CAP III

IL TERZO MISTERO

Le vie di contatto ai mondi superiori

 

 

Cinque sono i canali che ci permettono da incarnati di collocarci in relazione cosciente con i piani sottili della realtà:

  • il sogno (sogno inteso come epiphaneia – manifestazione – e non come imago – immagine o rielaborazione mnemonica ): “En oniro fos esti, en kefalé thanatos” (nel sogno è la Luce, nel cervello la morte);
  • il rito (che come sappiamo possiede una forte capacità evocativa);
  • la preghiera. Per quest’ultima va distinta la recitazione sotto forma di giaculatoria di talune preghiere che hanno prevalente natura di “mantra” dalla preghiera spontanea nel silenzio del proprio intimo, in cui ci si rivolge direttamente a Dio per chiedere, per ringraziare, per parlare con Lui, per consegnarci serenamente nelle Sue mani o, almeno, per tentare di farlo;
  • la meditazione per attuare la quale occorre apprendere delle tecniche;
  • infine il cammino iniziatico.

 

Il Sogno

 

Esso rimane per gran parte ancora un mistero. La scienza umana lo ha lungamente studiato ed ha effettuato esperimenti per scioglierne i nodi e carpirne i segreti. Tale fenomeno, che appartiene alla fisiologia umana, è condiviso anche da gran parte delle specie animali.

La scienza dei nostri giorni ci racconta che il sonno fornisce innanzitutto riposo al nostro corpo stanco per le attività svolte nella giornata: esso permette lo svolgimento di attività chimico-fisiche dei vari organi (fegato, reni etc.) che riportano in equilibrio l’organismo affaticato; nello stato di sonno si svolge anche un’intensa attività elettrica; molteplici sono infatti le operazioni che espleta il nostro cervello: vengono fissati ricordi, vengono operati dei “resettaggi” (per dirla con termini cari alla scienza informatica), vengono riequilibrati aspetti psicologici ed emozionali che hanno interessato la persona durante la giornata (per es. frustrazioni nell’ambito del posto di lavoro, in famiglia, o altro).

Il processo inizia mediante una fase di cd. curarizzazione : il corpo cioè entra in uno stato di torpore ed opera una sorta di deafferentamento della mente. E’ questa la condizione che più ci interessa in questo ambito. E’ esperienza comune quella di constatare come, durante il sonno, la mente sembri vagare, priva di guida, in processi irrazionali o percorrere successioni di immagini che al risveglio, sottoposte al vaglio razionale, appaiono un non-sense.

Sui sogni molto è stato detto e scritto sia da parte della scienza che da parte degli psicologi.

L’attività onirica, sappiamo, si palesa nel corso delle due fasi di entrata nel sonno e di uscita da esso: rispettivamente la ipnagogica e la ipnopompica, ma anche in quella definita REM (rapid eyes mouvements).

Ciò che a noi preme di più è però poter individuare l’origine dei sogni. Quest’ultima infatti non è univoca e pertanto dobbiamo distinguere il sogno in due categorie che potremmo definire: imago e fanìa (immagine e apparizione). Mentre la prima trova sicuramente origine nella macchina/cervello – sia pure dovuta alle più varie cause, da quelle digestive a quelle di natura psicologica -, la seconda ha un’origine più oscura e, potremmo dire, misteriosa.

Il sonno, proprio perché agevola la deafferentazione del corpo fisico da quello psichico((1. Molti parlano di distacco del corpo astrale da quello fisico durante il sonno; un distacco non completo poiché il collegamento tra corpo fisico e corpo astrale verrebbe mantenuto dal cd. cordone d’argento – una sorta di filo energetico (taluno dice allungabile all’infinito, ma ciò presupporrebbe una dimensione spaziale) – che consentirebbe all’astrale di viaggiare in tale universo sottile della realtà mantenendo il collegamento e la vita del corpo fisico.)) (l’anima, secondo taluni), crea talvolta le condizioni per far sì che il nostro corpo sottile o astrale entri in contatto con la dimensione nascosta. E’ il momento in cui abbiamo l’occasione per affacciarci su realtà apparentemente ignote o particolari; esse spesso ci appaiono avvolte da un’atmosfera di grande pace; ci è inoltre consentito di incontrare persone sia defunte che viventi. La nitidezza delle sensazioni che tali sogni a volte ci provocano può essere di tale forza da persistere per tutto il giorno successivo ed a volte perfino per tutta la vita.

E’ da dire che anche questi ultimi contatti, pur nella loro peculiarità, si traducono in definitiva in immagini; ciò avviene perché si rende necessaria una sorta di transduzione: la percezione immateriale del mondo nascosto, grazie all’azione di “interfaccia” del corpo eterico, viene trasferita al cervello (fisico) che traduce in immagine quanto percepito; così, se il contatto riguarderà ad es. un nostro parente defunto, la percezione di costui verrà tradotta nell’immagine fisica che è custodita nei ricordi della persona che sogna ed analogamente avverrà per il colloquio; quest’ultimo infatti si svolge attraverso una sorta di telepatia ma, appena trasferito nel cervello, viene da questo tradotto in un colloquio di tipo verbale – come se questo si fosse svolto con l’uso dei mezzi fisici – e come tale viene fissato nella memoria cefalica.

