sangue di Cristo è il mezzo attraverso cui la Grazia discende sulle anime dei peccatori. E’ questo l’estremo appiglio, l’ultimo dono d’Amore di Dio. La Morte secunda è vinta. Cristo ha vinto la Morte.

Nel quadro, scavate nella roccia, si affacciano le tombe. Ma – ci dice l’entità comunicante – sono tombe o porte? Porte verso una possibile nuova incarnazione, se liberamente scelta. Le anime perdute potranno ancora decidere, liberamente, dopo l’esperienza terribile dell’annientamento, se immergersi di nuovo nel crogiuolo delle prove e del dolore e, attraverso il tempo e lo spazio, il divenire e la fatica, riprendere il pur aspro viaggio di ritorno alla Casa del Padre, quello che conduce al Regno,  resuscitando così la scintilla divina soffocata dalle scorie del peccato.

Gesù venne pertanto a salvare i vivi e i morti. Discese agli inferi per portare il Suo intervento salvifico anche ai morti nello spirito.

Tale discesa non è limitata a quel determinato momento storico. La Redenzione opera, hic et nunc, in favore di ogni spirito perduto. Ancora, ed ancora, Dio Padre, nella Sua infinita misericordia, grazie al prezzo pagato dal Figlio, offre ancora una possibilità a coloro che scelsero la seconda Morte.

Tutti gli uomini, addirittura tutto il creato (che, come dice San Paolo “geme e soffre unitamente le doglie del parto”) alla fine dei tempi, grazie al Figlio, tornerà – redento e resuscitato – al Padre. Lo dice Gesù: “Tutto ciò che mi dà il Padre verrà a me e chi viene a me non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. Ora, questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che nulla vada perduto di ciò che mi ha dato, ma io lo resusciti nell’ultimo giorno.” (Giovanni, 6/37-38-39).

Cristo, dunque, si è legato al karma dell’umanità. Resterà nell’Isola dei Morti, inchiodato alla sua Croce, grondando Sangue Innocente, affinché dalla Morte rinasca la Vita. E ciò fino alla fine dei tempi, fino a quando il Buon Pastore non avrà ricondotto all’ovile l’ultima pecora perduta. Si sarebbe fatto crocifiggere anche per uno solo di noi. E continua a farsi crocifiggere, ora e sempre, per un incommensurabile, incomprensibile Amore verso questa umanità indegna ed inconsapevole. Appunto: inconsapevole:“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Alla fine dei tempi tutto tornerà all’Uno. Anche gli angeli ribelli del mito.

Secondo lo storico filosofo Origene d’Alessandria, con l’incarnazione aveva avuto inizio l’ascesa dalla materia verso lo spirito, il grande ritorno dal male transitorio all’eterno Bene. Scopo ultimo della Redenzione sarebbe stato la Riconciliazione Universale, la cosiddetta apocatàstasi. (V.si più avanti la parte relativa alla “Riconciliazione”; n.d.a.). Alla fine dei tempi tutto il creato sarebbe tornato a Dio, anche gli spiriti più lontani da Lui, anche i demoni. “Gli uni prima, gli altri più tardi, dopo lunghi e severi tormenti, ritorneranno nella schiera degli angeli…..e giungeranno alle regioni invisibili ed eterne” (De Principiis, I, 6, 3). Anche l’Angelo Ribelle – che Origene indica con il nome Morte – alla fine sarà redento: “L’Ultimo Nemico, che si chiama Morte, sarà distrutto e non vi sarà più tristezza, e non vi sarà più opposizione, poiché il Nemico sarà sparito. Questo ultimo Nemico non sarà distrutto nel senso che la sua sostanza, fatta da Dio, sarà annientata, ma nel senso che la perversità del suo volere, ch’è opera sua e non di Dio, sparirà. (De Principiis, III, 6, 5).

Anche San Girolamo, che durante la sua giovinezza era stato un grande estimatore di Origene, aveva creduto nella salvezza finale persino del Principe del Mondo: “All’epoca dell’Universale Ristorazione – scrive nel suo commento alla lettera agli Efesini – …..l’Angelo Apostata tornerà al suo primo stato e l’uomo rientrerà nel paradiso dal quale fu sbandito”.

Nel 1953 Giovanni Papini, nel suo bellissimo libro, “Il Diavolo”, chiude la sua opera con parole di speranza, auspicando che “un Dio tutto Amore, quale fu presentato da Cristo medesimo, non possa negare eternamente il suo perdono neppure ai più famosi ribelli. La misericordia alla fine dei tempi, cioè del mondo presente, dovrà sormontare anche la giustizia……L’Eterno Amore – quando tutto sarà compiuto ed espiato – non potrà rinnegare se stesso neppure dinanzi al nero viso del primo Insorto e del più antico Dannato”.

La Misericordia((2. Essa è compassione infinita non per la deminutio  in Dio, che nulla perde dal ritorno dei grandi Sé nell’indifferenziato, ma pena struggente proprio per i morti, per ciascuno dei morti; per loro il Cristo paga il prezzo di dolore ed essi, divenuti consapevoli di ciò, fanno la scelta.)) ha un prezzo: è il caricarsi del dolore della Croce per poter giungere alla Grazia. Essa è DONO: quella porzione di Spirito, ritornata nell’indifferenziato per la legge di causa-effetto (la Morte Secunda), grazie all’intervento del Cristo viene donata nuovamente al morto che rinasce!!  Il morto, rinato alla coscienza del Sé, rimarrà pur sempre libero di riprendere o meno il cammino. Tutti però si sentono, dinanzi a quella Croce d’Amore, indegni ed immeritevoli del dono ricevuto e decidono di soffrire per espiare.

V’è rinascita nell’isola e non Resurrezione poiché è passaggio da una condizione ad un’altra. Che cosa significa? L’individuo ha, risorgendo, lasciato definitivamente la parte oscura, quella del non-Essere, per “spostarsi” in quella luminosa dell’Essere; dunque si è trasformato nella coscienza scegliendo liberamente di confarsi al Padre. Il Cristo ha preso su di Sé l’impegno di ricondurre quella porzione oscura di Dio alla salvezza, ossia all’ Essere (la parte che definiamo luminosa).

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