Va subito detto che non sempre questi contatti vengono tradotti e poi trasferiti nell’ambito cerebrale; non di rado essi rimangono infatti ignoti alla nostra coscienza fisica.

Il fenomeno era sin dall’antichità considerato un canale attraverso cui comunicare con le entità superiori. Omero nei suoi capolavori, Iliade ed Odissea, più volte descrive incontri tra divinità ed uomini mortali e non di rado racconta di ispirazioni divine ricevute dagli eroi umani; tali fenomeni vengono raccontati dal poeta quasi che fossero eventi tutt’altro che inconsueti negli uomini del suo tempo così come per quelli che lo avevano preceduto, facendo sorgere legittima l’ipotesi che un tempo nell’uomo fosse  più attivo di ora il canale immaginativo ed ispirativo.

Molteplici, inoltre, i casi riportati nella Bibbia. Nel Vangelo di Matteo, ad es., attraverso il sogno vengono avvisati i Magi di non tornare da Erode: “Quindi, avvertiti in sogno di non passare da Erode, per un’altra via fecero ritorno al proprio Paese” ( Mt. 2-12); Giuseppe, in Mt. 2-19/23, viene avvisato per due volte in sogno dall’angelo del Signore; ma gli esempi potrebbero continuare.

Il fenomeno appena descritto costituisce una residuale, atavica capacità di cui erano dotati i nostri antenati nell’epoca Lemuro/Atlantidea, un’epoca in cui la conoscenza avveniva attraverso quello che chiamavano  “il serpente” , una sorta di appercezione – conoscenza immediata non razionale – simile a quella di cui sono dotati taluni sciamani di società tribali presenti ancora oggi nel nostro pianeta.

Piccoli residui di tali capacità permangono tuttora in noi uomini del XXI secolo. Non si usa forse l’adagio che recita : “La notte porta consiglio” ? Un detto popolare che trova origine da esperienze non infrequenti; problemi banali del vivere quotidiano spesso trovano soluzione al mattino al momento del risveglio. Anche talune intuizioni di carattere scientifico possono affacciarsi alla mente del ricercatore durante il sonno.

Per le ragioni suesposte il sonno viene spesso equiparato alla morte: esso ci dice molto più di quanto poi siamo capaci di comprendere.

Quando la sera ci corichiamo moriamo in certo qual modo al mondo fisico; il tempo si annulla poiché ne perdiamo la percezione; i sogni danno ristoro alla nostra psiche e, l’indomani, al risveglio, rinasciamo ancora una volta al mondo degli affanni, degli assilli, delle fatiche e soprattutto di quei quesiti che troppo spesso vogliamo evitare, ma ai quali, se posti, non saremmo in grado di dare risposte razionali: “Chi siamo? Da dove proveniamo? Qual è il nostro destino? Esiste una divinità creatrice?”.

 

 

Il Rito

 

Rito proviene dal termine sanscrito  “Rita”, ed in sanscrito vuol dire regola, intesa come “normale” (attività cioè secondo la norma).

Elemento essenziale del rito è la reiterazione puntuale di una certa attività in un certo tempo; essa ripetitività è costituita da comportamenti, gesti, parole. Immaginiamo, quale esempio, un rito che molto di frequente viene celebrato nelle case – il più delle volte inconsapevolmente, specie al giorno d’oggi, più consapevolmente nella società rurale di un secolo fa – : la cena. Il consueto ritrovarsi e, alla medesima ora, apparecchiare la tavola, sedersi insieme ai propri familiari, consumare il cibo, scambiarsi pensieri.

Una cena così intesa non è solo assunzione di cibo per il corpo ma, un po’, anche per l’anima. Che cosa si intende fare nel rito della S. Messa? Più persone si riuniscono nello stesso luogo, da secoli vengono ripetuti gli stessi gesti e vengono proferite le stesse parole da parte del celebrante e degli astanti; il rito è sempre uguale, ovunque. Tale comportamento ripetitivo ha lo scopo di indurre coloro che vi partecipano ad assumere un atteggiamento mentale che predisponga e canalizzi l’accoglimento del Divino. Il rito si trasforma così in una forza di richiamo, di evocazione… ed il Divino si presenta, o, meglio, si rende più percepibile da noi. Si badi che da sempre, e per scopi vari, non solo religiosi, l’uomo ha fatto ricorso al rito; basti ricordare il rito di incoronazione di un re, la nomina di un cavaliere, e ancora oggi, il saluto alla bandiera di una nazione o l’esecuzione dell’inno di un paese in occasioni ufficiali e pubbliche. Ciò perché il rito ha la capacità di muovere delle energie a noi ignote sul piano razionale e materiale. Il più delle volte, se il rito ha carattere religioso (e qui è bene sottolineare che non v’è distinguo tra una religione o l’altra), viene accompagnato dalle orazioni dei partecipanti; tali preghiere possono essere rituali o meno ed hanno lo scopo di indirizzare le forze che si intendono evocare. E’ importante che si sappia che sollecitare energie per canalizzarle verso scopi egoistici, o peggio in danno di altri, comporta un grave ed oneroso prezzo, poiché comunque la legge del Karma, come destino ineludibile, farà in modo che venga ricucito lo strappo provocato dal non-amore.

 

 

La Preghiera

 

Che cosa è la “preghiera” ? Non dovrebbe essere difficile la risposta poiché è atto, azione, atteggiamento che tutti i fedeli delle varie espressioni religiose pongono in essere per “parlare con Dio”, per necessità interiore, ovvero per soddisfare un obbligo religioso, per richiedere all’Alto ciò di cui si ha necessità sia sul piano materiale che su quello spirituale.

Non possiamo trascurare di porre la  nostra attenzione su questa importante forza energetica che può liberarsi attraverso la preghiera ed al modo in cui questa debba essere formulata.

Nei Vangeli è indicato che la preghiera deve essere intima e perciò da pronunziarsi al chiuso della propria stanzetta; non deve essere verbosa ed altisonante, ma spontanea e con parole sincere che vengono dal cuore, ‘sì da essere più gradite a Dio che aspetta il contatto dal proprio figlio che Lo cerca e Lo invoca.

La preghiera per eccellenza, come sappiamo, è quella che insegnò Gesù ai Suoi discepoli che Gli avevano chiesto come avrebbero dovuto pregare; essa è nota a noi cristiani come “Il Padre Nostro”, il cui significato appare tuttavia per molti versi oscuro.

 

Da una comunicazione del  2007

 

Non può esservi distinzione tra preghiera lecita e non poiché non v’è in realtà discrimine. Si può chiedere per se stessi ed ottenerlo, si può chiedere per altri ed ottenerlo.

Ad esempio il pittore austriaco (Adolf Hitler – n.d.r.-) che sognava il regno millenario chiese il potere. E lo ottenne. Nessuno glielo negò.

Tutti, dunque possono chiedere per sé o per altri. E tutto ciò che desiderano. E tutto quanto sarà stato richiesto sarà esaudito… a meno di una variabile: la forza della preghiera e l’indirizzo cui è rivolta.

Posto che non sussiste alcuna reale dicotomia fra “Spirito” e “Materia”, ed essendo l’Uno Unico e Solo, tutti gli individui fanno parte della sola unica realtà che in Dio è e vive. Or dunque, se io mi rivolgo ad una parte di me stesso – una più bassa, od una più alta, non importa – io avrò soltanto evocato quel “Conosci Te Stesso” che evocherà a cascata le forze che – ignote fino ad allora – appena conosciute avranno possibilità di dispiegarsi ed agire. Ciò vale analogamente per i “Miracoli”. Si badi che il miracolo può avere versione proiettata al Bene… od al Male (essenzialità inesistenti secondo i canoni umanamente intesi): così quel pittore pregò – potremmo dire – tanto fortemente da aggiogare l’intera Europa in pochi anni. Miracolo? Sì. Un miracolo… in negativo. Materiale. Umanissimo? Divino? Né l’uno né l’altro. Il mero risultato della coniugazione poderosa e capace di “Spostare le Montagne” fra i tre Corpi, “in preghiera”. Preghiera verso Dio… e cioè verso Sé STESSI.

Ecco che cosa vuol dire veramente “Pregare”. Vuol dire il “Conosci Te Stesso” per rivolgerti a Te Stesso, e dunque all’Unica Origine da cui hai preso partizione. Puoi rivolgerti all’infimo od al supremo, oppure alla via che sta in mezzo. Puoi chiedere materia, potere, sesso, felicità, conoscenza e.. persino Dio!. Tutto sarà esaudito da Te per te; a seconda della forza di Libertà che imponi nella preghiera. A seconda della capacità di conoscere te stesso.

Rimane – indubitabilmente – il problema della preghiera “morale” rispetto a quella “immorale” (e non già, dunque, di quella “lecita” rispetto all’illecita – che non esiste).

 

Così, in tale chiave, proviamo a reinterpretare “La Preghiera” come ci viene suggerito dalle Guide:

 

“Padre Nostro che Sei nei Cieli”

O Tu dalla Cui Partizione provengo, e che permani al di là di me (ordinario) poiché non so conoscerTi

“Sia santificato il Tuo nome”

Sia reso Santo e Trascendente il Noùmeno a me inconoscibile che mi porta l’idea di Dio.

“Venga il Tuo Regno”

Sia realizzato il coniugio fra i tre Corpi, tale che io possa dirmi – conoscendo me stesso – unica parte di Te e dunque della Natura che essendo il Tuo, è anche il Mio Regno

“Sia fatta la Tua Volontà, così in Cielo come in Terra”

Sia fatta la Mia Volontà che è la Tua. Poiché Tu lasciandomi Libero fai ‘sì che io possa dispiegare per intiero la mia volontà. Dunque Tua e Mia Volontà Unica Volontà nel Determinante di Libertà.

“Dacci oggi il nostro pane Quotidiano”

Dammi ciò di cui ho bisogno (non dunque soltanto spirituale); dammi la materia se della materia Tu che in Me sei Tu hai (non bisogno) realtà di esplicitazione di Te nella Libertà di essere il Tutto ed il contrario di Tutto; il Bene e financo ….

“Rimetti a noi i nostri debiti come li rimettiamo ai nostri debitori”

Aiutami – o Tu che sei Me – a capire come ricucendo il male fatto si ricucirà la realtà divina di me; cosicché chi riparerà per me riparerà anche per sé; e dove riparerò per altri riparerò anche per me. Essendo io e gli Altri l’unico Uno.

“E non lasciare che la tentazione mi induca al Male”

E fa’ ‘sì che colà dove sarò tentato di rivolgermi soltanto all’ordinario – che del tutto lecito è – non mi disperda ed affoghi in esso, e nei sui piaceri, e nelle sue tentazioni, dimenticando ben migliore gaudio che il riportarmi a Te non può non comportare. Rendimi, dunque, non dimèntico della mia Natura con il lasciare che la maschera della pantomima m’inganni.

“Ma liberami dal Male”

Forse – o Signore – non sono da tale volo le mie ali; ed allora, laddove non riuscirò, va’ Tu contro le regole e porgimi la Mano della Provvidenza. Poiché la mia forza non riuscì a far di me ciò che il mio Sé aveva deciso. Ma .. riproverò. Poiché Tu mi dai sempre Libertà

“E così sia”.

 

 

 

La Meditazione

 

Da tempi immemorabili l’uomo ha applicato molteplici tecniche di meditazione. Praticate in passato prevalentemente in paesi orientali, oggi si sono diffuse anche in occidente. Le tecniche sono le più svariate e tutte efficaci. Possono essere apprese p.es. presso scuole di yoga, ma anche attraverso pubblicazioni specializzate. Lo scopo della meditazione è in sintesi quello di fare il silenzio ed il vuoto mentale, di spegnere cioè il pensiero nella nostra mente (cosa tutt’altro che semplice) e lasciare che fluisca… il non-pensiero! Svuotàti dal pensiero che ci inganna e fuorvia, finalmente ci riempiamo; di cosa? Di tutto! In altri termini abbandoniamo il pensiero analitico delle parcellizzazioni e dei contrari (che ci fa vivere nel mondo degli specchi che ci rimandano immagini frammentarie) per entrare nel pensiero assoluto. Nello stato meditativo non vanno espressi giudizi, valutazioni, previsioni, commenti. L’abitudine a tale stato. induce pian piano il praticante a rompere alcuni legami del consueto modo di vedere le cose; si apprende in certo senso a vedere la realtà secondo quello che oggi verrebbe definito “pensiero trasversale”, ma soprattutto ci si accosta alla conoscenza. La reiterazione di una delle molteplici tecniche di meditazione (ciascuno potrà adottare quella che troverà più confacente e naturale) consente dapprima di diventare avvezzi al non pensiero; poi di giungere al pensiero intuitivo; quindi a quello ispirativo; infine alla immediata apprensione del vero: essa è folgorante ed immediata; scavalca d’un baleno tutte le faticose connessioni della logica razionale e dei dubbi che questa porta inevitabilmente con sé per fluire di getto.

 

 

Il Cammino Iniziatico

 

 

Molti sono i percorsi iniziatici poiché molteplici le metodologie possibili. In tutti i tempi (a partire dalla fine dell’era Lemuro/atlantidea ) si sono attuate innumerevoli forme di approccio iniziatico. Ciò allo scopo di pervenire alla Conoscenza del Vero che, in un tempo remoto, era accessibile attraverso quello che veniva chiamato “Il serpente”: l’interiora terrae; era il tempo in cui l’uomo, meno cosciente della propria individualità, attingeva spontaneamente conoscenze dalla terra (qui intesa come serbatoio di sapere cosmico) cui si sentiva legato e collegato mediante canali sottili, animici.((2.  Un retaggio di tale canale  di conoscenza lo ritroviamo nell’antica Grecia, in epoca antecedente il profetismo classico Vi erano colà luoghi di culto e di rivelazione che facevano capo a donne dotate di chiaroveggenza chiamate “Pizie” (dal termine Pythos = pitone). Le veggenti erano in grado di formulare profezie – si riteneva – grazie alla “pitonessa”, un serpente  femmina che traeva la conoscenza direttamente dal ventre della terra al cui interno teneva immerso parte del suo corpo .))

Ancora oggi abbiamo prove iniziatiche che appartengono a riti tribali. Inoltre, inconsapevoli prove di iniziazione (spesso in forma distorta e volgare) vengono tuttora imposte ai “novizi” nelle strutture militari o in taluni colleges.

Il catechismo di una arcaica setta pitagorica, quella degli Acusmatici (che si contrappose ai Mathematici) chiede e risponde:

 

“Cosa vi è nel Tempio di Delfo?”

“La Sacra Tetraktis poiché in essa è l’armonia, nella quale sono le sirene”

E’ uno degli Ainigmata della “Prova Morale” di Pitagora.

Gli Akusmatici (ascoltatori, e non senza suono o voce) permanevano in una caverna ((3. Ciò ricorda molto da vicino i “koan” delle discipline Zen. Problemi di difficile se non impossibile soluzione razionale, cui tormentare ed arrovellare la mente per logorarla fino a sfinirla per permettere il raggiungimento del “satori” (illuminazione).))oscura con una lavagna dove era scritto un Ainigma oscuro, cui dovevano dare risposta. Ed il più delle volte era errata questa. Per cui, taluni, indispettiti, inveivano contro il Maestro ed i compagni ed aspiranti Iniziati; tal’altri, invece, tentavano e ritentavano ancòra fino a potere essere ammessi all’anticamera dei Misteri.

L’ainigma posto agli acusmatici sintetizzava nelle poche frasi tracciate nel santuario di Delfo il percorso da affrontare e l’impegno da esercitare su loro stessi per il raggiungimento della Conoscenza ed essere ammessi ai Misteri. 

Le Sirene rappresentavano l’Armonia. In ogni sfera celeste vi è una Sirena che fa sentire la sua voce talché l’armonia delle sfere è la voce delle Sette Sirene (v.si quanto affermato da Platone).

La Legge della Tetraktis è una Legge di Quinta che svela i segreti del Cosmo.

E nello stesso santuario campeggiava la scritta posta sul frontone del suo ingresso: “Gnoti se auton” (conosci te stesso); il più saggio suggerimento che poteva essere rivolto a colui che si accingeva ad entrare nel sacro recinto, ma anche l’invito ad intraprendere la più ardua e più importante impresa concepibile.”

 

Uno dei riti più antichi di cui abbiamo potuto avere cognizione è la celebrazione dei Misteri Eleusini essendo giunto fino a noi grazie all’ “Inno a Demetra” di Omero.

 

I  Misteri  Eleusini.

 

In un tempo immemorabile una colonia greca, venuta dall’Egitto, aveva importato nella tranquilla baia di Eleusi il culto della grande Iside sotto il nome di Demètra((4. Etimologicamente: De meter , in dorico, che diventa successivamente ghe meter ossia la madre gea. La madre terra, la dea produttrice.)), la madre universale, – figlia di Krono e di Rea e perciò sorella di Zeus – . Da quel tempo Eleusi era rimasta un centro di iniziazione.

Il mito di Demètra (Cerere per i Romani – da cui cereali-) e di sua figlia Proserpina (o Kore o Persefone), forma il centro del culto d’Eleusi. Nel suo senso intimo, questo mito è la rappresentazione simbolica della storia dell’anima, della sua discesa nella materia, delle sue sofferenze nelle tenebre dell’oblio, poi della sua resurrezione e del suo ritorno alla vita divina. In altre parole, è il dramma della caduta e della redenzione nella sua forma ellenica.

 

I piccoli misteri si celebravano nel mese antesterione (febbraio/marzo) ad Agrae, un borgo presso Atene.

Gli aspiranti, condotti in un recinto, assistevano ad una complessa rappresentazione del ratto di Proserpina, o Persefone: questa, non appena la madre Demètra si allontana, è avvicinata da Eros che con l’inganno la persuade ad odorare un fiore, un narciso, – da lui chiamato Desiderio – che le darà la conoscenza degli inferi e della terra. Ma, appena la fanciulla porta il fiore al volto inspirandone il profumo, si apre nella terra, accanto a lei, una voragine da cui esce un carro condotto da Plutone (Ade) il quale la rapisce trascinandola con sé nell’infero((5. Il mito ricorda la disobbedienza di Eva ed Adamo a Dio e la loro conseguente cacciata dal Paradiso terrestre.)). A nulla valgono le grida di aiuto della giovane a sua madre Demètra che solo più tardi e faticosamente scoprirà dove è stata condotta la figlia e, sotto minaccia di carestia sulla terra, otterrà da Zeus che la fanciulla, ormai sposa di Ade e regina dell’oltretomba, ritorni a lei sulla terra per circa due terzi di un anno (primavera, estate, autunno), periodo in cui infatti si osserva il risveglio ed il rigoglio della natura che dà i suoi frutti.

Ed Ermete dice agli adepti: ” Oh, aspiranti ai Misteri, la cui vita è ancora offuscata dai fumi della vita malvagia, questa è la vostra storia. Serbate e meditate questo detto di Empedocle: “La generazione è una distruzione terribile, che fa passare i vivi tra i morti. Un tempo voi avete vissuto la vera vita, e poi, attratti da un fascino, siete caduti nell’abisso terrestre, soggiogati dal corpo. Il vostro presente non è che un sogno fatale. Il passato e l’avvenire soli esistono veramente. Imparate a ricordarvi, imparate a prevedere”.

 

I Grandi Misteri che tenevano dietro ai piccoli e che si chiamavano anche Orge Sacre, non si celebravano che ogni cinque anni, nel mese boedromione (settembre/ottobre), ad Eleusi.

Queste feste, tutte simboliche, duravano 9 giorni; all’ottavo si distribuivano ai mysti le insegne dell’iniziazione, cioè il tirso (bastone contorto e nodoso sormontato da un viluppo di edera) ed un canestro, detto cista (cista mystica), che conteneva oggetti misteriosi. Il canestro era accuratamente chiuso ed era concesso aprirlo solo alla fine della iniziazione alla presenza dello ierofante (mostratore delle cose sacre).

Seguivano i riti e le rappresentazioni; poi gli adepti guardavano gli oggetti d’oro contenuti nella cista: una pigna – simbolo della fecondità e della rigenerazione – , un serpente a spire – simbolo della evoluzione universale dell’anima: caduta nella materia e redenzione per opera dello spirito;  un uovo – simbolo che allude alla sfera o perfezione divina, finalità dell’uomo – .

Il rito si concludeva con l’ultima parola Konx Om Pax (parole misteriose che in greco non hanno alcun senso). Si suppone, come sostiene Shuré ((6. E. Schuré nel suo libro “I Grandi Iniziati”.)), che esse abbiano origine sanscrita: Konx verrebbe da Kansha (oggetto del più profondo desiderio), Om da Oum (anima di Brahma) e Pax da Pasha (ossia giro, mutamento, ciclo).

Così gli iniziati si identificavano a poco a poco con l’azione e, da semplici spettatori divenuti attori, riconoscevano infine che il dramma di Proserpina si compiva in loro stessi. Grande era allora la sorpresa! Se soffrivano, se lottavano come lei nella vita presente, avevano parimenti la speranza di ritrovare la felicità divina. Naturalmente ognuno poi prendeva coscienza di ciò secondo il suo grado di cultura e le sue capacità  intellettuali.

La descrizione dei Misteri è celebrata nell’Inno omerico a Demètra.

 

Quasi ogni popolo in tempi antecedenti al cristianesimo aveva una sua tradizione che si rifaceva ai Misteri: Romani, Celti, Druidi, Greci, Indiani, Persiani, Maya, Indiani d’America etc.

Perfino oggi, in Giappone, ai livelli più avanzati della disciplina del Ju-Jitsu – che sono noti soltanto ad una ristretta cerchia perché trattano di segreti ai quali partecipano solamente pochi –  l’allievo viene istruito con un corso di Misteri spirituali. Egli è costretto a sottoporsi ad una cerimonia d’iniziazione che richiede il suo strangolamento da parte di un maestro.

Per l’esecuzione dell’atto stesso ci vuole soltanto un minuto, dopo il quale il candidato giace su un lettino, in effetti morto. Durante questa condizione il suo spirito è liberato dal corpo e fa l’esperienza di visitare altre regioni al di là della nostra. Poi, quando il prescritto periodo di morte è passato, il suo maestro lo richiama in vita per mezzo di una misteriosa procedura il cui nome intraducibile è “KWAPPO”. Colui che emerge da tale meravigliosa esperienza è da quel momento un iniziato.

Tecniche similari venivano applicate al tempo di Gesù; una volta raggiunto un alto grado iniziatico il “discipulo” poteva essere indotto in uno stato simile alla morte per tre giorni e mezzo (forse mediante l’ingestione di droghe). Tale condizione permetteva un contatto col mondo sovrasensibile e, al risveglio, l’iniziato, che aveva raggiunto l’illuminazione, portava con sé il ricordo ed i segni della sconvolgente esperienza vissuta. Nei Vangeli la ritroviamo nell’episodio del “Figlio della vedova di Nain” e in quello più noto di Lazzaro; in quest’ultimo Giovanni ci racconta, in modo velato, la sua personale esperienza((7. Secondo Rudolf Steiner Giovanni e Lazzaro sarebbero la stessa persona.)).

Viene da chiedersi da dove i Misteri Eleusini abbiano tratto origine e da che cosa. Probabilmente il primigenio nucleo approdato ad Eleusi, proveniente dall’Egitto, aveva portato con sé, quale patrimonio religioso, il culto di Iside colà praticato e probabilmente anche il rito iniziatico ad esso legato. Ma, è da presumersi, ove si abbia riguardo alle caratteristiche divine della greca Demètra, più che al culto egizio di Iside, che esso rituale fosse riferito alla dea HATHOR (Hat-Hor = dimora di Orus, ossia il cielo), la dea mucca, dea dell’abbondanza, delle messi e della natura in genere (la sua raffigurazione è con corna di bue sul capo e tra esse un disco solare). Il xx giorno del primo mese dell’inondazione veniva tenuta ogni anno a Denderah, centro principale del suo culto, una festa popolare, quella dell’“ebbrezza”. Per volere di Ra, la dea Hathor diveniva divinità dei morti e del mondo infero, per il quale prendeva nome ed aspetto mortifero di SEKHMET (la dea dalla testa di leonessa sormontata dal disco solare) moglie di Ptah (il modellatore, l’artista, che i greci – guarda caso – identificavano con Efesto). E’ pertanto ipotizzabile che Demetra/Kore (da molti indicate come un’unica entità divina e non come madre e figlia) altro non siano che la versione greca delle omologhe divinità egizie Hathor/Sekhmet.

Ma che cosa, le une e le altre, vogliono indicare e significare nei riti ad esse legati e nei Misteri da attraversare? Quale il simbolismo celato?

Come per il passaggio nel mondo infero della tenebra di Osiride ucciso e smembrato da Set ma ricomposto – salvo che per il pene – da Iside (moglie-sorella) che lo riporta in vita((8. Osiride – identificantesi nel disco solare muore ogni giorno al tramonto sprofondando ad occidente fino a scomparire inghiottito dalla terra per risorgere da essa ad oriente il mattino successivo.)) e dal quale concepisce, miracolosamente, un figlio Orus;

come nella mitologia cristiana Adamo perde il paradiso terrestre, dopo aver mangiato il frutto proibito che gli conferisce la conoscenza del bene e del male ed emigra nella terra infera del dolore ove vive negli stenti e nella nostalgia di quanto perduto;

come nella parabola evangelica del figliol prodigo;

come nell’Odissea, in cui sembra vengano riproposte in chiave simbolica le vicissitudini cui va incontro l’anima umana (la partenza dalla terra natìa per combattere la guerra di Troia, poi il ritorno travagliato in patria ed in fine la cacciata dei Proci dalla propria casa – evento affine alla cacciata dei mercanti dal tempio citata dai Vangeli-);

così sembra che i racconti di tutti i tempi facciano riferimento ad un unico mito: ed il mito altro non sarebbe che la storia dell’uomo, la storia di ciascuno di noi, o meglio del nostro spirito che, abbandonato il paradiso, si immerge nella materia per sperimentarla e conoscerla;  ma, in tale esilio volontario, sente pur sempre la nostalgia di quel paradiso di cui conserva appena un appannato remoto ricordo; della cui reale esistenza persino dubita, ma verso cui avverte una inspiegabile quanto irresistibile attrazione. Il mito racconta anche del cammino che segue lo spirito per fare ritorno alla Fonte sua Prima.

In fondo la storia ci fu già accennata sotto forma di fiaba. La Guida ci narrò la storia del figlio d’un re che volle uscire dalle mura del Regno per conoscere l’altrove ove regnava dolore e disperazione e dove avrebbe perso memoria del regno paterno….

Nella simbologia dell’inno si ha quasi l’impressione di assistere ad un… eterno prima ed un eterno dopo – passi la contraddizione in termini – : quel prima in cui madre e figlia vivono in unione quasi inscindibile, in una sorta di perfezione immobile, ed un dopo costituito dalla loro separazione, quasi che l’unità ad un tratto – a causa, se guardiamo con attenzione, dello stesso desiderio di Persefone – diviene dualità; e ciò poiché l’anima (simbolicamente rappresentata da Persefone) decide di “conoscere” così come conoscono gli Dei. E per tale conseguenza perde la sua condizione di staticità beata per immergersi nel mondo infero. Ma tale scelta comporta accettazione del dolore: dolore per il distacco, dolore per la perdita. Di qui la risalita verso il mondo della luce, verso cioè Demetra che continua instancabilmente a chiamare e a cercare la figlia finché, ritrovatala, ottiene il suo pur temporaneo ritorno; infatti ormai nulla potrà essere come prima: Persefone è comunque sposa di Ade.

Dice il Simeoni “L’atto di Ade è un sottrarre Demetra dall’utero materno per portarla in un mondo dove dovrà vivere attraverso le proprie scelte”. Dunque un percorso di libertà; ed infatti Eros non impone ma propone la primitiva scelta.

Dice ancora il Simeoni: “ Il rapimento di Persefone è il capolavoro di Ade , è l’atto con cui Ade arricchisce l’Essere Natura con un nuovo genere di Esseri. Non più solo Esseri che sviluppano se stessi nella Luce, ma anche Esseri che formano se stessi nell’oscuro per poi continuare a svilupparsi nella Luce. Come Socrate che nella caverna intravede la luce della conoscenza alla quale tende, così ogni Essere è in una caverna e modifica se stesso per tendere a quella luce”.

Nella catechesi della religione cattolica un aspetto viene ignorato o forse volutamente taciuto: il carattere iniziatico del messaggio cristico. Tutto è permeato, a ben guardare, da riti e da gradi iniziatici (si pensi al battesimo e poi alla cresima; ma in verità ogni sacramento altro non è che un non inteso grado di iniziazione).

Gesù era un Grande iniziato, come abbiamo visto nel volume 1° e 2°, e ciò che divulga è insegnamento atto a far pervenire i suoi seguaci ai gradi di iniziazione di cui era Maestro. Molteplici passi evangelici raccontano e illustrano, per chi sappia leggervi,  proprio tale aspetto.  Questo è lo straordinario messaggio cristico: nulla più verso l’interno ma tutto verso l’esterno! La rivelazione di Gesù è, in certo qual modo, violazione del segreto fino ad allora custodito e mantenuto dalle scuole iniziatiche che perseguivano in modo ferreo tale impegno.

 

Vediamo la questione riferita all’uomo di oggi:

 

Il primo passo da compiere è il raggiungimento della Coscienza di (minuscolo), che comporta il riuscire a conoscersi effettivamente. Chi sono io?”. QQuesta è la prima domanda che mi dovrò porre con instancabile determinazione. Epperò, non dovrò tentare di darmi una risposta, ma attendere in silenzio che la “Verità” produca pensieri e percezioni senza parole dalla parte più nascosta e profonda di me stesso; perché, invero, fra il conoscere intellettualmente ed il realizzare la “Conoscenza nella Coscienza” v’è un abisso incommensurabile. In tal guisa, allora, dal profondo della mia Coscienza avvertirò come irreale ciò che, pur considerato reale dalla ragione umana, è per contro transeunte e caduco rispetto all’Unicità dell’“Uno”: la vita umana, un istante di sogno nell’oceano infinito e sereno della Realtà Eterna Unica ed Universale dell’Uno-Dio.

Tuttavia, l’illusione umana della realtà del (minuscolo) e del mondo della materia in cui esso è immerso è indispensabile al (maiuscolo), il quale, per conoscere e conoscerSi, ha scelto di acquisire l’esperienza della materialità, e cioè dell’incarnazione. Né ci è dato di sapere attraverso quali eventüali altre esperienze sia passato il (maiuscolo) attraverso le infinite dimensioni dell’essere.

Dal momento che ogni ciclo di esistenza si chiude e conchiude con l’intervento dello Spirito Santo, Che alimenta la vera Coscienza di Conoscenza in merito all’esperienza maturata dal (maiuscolo) attraverso la vita vissuta dal sé (minuscolo), è pacifico che la “forma” umana (cioè: il corpo organico con il proprio – minuscolo) deve finire nella morte fisica per dare Vita vera, ovverosia Coscienza, al (maiuscolo).

Il secondo passo da compiere è prendere Coscienza del proprio (maiuscolo), che comporta il riuscire a conoscere effettivamente la “Natura Divina” che ciascun uomo possiede: Chi sono veramente io?”. Questa è, dunque, la seconda domanda che dovrò pormi con la medesima instancabile determinazione. Epperò, e parimente, non dovrò tentare di darmi una risposta, ma attendere in silenzio che questa volta parli in me la “Voce della Coscienza” (la “Coscienza Morale” di kantiana memoria), ch’è “Grazia Divina” suasiva all’“Accoglienza” dei Fratelli ed alla “Riconciliazione” con essi, e che, in uno, è “Amore”; Amore come mano protesa, che offre e non richiede, verso il vuoto abissale dell’esistenza dell’altro. Solo per questa via l’oscuro e misterioso intervallo fra nascita e morte, vale a dire la vita ordinaria di ogni essere umano, troverà il proprio più autentico e profondo significato.

Il passo che segue verrà, così, naturalmente; ‘ché, quasi inavvertitamente, sentirò di averlo superato quando, abbandonata la consuetudine di cercare razionalmente per ritrovarmi sempre nel buio senza lucerna, mi accorgerò che, come il Cristo s’identifica con il più piccolo dei Fratelli perché lo ama, anch’io, essendo riuscito ad amare veramente il Fratello, ed anche il più piccolo e financo l’ultimo tra gli ultimi, riuscirò a scorgere il Cristo ch’è in lui; cosicché, attraverso il Cristo e nel Cristo (attraverso, cioè, l’Amore e nell’Amore, ch’è Accoglienza), riuscirò ad essere il Fratello ch’è nell’altro, ma pure, e proprio per questo, ad essere io stesso il Cristo: “Sono stato crocifisso insieme a Cristo; vivo, però, non più io, ma vive in me Cristo”, come Paolo che fu di Tarso ebbe a proclamare in un tempo lontano ormai ma sempre vivo.

Torna su